16. Memento Vitae

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Michelito era seduto su una sedia imbottita nera e fucsia, facendola girare pigramente puntellandosi con un piede a terra. Stava mescolando una tazza piena di caffè e ginseng solubile con un cucchiaino, parlando ad alta voce, e mentre parlava le sue parole comparivano sullo schermo del portatile aperto sulla scrivania.

«Con la presente comunico in data odierna... le mie dimissioni dall'incarico di supervisore...».

Michelito si era svegliato presto. Il cielo nuvoloso e pallido aveva appena iniziato ad illuminarsi d'alba, e lui si era alzato dal divano sfregandosi le braccia, infreddolito. Doveva essere stato davvero stanco per riuscire ad addormentarsi così.

Memore della promessa fatta la sera prima aveva chiamato Ale immediatamente; per tutta risposta lei gli aveva detto un paio di parolacce per averla svegliata.

«Eh oh!» Esclamò lui «Mi hai detto tu di chiamarti! Che scorbutica...».

Entrambi avevano avuto modo di rassicurarsi a vicenda sul proprio stato di salute (e ne avevano avuto bisogno) e di scambiarsi diversi insulti e considerazioni scherzose.

«Sono stanca» Aveva detto alla fine Ale «Non ho chiuso occhio stanotte, perciò vado a svenire sul letto per qualche ora, ma sono contenta di sentire che sei ancora vivo, scimmietta»

«O magari sono una scimmietta non-morta» rispose lui in tono misterioso

«Non mi dai l'impressione giusta, io ti sento vivo. Se non mi lasci dormire però potresti diventare una scimmia morta e basta»

«L'aspirazione di una vita. E va bene! Buono svenimento, Ale»

«Buona mattina, Miche».

Il giovane aveva avuto l'urgenza di farsi una doccia calda a chiamata finita, per poi uscire dal bagno e aggirarsi per casa solo con un paio di boxer – decorati a dolcetti multicolori, visto che non possedeva capi d'abbigliamento sobri – e degli orecchini semplici.

Michelito rilesse per l'ultima volta l'e-mail di dimissioni prima di ritenersi soddisfatto e intimare al computer di spedirla al destinatario.

«Adesso, cibo» Si disse ad alta voce, mettendosi in piedi. Si sfregò le mani insieme, picchiettando col proprio potere l'impianto di riscaldamento perché si accendesse. I suoi piedi nudi facevano il suono di un tenue applauso contro il pavimento, e ricordò di aver dimenticato le scarpe a Tana Viverna. Non era un problema, sarebbe passato più tardi a prenderle.

«Mettiamo su anche un po' di musica musica musica...».

Si accovacciò di fronte alla sua colorata collezione di CD. Michelito ascoltava una quantità di musica enorme, ma solo i suoi artisti preferiti potevano guadagnarsi un posticino sulle sue mensole, dietro i pupazzetti, le action figure e le foto.

Il ragazzo lasciò scorrere le dita sulle custodie di cartone o plastica, finché non selezionò un disco. Un uomo dai capelli ricci e gli occhi allegri come un sole, orlati di ciglia scure, gli sorrideva dalla copertina. La sua pelle era chiara, con una sfumatura quasi gialla, così diversa da quella olivastra di Michelito, ma avevano i capelli dello stesso colore. Lo sfondo della foto era una città perfetta e squadrata in bianco e nero, ma l'uomo aveva indosso un bellissimo completo colorato con rondini e fiori e sorrideva come se lo avessero sorpreso con una battuta mentre scattavano la foto.

Gli sembrò di sentire il peso confortante di sua madre che si appoggiava sulla spalla e picchiettava quella piccola faccia stampata, come aveva fatto tante volte, per dirgli "Eccolo qua, l'uomo più bello del mondo". Zio Valder avrebbe aggiunto: "Prima che nascessi tu, ovviamente" e gli avrebbe scompigliato i capelli.

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