Squilla il telefono, tutto è pronto.


Ginevra respira lentamente e ritmicamente, come in una delle sue lezioni di yoga. «Pronto» risponde alla chiamata con una calma solo apparente. Una voce metallica, evidentemente modificata, interrompe il silenzio tra loro. «Signorina Ferrari, mi dispiace che abbia dovuto inventare un titolo solo per cercare di scoprire la mia identità» esordisce cercando di spaventarla ma lei resta impenetrabile. «Forse, o forse no. Non è un bluff mio caro, ho solo riportato le esatte dichiarazioni del capitano Pellegrini» risponde con un tono autoritario tipico della perfetta giornalista. «Il capitano Pellegrini è troppo coinvolto in questa storia, farebbe e direbbe di tutto per riavere la mia Adele.» Le sue parole quasi mi gelano il sangue. La sua Adele. Devo fermare quest'uomo. «Facciamo così, parliamone di presenza, incontriamoci, mi faccia vedere che Adele sta bene, io ritiro il mio articolo in cambio. Una cosa io, una cosa lei» chiede impugnando una penna sperando che gli conceda un indirizzo. Una risatina prima di rispondere e poi: «Mia cara, stanno per identificare il segnale della chiamata, la devo salutare prima che i miei piani vadano in frantumi, è ancora presto per conoscerci.» E riaggancia lasciando che il suono della linea libera sia l'unico segno percettibile nella stanza.


«Non è finita» cerca di rassicurarmi poggiando una mano sopra la mia e appoggio la schiena alla poltrona concentrandomi completamente sulle ultime parole del killer. Contraggo leggermente la fronte nel risentire le sue parole nella mia testa, forse perché non mi quadra qualcosa se ripenso a qualche particolare del caso. «Vedrai che la troveremo.» Cerca di rassicurarmi, ma non riesce nel suo intento, e lascia il mio ufficio chiudendo la porta alle sue spalle. Qualcuno bussa alla mia porta.


«Capitano! Abbiamo un segnale a circa cinquanta chilometri da qui, il telefono si è agganciato a una cella e l'abbiamo preso un secondo prima che staccasse.» L'annuncio del maresciallo lascia che si scateni in me un brivido di felicità che non posso dare a vedere. Gli sorrido brevemente, un lieve piegarsi delle labbra e un contemporaneo vago distendersi del volto. «Setacciate la zona, voglio tutte le pattuglie impegnate, voglio che Adele stasera torni a casa, adesso!»


In città è piena notte adesso, io e la mia squadra, dieci pattuglie, il comando di Seletino e il papà di Adele siamo sulle tracce del serial killer e di Adele. In simili frangenti il tempo fa la differenza fra la vita e la morte.


Ginevra non ha ritirato il suo articolo anzi, ne ha pubblicato un altro in serata per aizzare ancora di più il killer ed esporsi ancora, fino a farsi scoprire. Abbiamo fermato centinaia di auto da stamattina ma niente che riconducesse ad Adele. Una telefonata mi spinge ad allontanarmi dal posto di blocco e dai colleghi. Dopo qualche squillo, accetto la chiamata. Una voce femminile, tonda, molto gradevole, non troppo squillante, viene fuori da un ambiente molto probabilmente chiuso, ma con qualche vocio e suono di fondo.


«Capitano mi scusi per il disturbo, sono Alessandri, Marta, la tirocinante che lavorava con la dottoressa De Lancia, non vorrei disturbarla...» il suo tono è preoccupato. «Mi dica, sono in servizio...» rispondo sperando che si sbrighi a parlare anche se il tono interrogativo, avendo visto un numero che non conosco, non è sor-preso, come fosse comunque un'abitudine. «Ehm, sì... sì, mi scusi. La disturbo perché stamattina il dottor Deira è venuto in ufficio da noi cercando di entrare nell'ufficio della dottoressa De Lancia perché cercava qualcosa e ovviamente non lo abbiamo fatto entrare...» Un momento di silenzio dopo la risposta della donna, prendo un profondo respiro. 

La figlia del MarescialloWhere stories live. Discover now