Seconda Stella a Destra || Poi Dritto Fino Al Mattino

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"Forse questo ti sembrerà strano
Ma la ragione ti ha un po' preso la mano
Ed ora sei quasi convinto che
Non può esistere un'isola che non c'è"

- Edoardo Bennato.

* * *

Quindi domani è Settembre, vero? Dici che abbiamo tempo per un'ultima partita prima della pioggia, dei lampioni che si accendono prima, del sole che muore alle cinque del pomeriggio e del buio che ci cala addosso? Per un ultimo canestro, anche se sono una frana a tirare, ma se mi stai dietro e mi guidi con le mani forse riesco a farcela. Quei pomeriggi d'estate passati sull'erba a guardarti giocare io non li dimenticherò mai. Coi palazzi alle tue spalle che sembravano farti da scudo, le donne affacciate ai balconi che si godevano lo spettacolo, i bambini sui monopattini e sulle biciclette che si affrettavano a sfrecciare tra i passanti, coi sorrisi stampati sulle labbra e una voglia di vivere che solo un bimbo può avere. Il sole lieve dietro i tetti delle case, la luce che pian piano si attenuava, mentre nelle cuffie passava una canzone che mi faceva scendere una lacrima e che io mi affrettavo ad asciugare prima che il vento me la portasse via: era mia, e non volevo che si disperdesse. Non volevo che diventasse di qualcun altro, i sentimenti che portava erano i miei. Non ho mai capito cosa ci fosse che mi piacesse così tanto, di quei momenti. So solo che mi sentivo in pace con me stessa, e per una volta, sentivo di non aver bisogno di altro. Mi bastava guardarti, una chioma folta e scura che sfrecciava veloce tra i ragazzi, palleggiando con abilità. Uno slancio e un canestro, i tuoi compagni che ti applaudivano e tu che di sbieco ti giravi a guardarmi e mi sorridevi. Io ti sorridevo di rimando, e anche se non potevi saperlo, il mio cuore ti sorrideva con me. Quanto ho dovuto sopportare, per vederti finalmente felice? Tu forse non lo sai, e io non te lo dirò mai. Non meriti di sapere in quanti pezzi mi sono spezzata per lasciarti integro. Non meriti di conoscere i graffi che mi porto nell'anima, come lenzuola strappate, perché tu hai sempre tentato di ricucire ogni mio squarcio. E se non ti ho mai lasciato andare è solo perché senza di te sento che comincerei un viaggio dal quale non riuscirei più a tornare. Mi lasceresti al buio, e non riuscirei più a trovare la strada per tornare a casa. Tu che cosa hai provato? Me lo chiedo spesso, ma poi non ti dico niente. Ho paura delle tue risposte, perché potrebbero essere troppo sincere ed io non so se riuscirei a sopportarle. Tra di noi c'è sempre stato un silenzio appagante, un silenzio necessario che riusciva a chiarire tutti i dubbi, a far tacere tutte le parole scomode che non abbiamo mai avuto bisogno di pronunciare. Io non te l'ho mai chiesto, è vero, ma tu non me l'hai mai detto. Forse perché pensavi che in fondo, io sapessi già tutto. Agosto, quest'anno, mi ha vista nel mio punto più basso e in quello più alto. Mi ha vista spezzata, con gli occhi vuoti rivolti al cielo e al mare che si fondevano in un'oscurità opprimente, in un'isola a me sconosciuta, dove tu non c'eri. Ed io ho provato a seguire le indicazioni di Peter Pan, ti ho cercato alla seconda stella a destra come mi aveva detto lui, ma non ti ho trovato. Forse perché non riuscivo ad avere pensieri felici. Ho provato a cercarti negli angoli più remoti, ma non eri neanche lì, e allora ho dovuto ammettere a me stessa di essere sola. Come una bimba sperduta. Riesco ancora a sentire la musica di quella sera che proveniva da un ristorante poco lontano da me, tutti ridevano spensierati mentre io vagavo come lo spettro di me stessa, in mezzo a persone che non vedevo, a strade che non conoscevo, col cuore vuoto e la mente che era un groviglio di pensieri irrisolti, tossici e suicidi. Quando mi sono lasciata cadere su quella panchina, di fronte al mare, non avevo nemmeno la forza per piangere. Non so se tu abbia idea di cosa significhi sentirsi così annichiliti. Fissavo il rollio delle barche ormeggiate davanti a me, e speravo che prima o poi tu fossi sceso da una quelle e mi avresti portata via persino da me stessa. Non ti perdonerò mai per avermi fatta diventare così. Ma ti ringrazierò sempre per avermi fatta diventare così. La gola riarsa, le guance in fiamme, gli occhi stanchi. Volevo tornare a casa, volevo soltanto tornare a casa e sentirmi al sicuro, sentirmi protetta. E invece continuavo a osservare le lanterne di quell'isola meravigliosa, congelata nel tempo, a sentire le melodie tradizionali che mi mettevano tristezza, a vedere le luci della Turchia poco lontana e ad applaudire come un'automa alle persone che, in cerchio, ballavano una danza tipica e cercavano di trascinarmi con loro. E io avrei tanto voluto spegnere i pensieri sai e perdermi in quel vortice di colori, ma tu non immagini quanta forza ci voglia ad ignorare la propria mente. Mi stava distruggendo, poco a poco, mi stava divorando dall'interno ed io ne ero consapevole. Ma non mi opponevo, perché ero troppo debole per poterlo fare. E poi, mentre giravo su me stessa in quella danza ipnotica, fomentata dalle mani che battevano e mi incitavano a lasciarmi andare, ho chiuso gli occhi e ho chiesto al Mediterraneo di portarmi via, l'ho supplicato e implorato, e quando li ho riaperti, un'altra isola mi aveva accolta. Ero sull'isola che non c'è. E stavolta, c'eri anche tu. Ho dovuto toccarti per realizzare che ci fossi davvero, e quando le mie mani hanno sfiorato il tuo volto ho capito che non te ne saresti più andato. E' bastata un'ora, poi tutto ha cominciato ad andare veloce, velocissimo. I giorni hanno cominciato a susseguirsi incessantemente, nonostante pregassi l'Universo di rallentare, per una volta, una volta sola. E prima che potessi accorgermene sono arrivate le passeggiate insieme, quando cercavamo di non perderci nel caos di una città che sembrava così simile alla nostra, in mezzo ai profumi delle taverne e delle pasticcerie, col naso all'insù mentre osservavamo le lanterne appese tra una strada e l'altra. E mentre ridevamo di cuore per ogni sciocchezza, avevo bisogno di fermarmi all'improvviso per tenermi il cuore tra le mani, per stringerlo forte, accarezzarlo, e sussurrargli che finalmente poteva lasciarsi andare, poteva tornare a pompare sangue, a battere al doppio della velocità perché andava bene così. Mi basti davvero solo tu per essere felice? Ti ho vissuto intensamente, ho assaporato ogni momento, ho impresso ogni carezza, ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto. Io sono stata tua e tu sei stato mio, per un secondo che è durato millenni, tra le strade e i palazzi, tra la sabbia e il mare. Tra il cielo e la terra, senza troppe spiegazioni, senza troppi fronzoli. Eravamo quel che eravamo, non avevamo bisogno di dircelo, gli altri non avevano bisogno di chiedercelo. Eravamo io e te, ed eravamo quello che ci era concesso di essere in quello squarcio di tempo, quello che non ha nome, non ha stato, non ha perché. E per una volta non abbiamo dovuto fingere nulla. I nostri sguardi attraverso un tavolo pieno di persone, i nostri sorrisi nell'udire parole comprensibili solo a noi, le nostre carezze velate, i nostri abbracci veloci. I dolci smezzati, il gelato sciolto in mezzo a una piazza semivuota mentre stava per cominciare a piovere. La volontà di rendermi partecipe in ogni tuo discorso, il tuo cercarmi costantemente, con gli occhi o con le mani che mi stringevano forte le braccia, per farmi capire che volevi che fossi presente. Il tuo voler imporre la mia presenza a chiunque ti circondasse, il tuo difendermi, le piccole attenzioni.
"Dai un morso" oppure "assaggia, so che non l'hai mai provato".
- "Se lo prendo, te lo mangi con me?"
- "Mi prendi quella bruschetta? Sí, so che è l'ultima, grazie. In realtà l'ho presa per te, so che la volevi"
- "Hai dormito bene?"
- "Così sei comoda?"
- "Perché sei triste? dici a me, risolviamo insieme".
E tutto questo, ti pare poco? Ti pare poco tornare dal mare alle diciannove e quarantacinque, stanco e assonnato, e correre a piedi per mezza città solo per poter arrivare prima delle venti, orario di chiusura di quel negozietto tanto carino e prendermi quella statuetta di cui mi ero innamorata il giorno prima? Ti pare poco avere a cuore ogni cosa che mi riguardi senza darlo a vedere? Non sei mai stato il tipo da gesti eclatanti, parole dolci, affetto eccessivo o smancerie pubbliche. Ma non hai mai smesso di dimostrarmi quanto ci tenessi a me, in ogni modo possibile e immaginabile. Anche quando dovevi limitarti, anche quando pensavo di non essere niente per te, tu facevi qualcosa per smentirmi. Scusami per aver dubitato di te, ma il mio essere un'anima antica, un'anima malinconica e paranoica non mi ha mai fatto pensare che potesse esserci qualcuno disposto a restare per me. E ancora adesso, che domani è già Settembre e la prima pioggia arriverà a lavare via tutto ciò che mi ha portato questa estate, anche ora che la routine ripiomberà su di noi, e ci butteremo a capofitto negli impegni e nella vita di tutti i giorni, io non potrò dimenticare ciò che è stato. Non potrò dimenticare questa estate che è stata la fine e l'inizio di noi. Questa estate che ha superato, nella sua estrema semplicità, ogni aspettativa. Non posso dimenticare tutte le prime volte che mi hai dato, ancora, non posso dimenticare chi sei stato, i panni che hai vestito, gli attori che siamo diventati e la magia che hai portato nei miei giorni estivi. Le notti insieme a te, passate al buio, io che senza una lucina non riesco a dormire. Ma il buio con te non mi faceva paura, era luminoso, era caldo, come la mia guancia sul tuo petto che si alzava e si abbassava e mi faceva capire che nessuno poteva farmi del male se c'eri tu a proteggere i miei sogni. Il suono della tua risata rimbomba ancora tra le strade di quell'isola, i tuoi occhi sono ancora impressi nelle vetrine dei negozi, e i tuoi passi fanno ancora eco sull'asfalto, gli ombrelloni vuoti custodiscono ancora la tua ombra, il mare accarezza ancora i tuoi capelli. I nostri sguardi sono rimasti lì, continuano a cercarsi da una parte all'altra di quel ristorante, dicendosi cose troppo proibite per essere pronunciate ad alta voce. E ancora oggi, ancora adesso, dopo milioni di secondi passati insieme, dopo lune sorgenti e calanti, dopo albe e tramonti, io non so se resterai, non so che cosa ne sarà di noi. Non so se siamo destinati a percorrere la stessa strada, a sorvolare gli stessi oceani e a condividere gli stessi orizzonti, ma almeno ho la certezza che resteremo eterni. So che la nostra essenza è ancora intrappolata lì, tra vicoletti bui e panchine vuote, tra murales e mercati, tra chiese e cattedrali. E se un giorno dovessimo perderci e la malinconia sarà troppa, tu torna sull'isola che non c'è, e ci ritroverai seduti schiena contro schiena, bloccati nell'attimo in cui, sottovoce, ci siamo promessi di appartenerci, come Wendy e Peter. Sssh, ascolta. Senti? Se tendi l'orecchio, stiamo ancora ridendo.

* * *

Nota dell'autrice:

Mamma mia, ragazzi, ma da quanto non pubblicavo qualcosa. Come è andata la vostra estate? Non avete idea di quante bozze io abbia, che poi per una cosa o per un'altra non riesco a pubblicare. Questa storia l'ho pensata, scritta e corretta interamente oggi. So che è assurdo, ma la fine dell'estate e l'inizio metaforico dell'autunno mi lasciano addosso sempre una grande malinconia. Questa per me è stata un'estate strana. Fatta di cambiamenti, di alti e bassi (forse più bassi) di perdite e di scoperte. È stata un'estate dal sapore agrodolce, che non dimenticherò mai più per tutti i giorni che mi restano. Spero che possiate apprezzarla, come sempre, vi affido le mie parole.

Vi mando un bacio grande,
- Emma.

L'Isola Che Non C'è || O.SWhere stories live. Discover now