Prologo

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Isola di Oslay,
1426 D.C.


«Fermo! Non potete accedere a quest'area. Fermatevi, Signore! È una zona di clausura!»
«Sarò rapido, Sorella, non vi preoccupate.»
«No, non avete capito, signore! Dovete tornare indietro!»

L'uomo si fermò di scatto e il ticchettio convulso del bastone da passeggio smise di risuonare per le navate del chiostro di preghiera esterno. Si girò verso la suora, una giovinetta dalle guance gonfie e rosse e l'aria spaurita che tanto spesso lui aveva visto sulle galline nei pollai. L'idea lo fece sorridere e non si trattenne da palesare il proprio divertimento alla povera sprovveduta.

«Mia cara...» iniziò.
«Sorella. Chiamatemi Sorella» ribatté lei, titubante.

Era difficile che i mortali dimostrassero tanto ardore e istinto di ribellione di fronte a lui. Di solito abbassavano lo sguardo ancor prima che fosse costretto a rivolgere loro parola. 

«Mia cara» ribadì, assieme a un sorriso velenoso. Si avvicinò alla giovane, pronto ad afferrarle il mento con uno scatto deciso a cui sarebbe stato impossibile sottrarsi. «Non ho tempo da perdere con voi in inutili e spiacevoli chiacchiere, ci siamo intesi?» La fissò negli occhi e attese il fremito piacevole dato dalle pulsazioni del sangue, così caldo a confronto del gelo della notte. La tempesta di neve continuava a imperversare da giorni e minacciava di non arrestarsi prima di altre settimane. «Eccolo, lo sento il brivido leggero del desiderio. Fammi indovinare, mia cara» la sfidò, rivolgendosi a lei con un tono tanto formale da costringerla ad arrossire, «sei una di quelle che prega con fervore per i peccati a cui non riesce a rinunciare?»

La giovane provò a divincolarsi, ma la presa dell'uomo non cedette. Al contrario, lo convinse solo a ridurre la distanza che li separava, così da cingerla al fianco con la mano con cui reggeva anche il bastone. Le sorrise e godette di ogni centimetro di pelle arrossata. «Lasciatemi immediatamente, signore!» squittì come un topolino, un grazioso e grassoccio roditore da dispensa.

«È ciò che davvero vuoi?» le chiese in un soffio, prima di abbassarsi sulle sue labbra. La studiò a lungo, divertito dalle occhiate furtive che la giovane si lanciò attorno per la paura di essere vista da qualche altra vecchia bigotta. «No non lo vuoi» rispose per lei. Socchiuse le palpebre e studiò la bramosia della sua bocca, il desiderio ardente che le spingeva fuori il respiro in piccoli sbuffi di vapore affannati. Le sfiorò le labbra e si spostò verso il suo orecchio. Dapprima lo sfiorò con la punta della lingua, in attesa del fremito che ne conseguì. «Lo so che pecchi, Sorella» le sussurrò, carezzandole la pelle col proprio respiro caldo. «Nel buio della tua cella, quando tutte dormono, so che ti tocchi. Affondi le dita dentro la carne e immagini che a farlo sia il giardiniere che d'estate vi aiuta a potare i rami degli alberi. Hai spinto così tanto a fondo da finire per sanguinare e ti sei chiesta come potevi nascondere un peccato così grosso di fronte a Dio. Anche adesso» inspirò a fondo, prima di esalare sul lobo di lei, ignorandone i brividi che preannunciavano le lacrime. «Anche adesso» riprese, «hai le cosce bagnate di lussuria e ti chiedi cosa proveresti se ti prendessi qua, in mezzo alla navata, di fronte allo sguardo sconvolto della Madre Superiora» ridacchiò, ritraendosi di scatto. Trovava noioso quando scoppiavano a piangere. «È ipocrita da parte tua, sorella, dirmi cosa non si debba fare, non trovi?»

La giovane annuì, scossa dai singhiozzi. «Madre de Dìos» mormorò, prima di farsi il segno della croce con un fervore imbarazzante.

«Ah, non c'è nessun Dio qui, mia cara. Spiacente di deluderti» rise, prima di darle le spalle e proseguire a passo sicuro.

Conosceva la strada e la porta, nonostante fosse la prima volta che si recava in quel posto in cui neanche l'Altissimo avrebbe messo piede. Sempre che esistesse ancora un Altissimo, anche se quello era un altro discorso. Eppure, faceva parte del punto cruciale per cui...

Fragments of SoulsWhere stories live. Discover now