Seduti al tavolo

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Ed eccoci qui, seduti a questo tavolo a fissare tutto eccetto noi.

Nessuno fiata, sembra che non ci sia nulla da dire, eppure avremmo così tante cose da raccontarci. Come siamo diventati così freddi, è passato soltanto un mese, ma sembriamo due perfetti sconosciuti. Possibile non sia rimasto nulla, abbiamo davvero azzerato tutto quanto? Dove sono finiti i nostri sogni, quei piccoli progetti che stavamo costruendo; ora quei sentimenti che ci parevano così grandi sembrano insignificanti.

Chissà se ricordi ancora il giorno che ci conoscemmo. Sembrò una scena rubata a un film: entrambi correvamo per andare ai rispettivi lavori, quando casualmente ci scontrammo attraversando la strada, a te cadde la ventiquattrore, mentre io persi il plico di fogli che trasportavo; grazie al cielo l'avevo fatto rilegare. Ci chinammo per recuperare le nostre cose nello stesso istante, sbattendo la testa l'uno all'altro; che scena buffa dev'essere stata per i passanti.

Scoppiasti a ridere, una risata genuina, bella e contagiosa, come non né avevo mai sentite, mi rimase talmente tanto impressa che la riconobbi una settimana dopo il nostro scontro. Ci trovavamo nello stesso pub, tu seduto al bancone con alcuni colleghi, mentre io ero lì, su quella sedia scomoda, tutta da sola a bere quello che di alcolico forse teneva soltanto il nome.

Restai a guardarti per tutta la serata, come imbambolata, rimasi di fatto molto sorpresa quando riprendendomi ti vidi seduto davanti a me. Passammo l'intera serata a chiacchierare e a ridere, come se ci conoscessimo da tanto tempo, come se fossimo amici da tutta la vita.

E quando ti dichiarasti? Lo ricordi? Ormai ci conoscevamo da un anno, era estate, avevamo deciso di partire per una vacanza, qualcosa di tranquillo avevamo detto, ancora non mi spiego come da un viaggio di due persone si arrivò a otto. Dissi addio al mio sogno di un campeggio rilassante.

Noleggiammo un pulmino, sembravamo una banda di scolaretti alle prese con una gita scolastica, eravamo troppo chiassosi, riesco ancora a immaginare le facce degli altri automobilisti che ci videro passare con la musica sparata al massimo.

Per quanto le premesse di quella vacanza fossero le più disastrose possibili, mi divertii moltissimo, ma nella mia testa resterà sempre la scena di te che durante l'ultima notte al campeggio, mentre tutti dormivano, venisti a prendermi nella mia tenda, sul tuo viso un'espressione fin troppo seria, tanto che mi spaventasti.

Mi portasti a fare quattro passi sotto le stelle, quando a un tratto mi prendesti la mano facendomi fermare con te. I tuoi occhi fissi nei miei mentre mi chiedevi di essere la tua compagna; fui la ragazza più felice di quel viaggio.

Allora, perché ora siamo così distanti? Forse avevi ragione tu, il tempo con noi era stato ingiusto, ci aveva tenuti lontani più di quanto meritassimo e questo n'era il risultato. È per questa ragione che nessuno apre bocca?

Quanto mi piacerebbe vederti prendere in mano la situazione per una volta, ma so come sei fatto. Forse anche in questo momento stai aspettando che sia io a fare il primo passo, a parlare, a guardarti, perché diciamocelo anche tu hai bisogno delle tue certezze. Siamo stati tanto stupidi, ingenuamente abbiamo voluto credere che tutto fosse tornato come all'inizio. È evidente che non sia così... che immenso sbaglio.

La porta del ristorante si spalanca nuovamente, per la nona volta da quando siamo seduti qui, già, le ho contate. Un gruppetto di ragazze fa il suo ingresso e una particolarmente minuta spicca tra di loro, è bella e dal suo viso probabilmente ha anche tre o quattro anni in meno di me.

Si gira e, come se sapesse esattamente dove guardare, i suoi occhi si posano su di te. Urla il tuo nome, non c'è dubbio, ti conosce e non a caso si è allontanata dalle sue amiche e si sta avvicinando. È la tua nuova ragazza? Quanto vorrei domandartelo, ma non ho nemmeno il coraggio di guardarti, come potrei chiedertelo. In questo istante vorrei avere il dono dell'invisibilità, sparire e uscire da questa situazione. Forse dovrei andarmene? Da quando ho il terrore di essere di troppo per te?

«Scusami» sussurrasti alzandoti.

Le andasti incontro, ma non mi sembrasti tanto felice. Per caso ti senti in difetto? Provi pietà per me?

La ragazza si sporse appena dalla tua spalla per fissarmi, sembrava alquanto innervosita dalla mia presenza a quel tavolo. Non l'avevi avvisata? In un certo senso mi sentii sollevata, forse il fatto che era corsa a marcare il territorio, mi aveva fatto sentire fuori luogo. Vi vidi discutere, no, sicuramente a lei quella situazione non piaceva.

A un tratto ti posò la mano sul braccio e ti spostò lateralmente, quanto bastasse per passare e mi venne davanti. I suoi occhi non nascondevano per nulla la sua rabbia, mentre si sforzava di sorridermi.

«Piacere, sono Nina, la ragazza di Alvaro.»

Com'era stata scontata, corsa subito a mettere la sua posizione in chiaro.

«Luisa, piacere.»

Non avevo alcun obbligo di dirle chi o cosa fossi per Alvaro e tanto meno l'avrei fatto. Guardai dietro di lei, i tuoi occhi erano fissi sul pavimento, com'eri caduto in basso, tu che avresti rinunciato a tutto pur di non mostrarti in difficoltà.

In un istante tutta quella insicurezza che aveva regnato quella sera sparì. Presi la mia borsetta e mi alzai dalla sedia, non c'era più bisogno di parlare, forse non ce n'era mai stato. Non mi importava più del motivo per cui ci eravamo ritrovati a quel tavolo, di quello che forse avevi da dirmi.

Frugai nella pochette e, sorpassando la tua ragazza non degnandola nemmeno di uno sguardo, mi affiancai a te. Ti presi la mano e ti lasciai l'anello che mi avevi dato quando stavamo assieme, non era più mio, non valeva più nulla. Posai le mie labbra sulla tua guancia e poi senza voltarmi andai verso l'uscita, non vi era più la necessità di restare.

Seduti al tavoloWhere stories live. Discover now