CAPITOLO I - L'albero di Carrubo (PARTE I)

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Quanti vorrebbero sentire parlare di cose Fuori dall'Immaginario? Quanti realmente crederanno all'esistenza di un mondo completamente diverso dal nostro.

Penserete di me, come al solito ragazzo fuori dalle righe, bastonato al lavoro, perché per i vertici troppo stupido per avere ruoli dirigenziali.

Però, non posso darvi torto. Ho sempre cercato di evadere dall'ordinario alla ricerca dell'immaginario per scappare dai problemi che la vita reale ci incombe.

D'altronde mio padre ha sempre desiderato un figlio perfetto - lui che di professione è un manager di un'importante multinazionale - invece si ritrova un figlio che di speciale ha solo il nome. Tuttavia, non rispecchia affatto il mio modo di essere "Felice".

Quante volte avrei voluto aggiungere una "In" davanti a quella dannata consonante.

L'unico a notare qualcosa di speciale in me era nonno Enzo.

"Non tutti sono nati per fare la differenza del nostro mondo" disse "C'è chi è destinato a osservare grandi cose, ma solo quando avrà realmente iniziato a guardare".

A quelle parole non ci ho mai dato molta importanza, fino a quando non mi imbattei in qualcosa di straordinario.

. . .

Era il solito lunedì infernale. Non è mai facile svegliarsi presto dopo aver fatto tardi la sera prima. Ogni giorno mi aspettavano 50 km per recarmi al lavoro, il tragitto Narni-Spoleto non è molto semplice da percorrere, in quanto i due paesi sono divisi da diversi tornanti e durante la strada è facile imbattersi in animali che attraversano le carreggiate senza prestare alcuna attenzione ai segnali stradali.

La mattina la sveglia suonava sempre al solito orario, intorno le sei e da lì a pochi minuti sarebbe iniziata la mia giornata. Una volta in piedi, aprivo la finestra della mia camera, prendevo una boccata d'aria fresca, mentre il sole di maggio mi dava il buongiorno riscaldando la mia pelle pallida e illuminando i miei ricci color oro. Una volta indossata la polo rossa che riportava in alto a sinistra il mio nome "Felice Fiorucci", il mio comodissimo pantalone cargo nero e le mie amatissime e inseparabili sneakers, correvo in bagno per sistemare i miei sempre arruffati capelli e a strigliare la mia folta barba come fosse la criniera di un cavallo. Uscivo fuori casa con i miei occhiali da sole neri perché avendo gli occhi chiari sarebbe stato un mal di testa assicurato dopo pochi minuti di esposizione ai raggi solari.

Quella mattina sarei arrivato in ritardo a lavoro. Riuscii a uscire di casa non prima delle otto, "maledette serate con Gianni e Oscar" pensai mentre strofinavo la mano sulla fronte e mi avviavo verso la macchina (una mini di colore blu con cerchi bianchi che con tanto entusiasmo avevo comprato dopo il mio primo anno di lavoro). Solo il pensiero di quello che mi sarebbe spettato una volta al lavoro mi metteva ansia e agitazione, ma d'altronde era ormai prassi di inizio settimana vedere e ascoltare il mio capo infuriato per qualsiasi cosa.

La strada che solitamente percorrevo, quella mattina era bloccata "Chiusa al Traffico per rifacimento del manto stradale dal 16/05/1994 al 01/06/1994" citava il cartello all'inizio dell'imbocco della statale che mi avrebbe condotto in azienda.

E così sbattendo le mani sullo sterzo e ormai fradicio a causa del caldo che sembrava quasi potesse sciogliere gli pneumatici dell'auto, effettuai un'inversione a "U" e di corsa mi diressi verso un'altra strada, che prendevo di rado in quanto allungavo il tragitto casa-lavoro di qualche km.

Era una strada secondaria, molto peggio di quella che prendevo solitamente. Il problema non erano i tornanti, ma il fatto che si doveva prima scendere verso Terni e poi risalire verso Spoleto e imboccare una piccola galleria, lunga all'incirca 300 mt, che ti riportava sulla statale che collegava Narni a Spoleto facendoti allungare di qualche km il percorso.

EXTRA IMMAGINARIAM - Un mondo diverso per cui lottareWhere stories live. Discover now