Prologo "Al peggio non c'è mai fine"

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Foresta di Phenor, anno 1177

Da giorni navigavano senza sosta, abbandonati al corso infinito e gorgogliante dell'Elan.

La nave scivolava veloce e silenziosa, mossa dal ritmo serrato di braccia forti che remavano con vigore. Lo sciabordio dell'ac qua sul legno dello scafo era un vero toccasana per placare i nervi degli uomini, più tesi della pelle di un tamburo.

Uno schiocco improvviso fece distogliere l'attenzione di Runa dal fiume, inducendolo a gettare un'occhiata lungo la sponda a sinistra, ma non riuscì a scorgere nulla. La foresta era un groviglio di fogliame così fitto da rendere difficile l'avvistamento di qualunque pericolo; come sempre, del resto.

Qualcuno avanzava alle sue spalle, suole di cuoio che calpestavano il legno scricchiolante del ponte.

«Karr dag, Runa!» lo salutò Olaf l'indomito nell'antica lin gua degli avi, battendosi un pugno sul petto.

«Karr dag, maestro.»

«Avvistato niente?»

La sua voce era ruvida come una roccia. Scosse la testa. «Nulla che sia degno di attenzione», mormorò, lo stomaco ancora in subbuglio. «Non credo che manchi molto all'attracco.»

Olaf si grattò pensieroso la lunga barba intrecciata e annuì. «Vero, ma non dobbiamo abbassare la guardia. Questo posto sa essere infido quanto le mani della dea Svartha.»

Runa si toccò occhi e cuore in segno di scongiuro. Olaf si appoggiò con il gomito all'albero maestro e scrutò dinanzi a sé. La ferita sul suo volto non si era ancora del tutto cicatrizzata, così come la mano mutilata avvolta in una fasciatura sporca di sangue secco. Nonostante Olaf avesse già combattuto una dura battaglia a Kiel, non aveva voluto saperne di tornare a casa, pur avendone tutto il diritto; non quando l'herdran aveva bisogno dei suoi uomini per mettere in sicurezza l'intera Jorgenar.

«Va tutto bene, maestro?», gli chiese Runa, indugiando ancora sul suo volto austero.

Il guerriero parve riscuotersi e inspirò a fondo l'aria calda e umida della foresta. «Non darti pena per me, ragazzo», rispose. «Piuttosto recati subito dall'herdran. Vuole vederti nel suo alloggio.»

Raddrizzò le spalle e obbedì in tutta fretta. Superò il ponte della nave, fiancheggiato da una fila di rematori su entrambi i lati, e giunse all'ingresso degli alloggi privati dell'herdran voiniv. Si schiarì la voce. «Mia signora!» chiamò, prima di scostare la pelle che proteggeva l'ingresso dall'esterno. «Posso entrare?»

Una voce forte come il tuono rispose: «Vieni avanti, Runa». Entrò in quello spazio privato a capo chino, come fosse il sacro tempio di Gamàla. «Mi hai fatto chiamare...» esordì. «Ci siamo quasi, mio caro ragazzo.» Lo invitò, in silenzio, ad alzare lo sguardo sulla sua figura. Sidgred Spezzalama si ergeva statuaria dinanzi a lui: la pri ma donna del loro popolo a essere incoronata regina di Jorgenar, l'indomita Orsa del Nord. Runa fissò con un misto di timore e ammirazione il suo viso dai tratti marcati, induriti dall'espressione assorta che aveva assunto in quel frangente, i capelli bianchi tagliati sulle spalle come quelli di un uomo e abbelliti da un paio di trecce decorate da anelli d'argento, gli occhi azzurri come ghiaccio baciato dal sole. Si portò le mani dietro la schiena e gli diede le spalle, facendo tintinnare la spada di acciaio heldrasiano al fianco, mentre il cuoio rinforzato della corazza sibilava seguendo i movimenti del suo corpo.

«Quanto manca all'attracco?» domandò, posando i palmi delle mani su un tavolaccio vicino.

«Credo non molto, mia signora. Superata l'ansa dovrebbe esserci un punto buono per sbarcare.»

Le Terre di Narwain ~ Il figlio dell'OblioTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon