capitolo 1

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 Febbraio 1944

Quel suono.

Quel suono, ne era certa, ormai faceva parte di lei.

Lo sentiva riecheggiare nel petto, vibrare contro le ossa, si propagava attraverso i suoi nervi come se conoscesse la strada, e poi risaliva su, borioso, fino ai timpani.

Non importava che cosa stesse facendo o dove fosse, ogni volta che quel boato sinistro la raggiungeva Regina non riusciva più a pensare, il suo corpo diventava rigido e la gola le si chiudeva, lasciandole il palato e la lingua aridi.

In quei momenti non le restava che lasciarsi cadere a terra e rannicchiarsi su se stessa, inerme, protetta solamente dal guscio delle sue speranze.

Anche quel giorno, mentre stava accovacciata sulla fredda pietra, mentre pregava che tutto finisse, la fede era l'unica cosa su cui riusciva a fare affidamento.

Ma prima che l'oramai familiare segnale penetrante e lugubre delle sirene antiaeree iniziasse a scandire il ritmo dei suoi respiri, ancora una volta, lei lasciò il suo corpo, nell'esatto momento in cui quel sibilo metallico raggiunse il suo apice.

Tornò con la mente a quel caldo giorno di luglio di tanti anni prima.

Si trovava in una grande stanza con i muri di pietra, seduta con le gambette a penzoloni su una lussuosa sedia, di fronte ad un oggetto mai visto prima.

Ricordava di aver avvicinato il viso a quello strano manufatto e di aver istintivamente socchiuso le labbra e poi, sentendo l'aria fresca farsi largo tra i sui denti e carezzandole la lingua, aveva iniziato a dire "aaa", aprendo e chiudendo la bocca.

Il suono metallico che le era stato rimandato indietro le ricordava quello che stava sentendo ora, ma all'epoca le aveva fatto venire voglia di ridere. E, probabilmente, l'avrebbe fatto se solo non si fosse trovata nella dimora di una contessa, in quel luogo non poteva certamente lasciarsi andare a simili atteggiamenti poco contenuti. Guardandosi attorno ancora non poteva credere alla sua fortuna.

Quella mattina, prima dell'alba, suo padre era entrato nella camera che Regina condivideva con le sorelle e l'aveva svegliata, facendole cenno di scendere in soggiorno.

Regina, assonnata e confusa, si era trascinata lungo le scale di legno che collegavano i due piani della casa in cui lei e la sua famiglia si erano trasferiti da qualche anno e aveva trovato ad attenderla sul tavolo una tazza di latte fresco.

Sospettosa, si era seduta e aveva osservato di sottecchi il padre, intento a gironzolare per la stanza.

<<Allora, oggi come sai è un giorno importante, e avrei bisogno che tu facessi una cosa per me>> le aveva detto mentre infilava una mela nella valigetta di cuoio.

La ragazzina, con la bocca ancora impastata e un solo occhio vigile, aveva mugugnato in segno di assenso, portandosi la tazza alle labbra.

A quel punto il padre le si era avvicinato e, piegandosi verso di lei con aria complice, le aveva detto: <<La contessa Collodi è una donna di classe...avrei proprio bisogno che qualcuno venisse a farmi compagnia nel pomeriggio mentre mi intrattengo con suo marito, alla villa... pensavo che se per caso tu conoscessi qualcuno interessat....>>

<<Siii>> Regina, senza aspettare la fine della frase, quasi aveva sputato la sua colazione saltando giù dalla sedia per abbracciare forte il padre.

All'improvviso si era sentita sveglissima.

<<Mille volte si, vengo io, ti farò fare una bella figura vedrai.>>

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