«In questo caso, ' il tuo compagno ' deve dirmi come cazzo portare la mia libreria in casa sua» affermai, con l'intento di non dargliela vinta. Un uomo non meritava il mio rispetto.

Se aveva pensato anche solo per un momento che mi sarei separata dai miei libri, si sbagliava di grosso. Non l'avrei mai fatto. Ogni libro aveva un pezzo speciale del mio cuore, uno che mi teneva fortemente stretta a lui. Era inspiegabile il legame emotivo che provavo attraverso un 'ammasso di pagine', come mi sentivo sempre dire.

E se vogliamo dirla tutta, questa passione l'avevo ereditata proprio da lei che, quando non era impegnata nei suoi viaggi di lavoro, si sedeva accanto a me sul letto e iniziava a leggermi la favola della buonanotte. Per me era un momento magico nel quale sognare. La sua presenza mi permetteva di potermi distrarre da ciò che succedeva in casa.

Più crescevo, più la lettura diventava parte di me.                                                        E finii per accumulare libri a dismisura.

«Isabel» sospirò, quasi sul punto di perdere la pazienza. «Grace» dissi a mia volta, posizionando i palmi delle mani sui fianchi. «Sono cerca che Noah assumerà qualcuno per portare tutti gli oggetti più pesanti in villa» affermò, lasciandomi sorpresa.

Spero proprio che sia così, o potrei non rispondere delle mie azioni.

«Sei pronta?»         

Ero pronta? Non lo sapevo.
Fisicamente sì, al livello psicologico no.

Ero a pezzi. 

«Credo di sì» risposi, con la voce che tremava. La vidi sorridere in modo rassicurante e poi avvertii la sua mano posizionarsi sopra la mia spalla, per poterla accarezzare. 

Esattamente come si fa con i bambini, in un gesto di conforto.

«Mangiamo qualcosa al volo e poi partiamo», comunicò. «In realtà non ho molta fame adesso, vorrei andare a salutare Allison» dissi, cercando di mascherare il mio stomaco vuoto e brontolante. «Sicura di non avere fame?» Domandò lei, sospettosa ed io annuii. 

«Quanto tempo ci vorrà per arrivare a casa di quelli?» 

«In macchina molto poco, circa una ventina di minuti», rispose. Di solito impiegavo quindici minuti a piedi per raggiungere casa di Allison; quindi, se mi fossi fatta accompagnare in macchina non sarebbe stato neanche troppo lontano. «E a piedi invece?» Chiesi, pensando al fatto che odiavo non avere il pieno controllo della situazione, soprattutto in macchina.

Avevo paura che sterzasse e proseguisse per un oscuro vicolo che mi avrebbe condotta al macello. 

«Penso non più di tre quarti d'ora» rispose. «Santo cielo», dissi, portando le mani sul volto. In pochi secondi, la rabbia si fece spazio nel mio corpo e trovai sollievo solo quando realizzai che avrei potuto cogliere l'occasione per fare esercizio fisico. Con questa scusa, nessuno avrebbe dubitato della mia sincerità e avrei avuto un corpo molto più bello.

«Tutto okay, tesoro?», domandò, osservando i miei lineamenti facciali.  «Tutto okay» dissi, non riuscendo a credere alle mie stesse parole. 

«A dopo mamma.» Le posai un bacio sulla guancia e la sorpassai, percorrendo tutta la lunga scalinata. E grazie a Dio, non mi imbattei né in Noah, né in Logan. Non volevo che mi dessero a parlare, non ero dell'umore giusto. 

«Allison!» A mia sorpresa la trovai già fuori. In un rapido movimento, mi gettai fra le sue braccia, stringendola forte. «Ma ciao, hermanita» mi salutò, con il nostro soprannome preferito. Era una parola spagnola che significava 'sorellina'.

I need youWhere stories live. Discover now