Chapter 2.

352 46 2
                                    

Tutti almeno una volta nella nostra vita abbiamo deciso di abbandonare ogni cosa presente nella nostra routine quotidiana per partire allo sbaraglio senza meta. Poi però se si ha almeno un po' di intelligenza si capisce che è un'idea che solo dei pazzi possono mettere in atto. E io ero pazza. Insomma, pazza come può esserlo un adolescente in preda a una crisi ormonale, annoiata da qualsiasi cosa e pronta per partire verso l'avventura. Perché dovete sapere, l'adolescenza è un percorso tutto strano. Gli adulti sbagliano sempre nel dire "sai io ti conosco, sono stato anche io al tuo posto, un adolescente tutto ormoni" poiché ognuno di noi è diverso, ogni persona ha dei sogni e degli scopi diversi nella vita, fin da bambini: basta chiedere a uno "che lavoro vuoi fare da grande?" e lui ti risponderà diversamente da quello che rispondevi tu, e un altro bambino ti risponderà in un modo ancora diverso. Insomma, alla fine le nostre vite sono fatte dei nostri sogni e dei nostri progetti, la quale vogliamo realizzare con azioni e parole differenti, che ci rendono unici, nel nostro piccolo, nel nostro mondo. Il mio sogno era quello di scappare. Scappare da quelle persone monotone che amano annoiarsi, da quelle strade che portano sempre nello stesso luogo. Anche da quella lezione di matematica che ormai stava andando avanti un po' troppo, anche oltre il suono della campanella. Le sei ore di lezione iniziavano a pesare così alzai la mano. -Sig. Stevens, mi scusi, la campanella sarebbe suonata già da un bel po' di minuti e alcuni di noi avrebbero degli impegni- provai a dire. Mi osservai attorno: un ragazzo, di nome Caleb Joanson stava mangiucchiando il retro della pena come se fosse stato un succulento lecca-lecca, mentre il resto della classe mi scrutava con occhi di lode e ringraziamento per aver interrotto quella tortura fatta da numeri ma anche lettere. Solo un paio di occhi mi guardavano con sdegno da dietro un paio di occhiali spessi come un fondo di bottiglia. Quelli del professore. Si chiamava Robert Stevens ed era un uomo sulla sessantina d'anni. Era calvo e portava sempre una barbetta incolta, i rotoli di ciccia facevano a gara per chi facesse esplodere i vestiti per primo e le scarpe cigolavano chiedendo pietà a ogni passo. -Signorina Mackenzie, le sembra il modo di interrompere la lezione? Non vede che sto parlando di qualcosa di importante?- rispose mettendosi sulla difensiva. -Bhe. A dire il vero, professore, non trovo nulla di inerente alla matematica nel discorso che stava facendo. Insomma, a chi importa se ormai le cose non vanno come andavano prima? Saperlo non ci aiuta a saper risolvere i problemi-. L'unica risposta che ricevetti fu un'occhiataccia da parte sue quando uscii dall'aula. Le persone hanno il vizio di perdersi in argomenti che non interessando a nessuno e nella maggior parte dei casi si è costretti ad ascoltare per buona educazione, cosa che di certo non migliora l'interesse.
-Allora mia bella fuggitiva, dove vorresti scappare?-. La sua voce irruppe nel silenzio mentre gli porgevo il piatto con dentro del pollo. -Uhm sinceramente non saprei. Una città che mi piace molto, magari che ho già visitato, tipo Dubai- lui scoppiò in una fragorosa risata, odiavo quando faceva così, mi sentivo come un'idiota che aveva appena raccontato una delle sue.
-Smettila di ridere.
-E per quale motivo dovrei smettere?
-Tu dammi un buon motivo per cui dovrei rimanere qua.
-Hai la tua famiglia, i tuoi amici, hai la tua vita, non puoi abbandonare tutti i tuoi sacrifici gettandoli al vento, è una cosa da pazzi.
-E io da quando sono normale?
-Si scusa dimenticavo questo piccolo particolare.
Scoppiamo a ridere entrambi mentre mi sedevo sul tavolo facendo penzolare lentamente le gambe. Mangiammo in silenzio il nostro pranzo, mentre nella mia testa un vortice di idee contrapposte tra di loro davano inizio a una lotta greco-romana. Perché essere adolescenti è così difficile? Insomma sembra che non abbiamo mai dovuto prendere decisioni, siamo sempre combattuti tra due o più soluzioni per i nostri problemi.
Finii di mangiare e posai il piatto nel lavandino per poi andare in salotto e stendermi sul divano. -Dovresti studiare se domani vuoi prendere un bel voto nel compito di fisica- disse Harry mentre si avvicinava. -Styles non rompere le scatole alla gente, ho appena finito di mangiare e due ore di matematica, o meglio, di come al professore non vada a genio l'epoca moderna, che poi alla fine non è cambiato poi tanto in 20 anni...- lo sentii ridacchiare sotto i baffi. -Io adesso vado che devo andare dal dentista, ci vediamo stasera o domani- disse mentre si metteva la giacca e prendeva lo zaino. Mi alzai lentamente e gli buttai le braccia al collo, fingendomi addolorata. -O mio dio come farò adesso senza di te? Potrei morire contorcendomi dal dolore sul pavimento mentre ti guardo mentre ti allontani fregandotene di me-. Mi rialzai in piedi rettamente e scoppiai a ridere. -Avanti, dove la trovi un'attrice migliore di me?- Affermai sorridendo e indicandomi da sola con i pollici.
-Direi, ovunque- rispose lui uscendo dalla porta.
-Lo sai che sei proprio stronzo?
-Si lo so, ma so anche che ti voglio bene
-Io no testa di cazzo
-No? Non mi importa, continuerò a volertene comunque.
-Oddio adesso mi sciolgo, sei un idiota. Ci vediamo, Styles
-A presto, Mackenzie
-Non chiamarmi con il mio cognome, lo sai che lo odio
-Va bene, a presto Abby
-A presto, Harry
Richiusi la porta alle mie spalle mentre un sorriso comparve gradualmente sul mio volto che nel frattempo si colorava di un delizioso rosso.

---------------
okay spero di migliorare nello scrivere, ve lo prometto.
Il nome completo della protagonista è Abigail mentre gli amici la chiamano Abby, giusto per precisare.

Se leggete anche il secondo capitolo e state leggendo queste parole, vi ringrazio il doppio della fine del primo capitolo, grazie davvero.

Lascereste qualche commento? Sono curiosa di sapere i vostri pareri, belli e brutti, senza esclusioni.

Carry

Destroyed.Where stories live. Discover now