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  La pioggia batteva spietata sui tetti parigini, bussava alle finestre chiuse, scorreva impetuosa lungo i muri butterati dei vicoli e scolava nei tombini, gorgogliando lugubre in torbidi mulinelli. Era una gelida notte d’inverno e nessun’anima avrebbe abbandonato il ventre tiepido della propria casa per sfidare la sorte, eppure, nonostante il freddo infido e viscido, c’era un ragazzo abortito dal destino e senza scelta che doveva continuare a trascinarsi sulla strada. Si abbracciava le spalle per trattenere il calore, era sporco e stanco, troppo stanco per muovere solo un ennesimo passo, anche se aveva il passato alle calcagna. Lo spettro che l’aveva costretto a correre sin lì dalla sua Germania. Il misero randagio si accovacciò contro un muro fermandosi forse per la prima volta a guardarsi, a raccogliersi. Aveva le scarpe logore, l’uniforme a brandelli che sapeva di sudore e s’appiccicava bagnata alla pelle. Il riflesso di una pozzanghera gli restituì lo sguardo ombroso e arreso di uno sconosciuto. Ormai, quello che era stato fino a pochi mesi prima il giovane e promettente maggiore Heidelbeer aveva lasciato solo un pallido ricordo scavato nella pelle umida tra le costole scarne.
Ci sono persone che non pregano mai. Ci sono quelli che, una perla alla volta, consumano il rosario e poi c’è chi incomoda il Creatore al bisogno.
Lysandeer apparteneva a quest’ultima categoria. Non era ateo, certo, ma di preghiere in vita sua non ne aveva fatte tante; era una sorta di piano di riserva: se non hai più opzioni, allora prega. Solo che il fiato adesso non gli sarebbe bastato neppure per raccomandarsi l’anima, figurarsi avanzare richieste...
Spacciato. Semplicemente spacciato.
I miracoli, dopotutto, servono a questo: a trovarti quando non c’è più nulla da fare, nell’ultimo secondo in cui chiunque direbbe che è troppo tardi e persino la speranza, che è dura a morire, vacilla. Quella donna, il suo miracolo, gli tese la mano con tempismo impeccabile.
«Mon dieu!» aveva esclamato. «Come siete ridotto!»
Era ammantata da un meraviglioso vestito rosso, semplice nella sua eleganza, e gli si era accostata tendendo la mano vestita d’un guanto di camoscio bianco. Morbido al tocco come la piuma d’un angelo. Il ragazzo non rispose. La donna gli sollevò il mento.
«Madame...» fece l’uomo che l’accompagnava. «Non dovrebbe dare confidenza ai vagabondi».
«Aubert, se avessi mai tenuto conto della sua opinione, non avrei sposato il mio amato Raymond. Possa trovare pace. Coraggio. Non vede che quest’anima ha bisogno d’aiuto? Non sarà uno di quelli che si battono in petto la domenica e poi lasciano morire i figli dello stesso Dio, vero? Mi aiuti, Portiamolo via.»

L’angelo della Provvidenza possedeva una villa abbastanza grande da poter ospitare lui, la servitù e una muta di cani. Lo sistemarono nella camera degli ospiti, una stanza accogliente, arredata il giusto e con gusto. Le lenzuola sapevano di lavanda. Lysandeer credeva nella Fortuna e pure nella sua sfacciataggine, ma sapeva anche di giocare con una vox media molto capricciosa. Quello della Dea Bendata era spesso un bacio di Giuda e tutti sanno come va a finire.
Dormì per due giorni filati e, finalmente, a mattino inoltrato del terzo, si svegliò. Aveva aperto gli occhi e fissava un ingrato raggio di sole che tagliava a metà il soffitto.
La cameriera cui erano state affidate le sue cure entrò convinta di trovarlo addormentato e quando s’accorse che così non era, corse a chiamare la padrona di casa. Le sue grida, troppo acute, lo infastidirono, ma non le riversò contro il suo astio. Quello era un affare tra Lysandeer e la sorte.
La donna che l’aveva raccolto dalla strada comparve sulla porta, leggiadra come un’ombra all’alba traversò la camera con le mani al grembo, portando con sé lo strascico etereo di un meraviglioso abito di finissimo cotone turchese.
Il ragazzo si tirò a sedere. Era svestito e dovette trattenere il lenzuolo all’addome.
La dama gli rivolse un’occhiata curiosab occhi azzurri, capelli biondi, zigomi ben definiti e mascella squadrata. Bello. Gli sorrise.
«Iniziavo a darvi per morto, monsieur
Lysandeer sospirò. Non conosceva il francese, non abbastanza da poterle rispondere e neppure voleva farlo. La nudità non lo metteva a proprio agio di fronte a una donna e, infatti, aveva abbassato gli occhi.
«Do you speak English?»
«A little, ma’am.»
La donna fece schioccare le labbra e cambiò ancora.
«Tedesco» asserì seria, sfoggiando una discreta disinvoltura in quella lingua, «Lysandeer Lars Heidelbeer è un nome tedesco».
Pizzicato sul vivo, il ragazzo levò uno sguardo così sorpreso che, a quel punto, sarebbe stato inutile mentirle.
«Come conoscete il mio nome?»
Crucco. Puro. La donna sorrise e indicò le dog-tags militari sul comodino. Lysandeer le recuperò con un rapido gesto del braccio e lento, come fosse un rito sacro, le cinse.
Non correva buon sangue tra tedeschi e francesi, erano tempi bui quelli e il giovane sapeva bene che la sua sorte era...
«Avete il corpo ricoperto di ferite, monsieur Heidelbeer».
Frastornato, il ragazzo si tastò il fianco trovando il ruvido d’una medicazione e la donna proseguì: «Non ho idea di cosa vi sia accaduto, ma potrete tornare in patria non appena sarete in grado di affrontare il viaggio.» 
«Potrò?» le fece eco, vagamente sconvolto.
«Potrete. Vedete, il mio povero marito diceva sempre “que chacun balaie devant sa porte et les rues seront nettes”.» Sorrise. «Significa: che ciascuno spazzi davanti alla sua porta e le strade saranno linde.»
«Quindi, non intendete...»
«No.»
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, tormentato da domande cui era incapace di trovare risposte. Aveva l’aria d’un povero cristo che vive scomodo e l’idea di rimpatriare pareva non piacergli.
«Monsieur,» lo interruppe lei «sarete mio ospite finché desiderate. Non vi chiederò di andar via.»
«Vi ringrazio, madame
«Il mio nome è Bernadette».
Lysandeer si sciolse in un sorriso esausto.
«Grazie, Bernadette».

L’arrivo del nuovo ospite venne accolto con stupore dalle domestiche e sdegno per la parentela, ma noncurante di ciò che gli si muoveva attorno, il giovane rimise in fretta i germogli. La donna, che per l’età avrebbe potuto fargli da madre, lo adottò come si farebbe con un gatto e si dedicava a lui amorevolmente. Era nota nell’alta società per l'essere eccentrica; amava l’arte, i piccoli piaceri della vita, le feste. Non mancò mai di condurre il suo pupillo a ogni evento mondano del caso: una mostra, un balletto a teatro o una tediosa riunione con le sue comari. Lo presentava come un lontano parente, un cugino del marito, sfoggiandolo al pari di un prezioso gioiello. Era solita tenerlo per il braccio mentre dispensava sorrisi e cortesie, immersa nelle chiacchiere e vittima delle sublimi invidie delle sue conoscenti.

***nota
Siamo quasi a un anno dalla pubblicazione e per festeggiare metterò on line i primi capitoli. Quelli disponibili nell'estratto gratuito che si trova su amazon, per intenderci ;)

"EIS" [❤️pubblicata❤️ siamo on line!] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora