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Il romanzo non è pronto. Mi ci vuole ancora un po' e l'essere un perfezionista - direi invece pedante – mi rende il cliente peggiore, l'artista insoddisfatto. Contatto comunque il mio editore, chiedendogli del tempo. Mi domanda quanto ho scritto finora. "Non abbastanza". Risponde che vuole vedere quello che ho già. "Ho bisogno di farmi un'idea. Puoi essere da me nel pomeriggio presto?" guardo l'orologio che ho al polso. "Sì, ci vediamo in casa editrice". Riappendo e mi sento svuotato. Balzo immediatamente in piedi dallo sgabello, versandomi del caffè. Posso farcela. Non è la fine del mondo. Ho superato di peggio. Al massimo boccerà il mio lavoro e dovrò ripartire da zero. No, non ci voglio pensare. Ho partorito ben ventimila parole questa settimana, il che non è cosa da niente. Sì, andrà bene. Devo solo avere speranza e concentrare tutte le mie energie in un unico punto. Dopo pranzo rileggo tutto, correggo, aggiungo e provo a scrivere qualcosa di più. Qualcosa di davvero speciale, che il mio editore non potrà farsi sfuggire ma è ancora troppo presto per il colpo di scena. Mando il documento in stampa, infilo tutto nel plico e alle tre mi metto in marcia, avviandomi verso il centro città. Jasmine è rimasta ancora una volta dalla sua amica; almeno è quello che ha detto a me. Non dovrei sospettare di mia figlia però non mi sorprenderebbe scoprire che ha un fidanzatino. Non sono uno di quei genitori, di quelli che indagano, che mettono in punizione, che tolgono il cellulare per una sera o una settimana. Le sto dando fiducia, e se c'è qualcosa me lo riferirà a tempo debito. Mi fido di lei. È mia figlia, la mia bambina e lo sarà sempre.

Arrivo alla Downson in perfetto orario, superando le porte dell'ascensore con la cartellina stretta contro il fianco. Chiedo di incontrare Red Rodney alla sua assistente seduta fuori dal suo ufficio.

"Sarà ancora per qualche minuto in riunione. La avverto appena finisce". Annuisco, andando a prendere posto nella poltrona in corridoio. Per un po' di tempo, mi soffermo sull'andirivieni da una stanza all'altra. Squilli di telefono, cicalecci vari, la stampante che rilascia un foglio dopo l'altro. Prendo un respiro, rigirandomi il plico tra le mani. Con la coda dell'occhio scorgo una figura che mi richiama. "Il signor Rodney può riceverla, adesso" la ringrazio con un cenno della testa, seguendola nell'ufficio di Red dove l'assistente mi apre la porta per poi lasciarci soli. "Chris!" lui mi sorride, porgendomi la mano sopra la sua enorme scrivania ricolma di cornici, un lume, un computer fisso e la targhetta placcata d'oro con il nome. "Mi dispiace di averla fatta aspettare".

"Non ti preoccupare. Hai qualcosa per me?" gli passo il plico, aspettando che sfili i fogli dal suo interno. Li sfoglia velocemente, strabuzzando gli occhi. "Beh, hai scritto più di quanto mi sarei aspettato. Com'è andata?". Faccio spallucce. "Non lo so. È lei a dover giudicare". Poggia i gomiti sulla scrivania, guardandomi. "E tu come giudichi quello che hai scritto finora?". Sollevo ancora una volta le spalle. "Io lo trovo abbastanza buono, anche se sono ben lontano da scrittori come Tolstoj, Twain, King...". Red agita la mano. "Prima di tutto non devi buttarti giù perché non hai la possibilità di eguagliare qualcun altro. Ognuno di voi ha un modo tutto suo di scrivere e ognuno di voi è speciale per questo. Se senti di non essere abbastanza bravo, ti serve una spinta..." aggrotto la fronte. "Che cosa intende?" lui rilassa le spalle, poggiando la schiena alla sedia. "Un coach letterario che sosterrà la tua scrittura ad ogni passo" faccio una smorfia, diffidente. "Mmh, non sono sicuro che questa figura possa aiutarmi. Quando scrivo divento piuttosto sensibile e qualsiasi aiuto mi renderebbe nervoso. Rallenterebbe il mio lavoro".

𝐁𝐄𝐆𝐈𝐍 𝐀𝐆𝐀𝐈𝐍 | 𝘾𝙝𝙧𝙞𝙨 𝙀𝙫𝙖𝙣𝙨حيث تعيش القصص. اكتشف الآن