Parlami di Dio

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Metti su ancora quella maschera, avanti. Quanto vorrei parlarti e dirti la verità, Jeongin.

Sei seduto sull'altare a gambe incrociate. Provi a strimpellare la chitarra; ancora non hai imparato. I capelli ti cadono sugli occhi, concentrati mentre cerchi di creare una melodia. È finita così, e vorrei stesse ancora iniziando.

Ti ho detto una bugia piangendo. Forse credevo che le bugie in buona fede salvino più dei peccati. Forse non mi vuoi.

Chi ti può salvare, Jeongin?

Sei nato dentro questa chiesa, tra visi familiari e gentili. Hai imparato il tono con cui pregare e rivolgerti a Dio, come leggere le scritture e a come cercare di vivere secondo i suoi insegnamenti. Canti ogni canzone e leggi ogni versetto facendo dipendere da questo la tua vita.

Mi hai conosciuto tra queste quattro mura. Ti sei avvicinato a me e mi hai sorriso. Nella mia ingenuità adolescente ho pensato che se tu credevi in Dio, allora Lui doveva esistere per forza. Se tu ci credi, non ci penserò due volte a prostrarmi ai Suoi piedi.

Mi invitavi a casa. Mi leggevi un capitolo. Discutevamo. Ridevamo. Perdevamo il senso del tempo. Mi abbracciavi e mi dicevi che eri contento fossimo amici. Ti avrei baciato ogni singola volta. Forse lo volevi anche tu.

Hai gli occhi scuri come pozzanghere di fango, te l'hanno mai detto? Dicevi che non avevano mai abbastanza luce, che solo l'azzurro e il verde riflettono i raggi del sole. Lo scuro non ha spazio per la luce.

Non sono mai stato d'accordo, ma tu non cercavi in me le risposte alle tue domande (né pretendevo lo facessi). Non ho mai capito se ti volessi elevare al cielo e avvicinarti alla purezza veramente, mentre cercavi ogni modo per affossare te stesso nella terra.

Portavi sempre una camicia bianca di lino, le maniche larghe neanche arrivavano ai polsi. Io iniziavo per la seconda volta l'Università, tu ti stavi prendendo un anno sabbatico. Per capire cosa volessi veramente, dicevi. Lo sai, ora?

La domenica presentavi devozionali biblici e mi stupiva sempre il tuo modo così attento di vedere il mondo. Fino a quando non hai iniziato a tardare e tua mamma non si presentava più a messa; fino a quando non venivo a cercarti in casa dopo le decine di chiamate perse; fino a quando non avevo più notizie; fino a quando... Fino a quando Chan non mi mandò un messaggio. E i miei occhi non volevano crederci.

Tu fra tutti, Jeongin. Così pulito e innocente Jeongin, con la voce di miele e lo sguardo che ha chi solo ha conosciuto l'Amore più puro (ed ha imparato ad amare). Tu fra tutti, Jeongin; di colpo così sporco e senza speranza, dimenticato da Dio. O forse tu avevi deciso di dimenticarlo. E lì ho creduto a quello che dicevi, in quel momento ho creduto che il tuo nero non potesse ospitare il bianco.

Non dissi nulla a nessuno. Non ho detto nulla a nessuno.

Sei tornato qualche mese dopo; con la camicia di lino e il sorriso infantile e dolce di sempre. Mi invitavi a casa, ti leggevo i tuoi versetti preferiti - non potevo non riconoscerli, sapendo della tua abitudine di sottolinearli in azzurro.

"Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono. Abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle cose umili. Non vi stimate saggi da voi stessi." leggevo, come fosse una favola.

La tua testa appoggiata alle mie gambe. Era già un paradosso. E tu, che sembravi piccolo e insignificante come un granello di sabbia in mezzo al deserto. Ti sentivi così, vero?

Era un luglio afoso. Accanto a noi, la finestra era aperta alle stelle. Soffiava una leggera brezza. Zzzz. ... Zzzz. ... Zzzz. ... Le zanzare giravano per la stanza, attratte dalla luce della abat-jour sulla scrivania.

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