Racconto 1: Martin

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Le gocce di una fredda pioggia autunnale battevano sulle ampie vetrate della vecchia osteria delle rane rosse. [1]
Erano passati anni dall'ultima volta che Martin si era trovato in quel luogo, una volta gioioso, e ora silente e trascurato.
Il locale si trovava vicino al calvalcavia di una superstrada non particolarmente battuta.
Lui entrò, cercando di non far gocciolare l'impermeabile zuppo di pioggia sul vecchio pavimento in legno, dal quale si erano scollate via via diverse piccole scaglie di un acrilico giallo zolfo, attraverso il quale si intravedevano le venature del legno farsi strada per tutta la sala.
Appena entrato cercò nella tasca dell'impermeabile qualcosa per asciugarsi e ne tirò fuori un giornale stropicciato, col quale si asciugò svelto le mani dalla pioggia.
Si fermò ad osservare il locale con un certo stupore, sentendosi immediatamente abbracciare dal tepore delle luci fioche e tremolanti di un color giallo ambrato provenienti dai numerosi lampadari presenti nella sala principale.
Come gli parve bizzarro ritrovarsi in quel locale ora acquietato!
Il brusio che sempre aveva accompagnato il luogo si era ora tramutato in un solenne silenzio, di quelli che spaccan le ore. Quel chiacchiericcio, che ricordava il suonare di cicale imbizzarrite, era ora precipitato rovinosamente nel silenzio di quattro uomini muti, che lo minacciavano con lo sguardo dal fondo della sala.
Un'inquietudine lo inghiottì, ma la scacciò. Martin già non ci pensava più a quel fragile autunno che si era appena chiuso alle spalle tramite il pesante portone in massello, ma che ogni tanto batteva per entrare con folate di vento a ululare per le cupe strade, illuminate appena dalla luce calda e flebile dei lampioni.
Le vetrate ricordavano alla lontana le vetrate variopinte delle chiese (come quelle della cattedrale di Chartres, per esempio), dipinte di un blu e di un verde che filtravano la luce esterna nelle ore diurne e che donavano sfumature bluastre calde e vive alla luce nelle ore notturne.
La luce inebriante dei lampadari ad olio che pendevano dal soffitto accentuava la vividezza del color amaranto delle pareti, capace di farti sentire accolto come da un tepore.
Alle pareti vi erano appesi un paio di quadri tra il modesto e l'insignificante e su una delle pareti opposte vi era un ampio specchio, coperto di polvere e macchie d'unto, nel quale non si poteva osservare nitidamente alcuna immagine riflessa.
Il soffitto verdognolo stonava con il generale giallo e rosso che dominavano la sala, ma non tanto da disturbare, richiamava anzi il verde  tendente al giallo del bancone sul fondo della sala, la cui superficie era completamente coperta di bottiglie, separate tra di loro da un vaso con dei fiori rosati avvizziti.
Accanto al bancone, dietro al quale non presenziava nessuno, si intravedeva un'altra sala, la cui luce, anch'essa gialla, si intravedeva appena a causa delle tende semi chiuse a separare le due sale. Un brivido percorse la schiena di Martin, un sentore di mistero lo pervase, e per qualche attimo si soffermò e pensare cosa potesse esservi in quella stanza gialla, ma presto non ci fece più caso.
Vi era un grande orologio appeso anch'esso sul fondo della sala, che rifletteva il verde del soffitto nell'ampio quadrante e il prepotente suono delle cui lancette si propagava in tutta la sala, a causa del tremendo silenzio che aleggiava nel locale. Quel ticchettio era quasi pedante alle orecchie di Martin.
La sala era gremita di tavoli disposti disordinatamente, accompagnati da sedie e sgabelli spostati ed ancora i bicchieri vuoti abbandonati alla rinfusa sopra ad essi. In mezzo alla sala vi era un grande tavolo da biliardo, con le stecche e le palle poste anch'esse alla rinfusa sul tappetino verde, scalfito da lunghi solchi.    
L'atmosfera viva dell'arredamento contrastava l'umore che si avvertiva nella sala, nella quale si respirava la morte, piuttosto che la vita.
Il salone principale dell'osteria era popolato da diversi personaggi: un paio riuniti subito accanto al biliardo, con la testa bassa sul tavolo, un paio in fondo alla sala intenti a chiacchierare sottovoce, quasi bisbigliando, un paio barcollanti per l'ubriachezza, ed uno più bizzarro, in piedi, nel mezzo della stanza, di fronte al grande tavolo da biliardo, al quel Martin non aveva fatto caso per la distrazione e che pareva dunque essere apparso come dal nulla. Questo indossava un soprabito giallo pastello ed un basco alla portoghese di un verde simile a quello del bancone, i cui abiti stridevano con la sua carnagione olivastra. La figura minacciosa era immobile, aveva il viso accigliato, contratto e distorto come in una smorfia.
Martin si fece avanti nel locale, mettendo in tasca le mani fredde e, senza mai lasciare con lo sguardo l'uomo del biliardo, si sedette su uno sgabello. L'intenso odore di polvere gli afferrava prepotentemente le narici, e un altro brivido gli corse per la schiena, le membra, fino giù ai calcagni.
La figura muta sembrava fissare proprio lui, con occhi neri spalancati, di una tenebra non comune. Quando eccolo avvicinarsi a passi lenti su quel pavimento scricchiolante.
"Possibile mai?" si ripeteva Martin in cuor suo, di nuovo afferrato da un'inquietudine ignota.
Il ticchettio dell'orologio sembrava essersi fatto più minaccioso, l'ululato del vento sembrava battere più forte sul portone, minacciando di scardinarlo, le macchie sulle pareti, ora nude, sembravano esser divenute più fitte.
Ed eccola, la figura è arrivata, ed immobile di fronte a Martin lo ha scrutato attentamente.
I suoi movimenti lenti lasciavano la possibilità di osservarne le mani scarni e dalle lunghe unghie ingiallite, ed i suoi occhi di tenebra ora brillavano sotto alla gialla luce tremolante dei lampadari.  
L'uomo si apprestava a dire qualcosa, ma rimase muto, e si mise la mano nella tasca dell'orrido soprabito giallo, come in ricerca di qualcosa. Ecco, sembrava averla trovata.  
Un nodo alla gola lo strinse e Martin serrò gli occhi per il terrore.
Allora l'uomo tuonò, con voce solenne e terribile: "Le è caduto il giornale".

CAFFÈ DI NOTTE

Magistrale l'attenzione ai dettagli, la scelta dei colori e dell'intensità cromatica, scelta che fa sembrare il quadro molto più vivido

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Magistrale l'attenzione ai dettagli, la scelta dei colori e dell'intensità cromatica, scelta che fa sembrare il quadro molto più vivido. Riesce a trasportarmi, riesce a farmi sentire quasi quanto fioca potesse l'intensità della dell'illuminazione del caffè, che mi fa quasi sentire una nota di ebrezza alcolica, come se avessi delle percezioni distorte delle cose e dello spazio intorno a me.
Inquietudine, mistero, ubriachezza: "Caffè di notte" è certo, a parer mio, uno dei migliori quadri di Van Gogh, in quanto è vivo, respira, e lo sento.

Note
[1]: nome di una reale osteria a Settimo Milanese, che non ha niente a che vedere con la descrizione, il cui nome mi ha intrigata e dunque l'ho preso in prestito. (Osteria delle Rane Rossehttp://www.osteriadelleranerosse.itOsteria delle Rane Rosse)
[2]: Ispirato al quadro "Caffè di notte" di Vincent Van Gogh

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 24, 2023 ⏰

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