Santo cielo, perché l'ho fatto?
Sospirai e tirai fuori un fazzoletto dalla borsa per potermi pulire le labbra, non riuscivo ancora a crederci. Per alcuni poteva sembrare un gesto banale, privo di significato, per me invece era l'esatto contrario.

Come sempre, non ero riuscita a rispettare la promessa che mi ero imposta. Non riuscivo mai a portare a termine niente. Sei proprio una nullità, Isabel. Mi sentivo, ed ero, un vero e proprio disastro. Uscii dalla porta del bagno per potermi lavare le mani, non volevo stare un minuto di più in quel posto. Avevo bisogno di uscire.

Quel posto era diventato troppo piccolo per i miei gusti. L'aria iniziava a mancare. Dovevo solo trovare la forza di uscire dal bagno per trovare Allison, ma avevo paura di trovarmi quel ragazzo davanti. Chissà che cosa aveva pensato di me. Che situazione.

Tirai fuori il telefono dalla borsa e le scrissi che l'avrei aspettata fuori. Successivamente, non sapevo neanche io come, presi coraggio e uscii fuori dal locale. Nicotina, avevo bisogno della mia fottuta nicotina. Sfilai una sigaretta dal pacchetto delle Marlboro e l'accesi. Continuavo ad aspirare il fumo e rigettarlo dalla bocca.

Avevo davvero tante dipendenze, ma quella mi fotteva per eccellenza era proprio quella. Ogni volta che mi agitavo, che facevo brutti sogni o mi innervosivo, bastava fumare. Sapevo che ciò comportava vari rischi, ma ad essere sincera, quello era l'ultimo dei miei pensieri. Ricordo che iniziai a fumare all'età di tredici anni, decisi di provare per scherzo dato che tutti i miei coetanei lo facevano.

Volevo sentirmi alla loro altezza quindi continuai a farlo tutte le volte che uscivo con loro. Ed eccomi qua, all'età di diciannove anni, schiava della nicotina. Ero già alla terza sigaretta quando finalmente vidi Allison uscire dal locale, se ci avesse messo più tempo non mi sarei fatta problemi a finire l'intero pacchetto.

Mi guardò confusa, era solo mezzanotte e mezza, la nostra permanenza era stata molto breve. Tuttavia, non ero in vena di dare spiegazioni a nessuno, mi limitai soltanto ad avvicinarmi a lei e afferrarle la mano. «Tutto okay Isa?» mi chiese, con un tono di voce che mi trasmise tranquillità.

Trattenni le lacrime e mi limitai a far cenno di sì con la testa. Sapevo che non mi aveva creduta, aveva la strana capacità di riconoscere quando le mentivo. Alcune volte mi capitava di riflettere sulla nostra società, la maggior parte delle volte siamo tutti troppo superficiali.

Basta sfoggiare un semplice sorriso e pronunciare un 'Sto bene' affinché ti credano. Nessuno va oltre quella banalissima frase. Il perché? beh è molto semplice, a nessuno importa realmente di come stai.
Siamo tutti troppo egoisti.

Camminammo per le strade di Vancouver fino alle due del mattino, era tutto buio. Allison era terrorizzata ed erano numerose le volte in cui l'avevo trovata aggrappata al mio braccio destro.

Mi faceva impazzire quel suo lato da bimba, era così adorabile. Un elemento a suo sfavore però era proprio l'ingenuità. Non era abituata a vedere il mondo per quello che è, era abituata a vederlo sempre rosa e fiori.

Ma non voglio soffermarmi su questo, preferisco elencare un'altra delle sue qualità: l'ironia. Non erano state poche le volte in cui mi ero ritrovata a piangere a dirotto tra le sue braccia e oltre il forte livello di empatia che provava nei miei confronti, cercava sempre di fare qualche battutina o di fare la stupida pur di strapparmi un piccolo sorriso, cosa che le riusciva alla perfezione.

