Mi trovo nella sala d’attesa del Northwest Hospital di Seattle, sto aspettando che torni mia madre con il referto della TAC. Sono appoggiato con la schiena ad una parete, lentamente mi lascio scivolare giù fino a sedermi sul pavimento, attiro un ginocchio al petto e ci appoggio il braccio con cui sostengo la testa. Mi rendo conto che agli occhi di qualcuno, che si trovasse a passare di qui, potrei essere uno spettacolo molto triste. Ma chi se ne importa?

Dio! Mi sento soffocare!

Vorrei essere al capezzale di Ana, ma lei, la mia adorata moglie, non gradisce la mia vicinanza e sono dovuto uscire. Il primo impulso è stato quello di fregarmene di quello che vuole lei e costringerla ad accettare la mia presenza, ma lo sguardo truce e perentorio di mia madre, la dottoressa Grace Trevelyan-Grey, nota per la sua capacità di mantenere la compostezza in ogni occasione, mi ha fatto tornare sui miei passi. Sembra che Ana non ricordi nulla di noi. Nulla. Cristo Santo! Perciò è necessario evitarle ulteriori stress con la mia presenza… non gradita. Pochi minuti fa ho fatto capolino dalla porta della sua stanza, appena mi ha visto mi ha sorriso per un attimo, ma subito dopo mi ha voltato le spalle.

Oh, amore mio, quanto mi sei mancata! Quanto mi manchi!

La possibilità che abbia subito danni cerebrali permanenti mi terrorizza e, se possibile, mi fa infuriare ancora di più contro quel figlio di puttana di Hyde. Avrei dovuto ucciderlo a calci quel bastardo e l’avrei fatto se Taylor non mi avesse fermato. Sarebbe stato così facile ammazzarlo, mentre era sull’asfalto, ferito. Ferito perché Ana, la mia dolce, adorabile, forte e coraggiosa Ana, gli ha sparato.

Mi alzo, passeggio nervosamente per la sala. Un senso di oppressione mi comprime il petto, un macigno mi si è fermato in gola, i miei occhi bruciano per le lacrime che ho versato e per quelle che sto trattenendo.

Ana, la mia Ana, tornerà quella di prima? Che ne sarà di noi? Del nostro matrimonio? Del nostro bambino?…  Sì, mio figlio. E che ne sarà di me?

Sono sollevato perché finalmente si è svegliata, dopo gli otto giorni più lunghi della mia vita. Ma il sollievo fa a pugni con il terrore per quello che ancora potrebbe succedere: se non dovesse ricordare, come farò a dirle tutto di noi? Del contratto, della stanza rossa, di tutto il  mio ingombrante fottutissimo passato? Questa volta potrebbe non voler accettare e non riuscire a capire le mie dannate cinquanta sfumature.

Da quando Anastasia è in questo  ospedale, l’abisso di tenebre, dal quale pensavo di poter uscire grazie a lei, ritorna ad attirarmi inesorabilmente. Io non lo so se riuscirò ad essere abbastanza forte da affrontare tutto questo. È lei la mia forza. E in questo momento lei neanche mi riconosce.

Sento picchiettare dei tacchi alle mie spalle, mi giro, è mia madre. È seria, ma dalla sua espressione sembra trapelare un po’ di speranza. Mi fa cenno di seguirla nel suo ufficio e lo faccio.

«Mamma…» Riesco appena a mormorare, mentre la guardo con aria supplichevole.

«Christian, le condizioni di Anastasia sono buone, il quadro clinico è perfetto. Non ci sono elementi che ci possano indicare la presenza di danni permanenti.»

«Grazie al cielo! E il bambino?»

«Anche il bambino sta bene.»

«Bene… E allora perché non ricorda?»

«Secondo il neurologo, quello di cui ti ho parlato, l’unica spiegazione è che l’amnesia sia una sorta di meccanismo di difesa, come se Ana non volesse ricordare ciò che è accaduto perché troppo doloroso.»

Ciò che è accaduto? Hyde, il ricatto, l’aggressione… la mia reazione alla notizia della gravidanza, l’sms di Elena, quella litigata furibonda. Cazzo! È colpa mia. È colpa mia. Sarebbe troppo facile dare la colpa solo a quello stronzo. Sono io il fottuto figlio di puttana, vero responsabile delle sue condizioni.

Cinquanta sfumature di un'amnesiaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora