Capitolo 41 - La favola della buonanotte

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La domanda che le stava martellando il cervello, era sempre la stessa: "Sarà la decisione giusta?"

Purtroppo però, l'unico modo per scoprirlo era proprio quello di scendere da quell'auto, avvicinarsi ai citofoni e sperare che lui avesse avuto voglia di ascoltarla. Con passo incerto raggiunse la sua meta, schiacciando con la punta dell'indice il tasto che riportava il numero del suo appartamento. Attese, mentre il suo inconscio le urlava di andarsene via.

Udì la sua voce, uscire leggermente metallica da quell'altoparlante. «Sì?» domandò lui.

Ember restò in silenzio, intanto che gli ultimi dubbi le suggerivano cosa fare. E poi, alla fine, quando Damian stava per tornare alle sue faccende, assumendo che chiunque fosse avesse sbagliato, sentì una voce dargli finalmente una risposta.

«Voltaire diceva: "Ama la verità, ma perdona l'errore."» una voce che in quei mesi aveva imparato a conoscere, che era entrata a far parte del suo quotidiano e che, ultimamente, gli era mancata da morire. «Lo so che mi hai chiesto del tempo, che non vuoi parlarmi e tutto il resto... però, credo che se uno come Voltaire la pensava così, allora anche tu dovresti darmi una possibilità per spiegarmi» continuò, capendo che ormai non aveva più tempo per tornare indietro.

Damian prese un lungo respiro, restando attaccato a quel citofono e cercando di capire cosa fare. Era stata una bella mossa da parte sua presentarsi lì e citare uno scrittore del calibro di Voltaire. Ancora una volta, la ragazza aveva giocato bene le sue carte, attirando la sua attenzione, puntando alla sua mente e al restare sempre impressa dentro di essa. «So che sei ancora lì» aggiunse, non ricevendo da lui alcuna risposta. «Tra i due dovresti essere tu quello adulto. Sta per fare buio, non dirmi che vuoi davvero lasciare fuori, da sola, al freddo, una ragazza che è venuta fin qui solo per parlare con te» insistette, costringendolo a trattenere un sorriso.

Chiuse gli occhi, passandosi una mano nei capelli e cedendo, davanti alle sue argomentazioni. Le aprì la porta del palazzo, permettendole di entrare. Ember tirò un sospiro di sollievo, felice di aver oltrepassato almeno quel primo scoglio. Nell'attesa che l'ascensore arrivasse e che la portasse fino al piano del suo appartamento, provò a riflettere su cosa avrebbe dovuto dirgli, ma sembrava che in quel momento la sua mente fosse del tutto vuota. Non riusciva a pensare a niente, nessuna parola, nessun discorso. Nulla.

Si fermò davanti alla porta di casa sua, con una mano a mezz'aria, pronta a bussare per avvisarlo che fosse arrivata. Ma non ce ne fu bisogno, perché ancora prima che potesse compiere quel gesto, lui aprì. Con la maniglia stretta tra le dita, la fissò dall'alto, osservandone i lineamenti del volto che sembravano nascondere ogni emozione dietro una maschera di falsa tranquillità.

Gli occhi di Ember si alzarono, incrociando i suoi e avvertendo una fitta allo stomaco.
Kaden le aveva detto di andare da lui e di essere sincera, eppure in quel momento le sembrava impossibile raccontargli il perché di ciò che aveva fatto. Voleva davvero rivelargli la parte più conturbata di sé? Voleva davvero la sua compassione?

Avrebbero voluto dirsi tante cose, però nessuno dei due aveva il coraggio di cominciare. «Non è il caso di stare qui sulla porta» proclamò Damian, lanciando un'occhiata al corridoio e scostandosi poi leggermente per farla passare.

La ragazza entrò in quell'appartamento, tra le cui mura aveva imparato ad ambientarsi. Le pareti di quella casa avevano visto tanto di loro due, sin da quando la loro storia era nata. E adesso, stavano per scoprire come si sarebbe evoluta dopo tutti gli eventi a cui erano andati incontro.

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