Potevo fare la stronza con tutti, tranne con lei. Era davvero una ragazza fantastica. La cosa che la rendeva più felice in assoluto era aiutare il prossimo. Inutile dire che vederla felice faceva stare bene anche me.

Dopo esserci sgranchite per bene le gambe chiamammo la signora Walker che nel giro di cinque minuti ci raggiunse per poi accompagnarmi a casa. Salutai entrambe e ringraziai la mia amica per la magnifica serata trascorsa insieme.

Era stata come sempre magnifica e liberatoria. Mi sentivo molto più leggera dopo aver trascorso del tempo con lei, tralasciando la mia folle avventura con quel ragazzo. Cercando di fare il meno rumore possibile, aprii la porta posando le chiavi sul mobile.

Tolsi i tacchi e chiusi la porta. Nella casa regnava il silenzio più totale, quindi molto probabilmente mia madre aveva seguito il mio consiglio e si era messa a letto.

Percorsi l'enorme scalinata fino ad arrivare nella sua camera da letto, quando schiusi la porta notai che stava dormendo abbracciata ad un cuscino. Un sorriso involontario apparve sul mio volto.

Ero ancora arrabbiata con lei, ma ciò non significava che non le volessi più bene. Mi tolsi l'enorme quantità di trucco che avevo addosso e indossai la vestaglia, rigorosamente nera. Misi in carica il mio cellulare e poco dopo spensi la luce.

Il giorno dopo...
Erano le nove del mattino quando la sveglia iniziò a suonare come un disco rotto. Mi sentivo ancora distrutta dalla serata che avevo trascorso, ma decisi comunque di alzarmi presto perché avevo delle faccende importanti da sbrigare.

La domenica era l'unico giorno nel quale non ero impegnata con l'università; quindi, potevo permettermi di dedicare del tempo alle mie passioni. La scrittura, dovevo finire il romanzo. Infilai le pantofole e poi scesi giù in cucina dove trovai la tavola apparecchiata e la colazione sul tavolo. Mia mamma si alzava sempre presto e ci teneva ad aspettarmi per poter mangiare insieme.

Quella mattina aveva preparato le crêpes con la nutella, la mia colazione preferita. Sapevo l'aveva fatto per indurmi a perdonarla, cosa che avrei fatto molto volentieri, non si dice mai di no alle crêpes. Sorrisi e afferrai un tovagliolo, ne avvolsi una al suo interno e poi la assaggiai; era semplicemente fantastica.

La divorai in un nanosecondo. Un sapore squisito, come sempre. «Deduco che ti sia piaciuta!» esclamò mia madre, facendo il suo ingresso in cucina. Accennai un sorriso a trentadue denti e mi leccai le labbra, erano tutte sporche di nutella. Avrebbe dovuto farsi perdonare così più spesso, mi piacevano queste scuse.

«Mi dispiace non avertene parlato prima, Isabel» disse, prendendo posto accanto a me. Le rivolsi la mia più sincera attenzione. Ero abbastanza sorpresa della delicatezza con cui si stava scusando, non l'aveva mai fatto in questo modo. «Ti chiedo scusa, non accadrà più», mi promise.

Accarezzò il dorso della mia mano ed io non potei fare a meno di arrendermi, mi sporsi verso la sua guancia e le lasciai un dolce bacio per farle capire che l'avevo perdonata.

Lei, si alzò a sua volta per poi stringermi tra le sue braccia in un caloroso abbraccio. Quella volta però, non la mandai via. Era un bellissimo momento che purtroppo venne interrotto dal suono del campanello.

Dovetti staccarmi dall'abbraccio per andare a controllare chi fosse il rompicoglioni di turno. E non appena lo vidi, rimasi sconcertata. Erano l'avvocato Smith e cinque ragazzi, ma osservando con più attenzione, notai che uno di loro aveva un aspetto familiare, poi realizzai...

Era lui, il ragazzo della discoteca.

/Spazio autrice/

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