Il libro dei classici

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Sophia controllò bene di essere sola prima di entrare nella Biblioteca cittadina. Non amava essere al centro dell'attenzione.
Sin da quando era bambina i suoi genitori la portavano a feste stravaganti e balli vistosi per mostrarla come la loro "bella, bellissima Sophia May Dange", e lei li odiava per questo. Quando a dieci anni fu vittima dell'incidente che le lasciò una sottile ma ben visibile cicatrice lungo il viso, quasi fu grata alla volpe che l'aveva sfregiata. I genitori la iniziarono a trascurare, però: non era più la loro bellissima Sophia. I suoi coetanei la prendevano in giro, i suoi amici la ritenevano troppo malata. Era triste, eppure sentiva un senso di libertà nel non essere più ritenuta la reginetta di Algester. I suoi genitori rimanevano comunque i più grandi nobili della città conosciuti da tutti: non potevano smettere improvvisamente di mostrare la figlia, gli serviva una scusa. Così, nacque Amelia, e Sophia perse il suo valore.
A dodici anni Sophia iniziò ad uscire da Algester Hall e passò sempre più tempo tra le mura della Biblioteca Cittadina. Era un luogo caldo e accogliente, dove nessuno la infastidiva. Solo pochi ritenevano i libri necessari per la loro vita, e ciò la rassicurava.
Col tempo Sophia iniziò ad amare i grandi classici contemporanei. Sherlock Holmes, Dorian Gray e Jane Eyre erano all'ordine del giorno. Amava quei libri con tutta sé stessa ma... Lei non era come loro. Non era, intelligente come Sherlock, bella come Dorian né tantomeno cordiale come Jane. Divenne così, poco alla volta, insicura.
L'interno della biblioteca era riscaldato attraverso un camino dal quale proveniva uno scoppiettio regolare, le pareti di mattoni le davano un familiare senso di conforto.
Non dovette neanche pensare a dove andare, tanto che conosceva bene la strada per l'angolo lettura. Si accomodò sulla poltrona rossa e strinse al petto Jane Eyre, che aveva lasciato su un tavolino tempo prima. Inspirò piano per assimilare il profumo di tutti quei volumi e chiuse gli occhi. Quando li riaprì una striscia rosea attirò la sua attenzione; ripose con cura Jane Eyre e si avvicinò a quella bella copertina.
Nessun titolo. Nessun autore. Nessuna trama.
La copertina era completamente vuota. Rigirò il volume tra le mani un paio di volte, poi lo aprì... E il mondo scomparve.
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Un vortice di buio l'aveva portata in un'altra realtà. Sophia non era spaventata, più sorpresa. Era in una stanza vuota; le pareti erano dello stesso rosa della copertina del libro, che non aveva più tra le mani. Si stava sedendo quando una ragazzina col naso in un libro le spuntò accanto. Sophia sobbalzò, poi calmandosi disse "Ciao."
La ragazzina alzò gli occhi: "Oh, ciao. Sei Sophia? Be' mi pare di sì. Io sono Jane, Jane Eyre."
Sophia per poco non svenne. "Quella Jane Eyre!"
"Sì, e tu sei Sophia, l'ho già detto."
La ragazzina chiese il motivo della sua presenza, e Jane rispose con
un vago "Perché no?" seguito da un "Dobbiamo andare." Dato che Jane era la sua idola, Sophia non poteva che ubbidire.
"Dove andiamo?"
"A Thornefield."
E attraversarono il muro.
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Vista dall'esterno Thornefield Hall non era proprio come se
l'aspettava Sophia: era più tenebrosa e grande. Il giardino era più spoglio.
"Allora, vuoi entrare?" Disse una voce di donna. Sophia si girò e si trovò nuovamente davanti a Jane, ma la Jane diciottenne. Non osò fare domande.
Attraversarono corridoi su corridoi e arrivarono in biblioteca.
"Accomodati Sophia." Incalzò Jane prendendo una teiera fumante "Gradiresti del tè?"
La piccola Dange annuì. "Per quale motivo sono qui? Non starò mica sognando?"
Versando il tè Miss Eyre rifletté "Thornefield Hall fa più parte degli incubi, piccola mia." Questo confuse ancora di più Sophia.
"E come ci sono arrivata qui?"
"Ti ho accompagnata io attraverso le strade di campagna."
"No, intendo nella stanza rosa."
