3.2 Into the darkness

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La ragazza abbozzò un sorriso.

"Siamo tutti e tre d'accordo, in verità, per il semplice fatto che siamo qui. Non importa ammetterlo a voce alta".

Eagle chinò lo sguardo e tornò a sistemarsi composto sul sedile. Non riuscì ad assentire, ma nemmeno a smentire quell'affermazione. Non poteva.

"Ormai, dopo la fuga di Swan, avranno capito che avevamo un piano per scappare", proseguì Phoenix con tono più pacato, come se l'intervento della moglie lo avesse rassicurato. "Si saranno riuniti per capire dove siamo e come poterci acciuffare".

"E questo cos'ha a che fare con la nostra decisione?", domandò l'altro senza tradire nessun particolare trasporto.

"Sono tutti insieme. È l'occasione perfetta, forse l'unica che avremo mai di far finire questa brutta storia".

Eagle sussultò all'udire quelle parole e il tono cupo con cui erano state pronunciate. Doveva ammettere, almeno a se stesso, che quell'idea l'aveva sfiorato. Gli aveva perfino trasmesso una colpevole sensazione di sollievo che non riusciva a confessare. Eppure sentirla esprimere ad alta voce, in quella notte che sapeva di ferro e di Apocalisse, gli fece paura. Il suo cuore non riusciva a non tremare al pensiero di quello che avrebbero potuto fare, di quello che erano capaci di fare, di quello che stavano per fare.

Durante i giorni dell'Opera, di fronte all'oscura minaccia della Profezia, aveva accettato l'idea di poter morire: sacrificarsi per qualcosa di fondamentale non lo spaventava. Ciò che non rientrava affatto nel suo orizzonte del possibile era il pensiero di dispensarla, la morte. Aveva sempre vissuto il suo ruolo di Custode - e il ruolo di tutti loro, in effetti - come un dono positivo. Le forze della Natura che incanalavano e proiettavano erano, ai suoi occhi, benevole. Dovevano servire per supportare la vita, per migliorarla quando possibile. Non per combatterla o eliminarla.

"Phoenix", mormorò a bassa voce, chinando leggermente il capo, "c'è mio zio, in quella villa, e c'è anche il tuo. E buona parte della famiglia di Raven. Siamo davvero sicuri di volerlo fare?".

L'altro non replicò. Eagle poteva percepire la sua determinazione e, allo stesso tempo la sua rabbia. Il calore del Fuoco che emanava da lui stava aumentando d'intensità.

"C'è anche Charles, lì dentro", rimarcò, riponendo in quel nome l'ultima possibile opposizione.

Phoenix distolse lo sguardo. Lasciò che tra loro passasse solo il ronzio regolare del motore e il fruscio della pioggia.

"Un buon amico una volta mi ha detto che una singola vita, per quanto preziosa, non può essere anteposta al bene comune".

Eagle si mordicchiò nervosamente le labbra. Non si era aspettato quella risposta. Certo, ricordava perfettamente il momento, il giorno e la stagione in cui aveva pronunciato quelle parole, eppure in quel frangente non era più tanto sicuro della loro esattezza. Un velo di profonda tristezza scese sul suo viso.

"Proverò a salvare Charles in ogni modo", proseguì Phoenix, quasi atono. "Sai che proverò a farlo. Se non dovessi riuscire, però, non cambierò comunque idea. Se non salverò mio figlio, avrò comunque salvato tanti altri bambini. Tutti quei bambini che non meritano di subire quello che avete subito voi".

L'amico scosse lievemente la testa bionda e sospirò.

"Stiamo solo tentando di trovarci una giustificazione", sussurrò, un attimo prima di girarsi a interrogare lo sguardo di Ailleann. "Tu non dici niente?".

Lei si strinse lievemente nelle spalle, come se quella domanda non avesse che una sola possibile risposta.

"Cosa vuoi che dica? O puntiamo noi la pistola, o lasciamo che loro la puntino alla testa di qualcun altro senza far niente per fermarli. In un modo o nell'altro, avremo comunque le mani sporche di sangue".

Su quella parola, Phoenix frenò e spense il motore della macchina. Eagle sollevò lo sguardo di fronte a sé. Dalla posizione in cui si trovavano, il profilo elegante della grande villa si indovinava appena nell'aria fumosa, carica di umido ed elettricità.

"Facciamo due passi", lo invitò l'irlandese, uscendo dall'abitacolo e avviandosi lungo il marciapiede.

Lui lo imitò e raggiunse il punto in cui si era fermato, felice di poter respirare di nuovo l'aria della notte. La pioggia si era stancata di sferzare la città e aveva concesso una breve tregua. Il vento portava con sé odore di terra bagnata e piombo. Fulham sembrava un'immensa creatura acquattata, intenta a trattenere il fiato, in attesa.

"Finiremo tutto nel Fuoco", esclamò Phoenix guardando i riflessi sulle vetrate scure. "E il Fuoco purifica ogni peccato".

Eagle non era mai stato in grado di sottrarsi all'affinità elementare che lo legava saldamente a quella forza imparziale che distruggeva per poter ricostruire. In cuor suo sapeva di non volerci nemmeno provare. Sentire Phoenix, come solo lui poteva, riusciva a trasmettergli ogni volta l'energia necessaria per supportarlo. Era inevitabile, perché quella era la loro natura.

"Tutto nel Fuoco?", osservò ironico, mentre i suoi occhi dorati seguivano la stessa traiettoria di quelli dell'amico. "Fuori allenamento come sei e con tutta quest'acqua, sarà una fortuna se riuscirai ad accendere una candela".

"Guarda che i miracoli esistono, Eaglet!".

Di fronte a quell'esclamazione, il ragazzo non riuscì a trattenere una risata. Non aveva alcuna importanza quanto serie e profonde potessero essere le discussioni tra loro: era sempre così che andava a finire. Si girò a squadrarlo con aria vagamente divertita.

"E da quando ci credi?".

Phoenix gli ricambiò il sorriso.

"Che domande! Da quando vi conosco. Cosa pensate di essere voi, se non dei dannati miracoli? Senza te e Swan, sarei impazzito a Fulham e mi sarei strozzato da solo".

Si interruppe un istante, fece una smorfia e levò gli occhi al cielo.

"E sì, anche senza Pigeon", ammise. "Sebbene fossero più le volte in cui avrei preferito dargli fuoco che quelle in cui avrei voluto abbracciarlo".

Il viso di Eagle si distese finalmente in quell'espressione luminosa e naturale che lo faceva somigliare a una giornata di sole.

"Be', puoi provarci adesso".

"A far cosa? Dargli fuoco o abbracciarlo?".

"È cinquanta e cinquanta, no? L'ha detto lui".

Era un modo parecchio bizzarro e contorto per dirgli che era d'accordo, che non lo avrebbe lasciato solo nemmeno in quell'occasione. Sapendo quanto gli stesse costando quel , Phoenix pensò di potersi ritenere felice, senza dover pretendere altro.

Si girò appena, gli rivolse un cenno d'intesa con il capo, poi riprese a camminare con le mani affondate nelle tasche dei jeans, sminuzzando a ogni passo le luci dei lampioni che si riflettevano sulle pozzanghere.

"Andiamo a prendere Ailleann".

Laminae [SEQUEL di OPERA]Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu