forografie

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Francè, mi  avevi chiesto una foto qualche tempo fa, per quella tua cosa dell'amore, quel progetto che vai girando a raccogliere forografie che ne ritraggano il significato, disse Angela mentre lui si guardava intorno ammirando gli scatti appesi ai muri del suo studio. Gigantografie di volti. Decine.
Ne ho scattate tante eh, disse lei scorrendole velocemente con gli occhi. Matrimoni, battesimi,  compleanni, giorni speciali, ricordi. Ma a dir la verità non ho cercato tra quelle, fece porgendogli un vecchio contenitore di latta di biscotti danesi.
Foto polaroid. Ritratti. Momenti. Furti di istanti. Sai quegli attimi che appena  l'occhio se ne accorge che è un attimo che andrebbe catturato,  quello è già passato? Per pigliare quegli attimi ci vuole una certa sensibilità,  anticipazione e, diciamocelo, una fortuna sfacciata.  E se quell'attimo lo hai colto te ne accorgi solo tredici minuti  dopo, quando la carta si è asciugata completamente. Ogni volta che scatti, si innescano circa cinquemila reazioni chimiche nella pellicola, lo sapevi? E se sei fortunato, cinquemila più una: l'essenza.
Tieni, guarda, - disse Angela porgendo una foto a Francesco - questo è  l'attimo esatto in cui la pellicola è riuscita a catturare l'essenza dei loro esseri e di quello che li univa.
Francesco teneva la foto sul palmo della mano, appena appoggiata, come fosse un sogno pronto a svanire tentando di fermarlo nella memoria.
Chi sono, chiese sussurrando, temendo quasi  che le vibrazioni di una voce troppo rude potesse graffiare quella vecchia foto.
Non so chi siano, non hanno un nome.
Sono due, due qualunque. Sono un uomo e una donna, sono due donne, sono due uomini,  sono un padre e un figlio, sono una madre e il suo bambino, sono due amici d'infanzia,  sono due che si sono persi e poi ritrovati. Persone che semplicemente si amano,  a loro modo, qualunque esso sia.
Solo che quella luce negli occhi, quella luce lì,  la vedono solo Dio e uno bravo a cogliere il momento, pensò tra sé e sé Francesco.
Abbine cura -, mentre guardandolo dritto negli occhi gli arrivava all'anima e  gli porgeva la foto. Lo avvertì quell'arrivargli oltre lo sguardo, e di riflesso socchiuse gli occhi. Quella donna l'obiettivo lo aveva dentro, non tra le mani, pensò.
Francesco uscì dalla casa di Angela con quell'incredibile e perfetta fotografia tra le dita e le parole di lei che si ripetevano in testa come un mantra: abbine cura, abbine cura, abbine cura.
Dell'amore, abbine sempre cura.

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