"Oh, lì. Attraverso un libro indubbiamente. Il Libro dei Classici."
"E ora dove mi trovo? (In che luogo generico, non Thornefield)."
"Nella Terra dei Classici." Jane sorrise. Sophia non domandò altro. Iniziarono a sorseggiare il tè caldo.
"Sei qui perché ti serviva aiuto, non è vero, Sophia? Ti serviva
aiuto?" Esordì improvvisamente Miss Eyre.
La ragazzina ci pensò su.
Annuì.
"Non posso aiutarti, mi spiace. Però voglio dirti due parole: quando ero piccola ero una grande chiacchierona, poi andai a Lowood. Non puoi immaginare quanto fu difficile per me abituarmi ad essere così crudelmente punita. Uscita da Lowood ero un'altra; ero insicura, non mi esprimevo, reprimevo i miei sentimenti e le mie passioni..."
Sophia iniziò a capire il discorso di Jane, forse.
"Ma Mr. Rochester era troppo per me, seppur nascondendo un lato oscuro. Lo amavo, e lui amava me. È importante esprimersi, Sophy, lo capisci vero? Non devi nasconderti, peggiorerai le cose. Avrei potuto scoprire di Bertha molto prima se avessi parlato con Mr. Rochester un po' di più. Avrei potuto sposarlo tranquillamente. O magari non sarei nemmeno andata a Thornefield, ma sarebbe stato comunque fantastico, perché sarei stata me stessa."
Sophia aveva gli occhi incollati a Miss Eyre e non si curava nemmeno del bruciore che le provocava il calore della tazza tra le sue mani. Lei adorava Jane Eyre, era senz'altro la sua guida, come poteva non ascoltarla? Non seguire il suo discorso passo per passo, senza paura di sbagliare? Jane era coraggiosa e intelligente, riservata e gentile. Era la perfezione fatta a persona, per Sophia.
Miss Eyre sorseggiò l'ultima goccia di tè e diede un rapido sguardo all'orologio. "Alzati Miss Dange, per favore." Sophia obbedì e la seguì fino a tornare nuovamente al grande cortile. "Perché siamo di nuovo qui?" Chiese la ragazzina.
"Lui ti sta aspettando." Rispose Jane guardando dritto davanti a sé.
"Lui chi..." Sophia non fece in tempo a terminare la domanda ché cadde a terra priva di sensi.
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"Tè?"
Una voce lontana accarezzava l'udito di Sophia; si alzò piano con gli occhi socchiusi. Aprì infine gli occhi.
"Tè?" Insistette la voce, maschile.
"No grazie, ne ho bevuto sin troppo, non preoccupatevi..." Realizzò chi aveva davanti.
"Sherlock Holmes." Disse spiazzata.
"In persona, Miss Dange. "
Devo star sognando, constatò.
"Se stessi sognando cambierebbe qualcosa?"
Non poteva averle letto nella mente. Aveva forse parlato ad alta voce?
"Oh, non preoccupatevi Miss Dange, non so leggere la mente -
sfortunatamente- ma so leggere le sue espressioni, i suoi occhi. Non potete sapere quanto si può ricavare da un unico sguardo..."
Non sapendo cosa rispondere, Sophia ingoiò un biscotto da tè.
"Vi chiedete perché siete qui, vero?"
Annuì. Sono davanti a Sherlock Holmes, e prima ero con Jane Eyre!
In realtà Sophia stava ancora elaborando.
"Sai dove ci troviamo almeno?"
Guardandosi intorno vide un camino con una pantofola per il
tabacco. C'era anche un tavolo con due sedie appresso, solitamente vi sedevano Watson e Sherlock, ricordò Sophia. Infine c'era una scrivania vicino ad una porta, che portava probabilmente alla camera da letto.
Contando poi le poltrone Sophia ebbe il suo verdetto: "Siamo in un salotto."
"Siamo al 221B di Baker Street."
Informazione scioccante per Miss Dange.
"Che ci faccio qui?" Disse, in preda all'ansia.
Holmes si accese una pipa: "Vedete, Miss Dange, ho parlato a lungo
con Miss Eyre (che avete precedentemente incontrato, se non erro) e abbiamo avuto modo di notare le sue incertezze." Sophia trattenne il respiro "Pensate che all'inizio della mia carriera io fossi già così sicuro di me stesso?"
"Be'..."
"Credete che tutti mi apprezzassero come invece fanno ora?" "Probabilmente no ma..."
"No, esatto. In molti ancora oggi mi disprezzano: non sopportano il
mio metodo di lavoro. Non sopportano l'idea del dover infrangere qualche legge, ogni tanto, per riuscire a risolvere i problemi."
Sophia si stava disorientando.
"Certo, non vi sto dicendo di infrangere la legge, Miss Dange..." Disse Holmes sciogliendo i suoi dubbi.
"Sto solo dicendo che quelle scelte mi rappresentano. Non
m'importa di quanto siano pericolose, quelle scelte sono me."
Sherlock aveva alzato i toni, così Sophia indietreggiò cautamente.
Nonostante la rabbia che Holmes portava -evidentemente- in corpo, non tradiva nessuna emozione: non c'era rossore sul suo viso, non si vedevano tensioni fisiche. Niente.
"Ho imparato solo poi che dovevo riflettere molto di più prima di agire." Riprese calmo "Potevo recare tutti i danni che volevo a me stesso, ma dovevo ricordare che la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri. Non potevo rischiare di ferire nessun altro oltre che me. Potevo usare i miei metodi, rimanere me stesso senza ferire gli altri però. Ed è possibile; dopotutto è questa la mia professione."
Holmes tirò un altro po' di fumo, poi guardò il suo orologio da taschino.
"Immagino di dovervi ringraziare per esservi aperto con me, Mr. Holmes..." Affermò Sophia.
"Io non mi apro con nessuno."
Dopo quella frase alquanto ambigua, Sophia ebbe uno strano giramento di testa...
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Non era nell'appartamento di Sherlock fino ad un attimo prima? Aveva letteralmente battuto le palpebre e ora era in una soffitta, dove un giovane uomo stava contemplando la vista che dava una piccola finestra sulla parete.
"Chi siete?" Chiese l'uomo.
Oramai Sophia non aveva più un briciolo di paura, né di stupore: non si sarebbe sorpresa nemmeno se l'uomo fosse stato Dio nella sua forma più umana.
"Sophia May Dange, ho tredici anni e vivo ad Algester." Si identificò osservando ciò che aveva attorno. La luce lunare proveniente dalla finestrella rotonda illuminava debolmente la stanza, Sophia poteva comunque osservare un vecchio armadio con un'anta rotta, delle sedie di legno e paglia impilate e diversi bauli. Il pavimento era marmoreo, le pareti scure. La finestra era aperta e lasciava entrare aria gelida; il soffitto era triangolare, di legno, probabilmente: la ragazzina non riusciva a vederlo. C'erano molti altri oggetti sparsi a terra, quelli che la colpirono di più erano le pile di libri adagiate al suolo con noncuranza, per non parlare del cavalletto rovesciato accastato a decine di pennelli e colori ad olio. La cosa più inquietante era certo il quadro in equilibrio in un angolo della stanza: nonostante il buio esso pareva guardarla con la follia pura negli occhi; un tempo doveva essere coperto dal telo dorato che gli era adiacente. Per di più, la porta della soffitta si confondeva tanto col muro che pareva non vi fosse via d'uscita.
L'uomo si girò e a Sophia tremarono tanto le ginocchia che stramazzò a terra. Era allo stesso tempo l'uomo più affascinante e rivoltante che avesse mai visto, davvero: il suo viso sembrava essere diviso a metà, un venticinquenne da un lato e un novantenne raggrinzito dall'altro, ciò che sconvolse tanto Sophia fu il coltello (anch'esso a metà) che spuntava dal petto dell'uomo. Fu da quello che la piccola Dange si rese conto di chi le fosse davanti: Dorian Gray.
"Tu... Tu..."
"Sono Dorian Gray. Ero giovane e bello, volevo rimanere giovane e bello." Gray iniziò a camminare verso il quadro inquietante con fare spazientito.
"Così è nato questo quadro. Mi frustrava. Sybil è morta. Ho ucciso Hallward. Mi sono pentito. Mi sono ucciso." Quell'ultima frase echeggiò in modo sinistro.
"S-so la vostra storia, Mr. Gray." Replicò coraggiosamente Sophia.
"Siete alquanto sfacciata a rispondere in questo modo a me: l'assassino più bello del secolo. Probabilmente anche l'uomo più astuto del secolo." "Per primo c'è Sherlock Holmes..."
