QUINDICI

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Jeongguk fu felice di notare che a casa di Taehyung avessero smesso di usare le posate migliori con lui: quella sera, Manfred gli chiese di aiutarlo ad apparecchiare e gli indicò uno scomparto interno alla cucina, invece di uscirne e tornarvi con una pila di piatti troppo costosi per lui, così delicati da sembrare trasparenti.

Era come un'ulteriore conferma, un modo per dirgli che poteva sentirsi come se fosse a casa sua perché, in un certo senso, lo era diventata.

«Oggi saremo solo noi due» annunciò Manfred, finalmente sedendosi a tavola.

Lo sguardo di Jeongguk guizzò su di lui, così istintivo e veloce che non ebbe il tempo di celarne la delusione.

Manfred gli fece un sorriso comprensivo. «Taehyung è da Sofia per la notte e Jeongin ha degli... impegni».

«Signor Kim, può dirlo che è andato in discoteca».

Manfred rise soltanto e iniziò a riempirgli il piatto. Sembrava nervoso, aveva cercato di nasconderlo irrigidendo le braccia e stringendo i piatti con troppa forza. Mentre cucinavano insieme, aveva evitato più volte lo sguardo di Jeongguk, ed era parso fin troppo pensieroso e distratto.

«Signor Kim...» ripeté Jeongguk, spostando il cibo sul suo piatto con la forchetta, «ha qualcosa da dirmi?»

Lui si fermò, con la bocca ancora piena, e lo guardò mentre deglutiva quasi a fatica. Poi sospirò e forzò un sorriso, impregnato di nervi e tremore. «A volte dimentico quanto tu sia intelligente...»

Jeongguk roteò gli occhi e si infilò una fetta di carne in bocca. «Le tremano le mani, Signor Kim. Anche Taehyung l'avrebbe notato».

«Beh...» lo scrittore arricciò le labbra. «Non so se sia qualcosa di cui parlare a cena, ma è molto importante. C'entra... con chi si prenderà cura di te d'ora in poi».

Gli ci volle un secondo in più per capire, ma Jeongguk sperò di aver sentito male. «Scusi?»

Manfred si passò una mano sulla nuca. «Senti... io ho fatto il possibile, ma sono cose più grandi di noi. Non puoi... restare qui».

Seguì qualche minuto di silenzio, perché Jeongguk masticava e masticava e si rifiutava di ingoiare, e Manfred voleva dargli il tempo che gli serviva. La cosa lo fece incazzare. A volte non aveva bisogno di tempo, aveva bisogno di qualcuno che gli sbattesse la cattiva notizia in faccia senza dividerla in più parti, in più schiaffi sul viso. Ma non poteva pretendere molto, non quando Taehyung era l'unico a capire davvero come comportarsi con lui.

«Sono stato... adottato?»

Manfred serrò le labbra e attese qualche secondo prima di annuire. «Sono due donne, Carol e Gia. Vuoi che ti parli di loro?»

Jeongguk sembrò pensarci, le labbra rilassate e schiuse. Aveva smesso ormai da qualche giorno di stringere i denti e strofinarli tra loro senza nemmeno rendersene conto, torturarsi le labbra e poi leccarle sperando che smettessero di bruciargli. Riprese in quel momento.

Poi finalmente scosse la testa. «Quando posso incontrarle?»

-

Erano le tre di pomeriggio, il sole era ancora alto e non c'erano nuvole, ma il freddo riusciva a penetrargli nelle ossa nonostante tutto. Taehyung entrò nella sala d'attesa un minuto prima del suo appuntamento e non perse tempo a sedersi, si avviò verso lo studio in fondo al corridoio.

Il contrasto tra i quattro gradi che gli avevano reso le mani gelide e i ventiquattro della clinica gli fece arricciare il naso. Odiava sudare.

il club dei cuori spezzati // ggukv | (in revisione)Where stories live. Discover now