Gray fece un passo in avanti con fare divertito, un po' da maniaco, facendo indietreggiare Sophia. "Prego?"
Sophia ammirava Dorian, ma non lo trovava la bontà in persona, nemmeno un uomo da stimare particolarmente.
"Ho detto, vostra signoria, che voi non siete l'uomo più astuto del secolo, Sherlock Holmes vi sovrasta agilmente." Fermandosi un secondo a rifletterci, proseguì "Sarete forse stato scaltro a creare quel quadro e tenerlo nascosto al mondo, un'idea geniale, per così dire. Eppure sono convinta che Holmes avrebbe potuto sventare la sua messinscena in ben poco tempo." Sophia aspettò il verdetto: l'avrebbe cacciata via? Trasformata in un quadro? L'avrebbe forse pugnalata armandosi del coltello che ancora gli sporgeva dal petto?
Inaspettatamente, Mr. Gray rise.
Inaspettatamente, Miss Dange non rispose.
"Vedo che avete perso la vostra sicurezza..." Alla vista del viso rosso e pensieroso di Sophia, Dorian Gray si sentì in dovere di proseguire frettolosamente "Oh, non c'è bisogno che vi corrucciate. Non volevo in alcun modo offenderla, tutt'altro: siete talmente perspicace che siete arrivata alla mia conclusione da sola, seppur senza accorgervene." "Ed essa sarebbe?" A Sophia cominciava a dolere la testa da tutte le informazioni ricavate quel giorno.
Mr. Gray sospirò: "Sono bello quanto ingenuo."
Sophia trasalì a tale affermazione.
"Non mi sto certo definendo sciocco, solo superficiale." La rassicurò, per così dire, Mr. Gray.
"Mi curavo solo della mia bellezza, del mio aspetto esteriore. Però, sai, all'inizio non era così: nemmeno mi accorgevo dei miei bei lineamenti, i capelli perfetti e le labbra rosate. Poi è arrivato Lord Harry. Non gliene sto facendo una colpa, ma egli mi ha cambiato: in parte in meglio, in parte in peggio." L'uomo emise un sospiro rammaricato "Lord Harry elogiava la mia bellezza, fino a farmi perdere la ragione. Da lì è nato il quadro, da lì è nato tutto.
"Ora, Miss Dange, sarà d'accordo con me se le dico che voi avete espresso bene ciò che avrei provato a dirvi..." Mr. Gray attese per una risposta o un cenno da parte di Sophia, malgrado ciò, esso non arrivò poiché la ragazzina era troppo assorta nel suo discorso per interromperlo.
"E va bene, arrivo alla conclusione: che diamine importa della bellezza quando si è così frivoli. Talmente frivoli, cara, da credersi astuti solo per aver trovato uno stratagemma attraverso il quale si è potuta ottenere la bellezza eterna. Se non l'aveste capito (cosa che non credo possibile data la sua estrema intelligenza) sto parlando di me."
Seguirono attimi di voluminoso silenzio. Sophia fissava il quadro fonte di tanta violenza, crudeltà e dolore. Il quadro non aveva colpe, era solo un oggetto creato da un innato desiderio di gioventù e grazia eterna.
"Mi dispiace."
Mr. Gray rimase sorpreso da quella affermazione; era la prima sensazione che Sophia riusciva a cogliere dal suo viso dall'inizio della conversazione.
"Grazie."
Tornò il silenzio, Sophia fissava il quadro e Dorian il paesaggio fuori dalla finestra.
"È ora di andar via." Dorian Gray prese per un braccio Sophia, la quale, dopo uno stupore inziale, lo seguì insicura attraverso il muro della soffitta che, come le era sembrato, era privo di porte.
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Sophia May Dange era di nuovo nella stanza rosea, non più vuota. Il Libro dei Classici era a terra, aperto. La ragazzina lo raccolse e senza pensarci due volte lo chiuse come chiuse anche i propri occhi.
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Sophia May Dange non era più nella stanza rosea, era in piedi nel mezzo della biblioteca di Algester.
Varcando la porta d'uscita della biblioteca non era più la stessa ragazzina che ci era entrata, era Sophia Dange: la più intelligente e sicura ragazzina di Algester; se lo ripeté lungo tutto il tragitto verso Algester Hall, tenendo saldo in mano un libro dalla copertina rosa con un grosso titolo in copertina: Il libro dei Classici.

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