1. ANNO NUOVO, CLASSE NUOVA

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Iniziare un nuovo anno scolastico è sempre stata una tortura per me, ma quest'anno sarebbe stata la tortura delle torture. Terzo anno, Istituto Commerciale, nuovo indirizzo scolastico, nuova classe, nuovi compagni di classe. Volete che vi elenchi dell'altro? Di quelli della mia classe precedente solo io e due altri avevamo scelto l'indirizzo commerciale — e di quei due intendo due maschi antipatici. Gli altri si erano voluti buttare a capofitto all'indirizzo turistico, un indirizzo troppo allegro per i miei gusti. In realtà neanche sapevo come mi trovassi in quella scuola. Fosse stato per me avrei campato di musica e chitarra, ma per gli standard della mia famiglia sarebbe stata una vergogna iscrivermi a una scuola che non mi avrebbe dato un futuro certo. Una Valente doveva spiccare, doveva avere intelligenza, doveva avere tutte le qualità che i famosi Matt, Mia, Melissa e Camilla avevano, non come un certo Junior che aveva avuto il fegato e la faccia tosta di cambiare direzione e di essere qualcuno di diverso, un Valente a sé. La sottoscritta, ossia Marzia Valente, l'ultima della discendenza, per quanto coraggio e personalità avesse, non avrebbe mai avuto la forza di dire a suo padre che no, una donna in carriera come le sue sorelle non voleva esserlo. Quando era venuto da me mentre ero in terza media e mi aveva fatto la sua "chiacchierata" su come essere degna della famiglia Valente scegliendo un indirizzo scolastico che mi avrebbe portato a poter lavorare in una delle mega aziende di famiglia, non avevo potuto dirgli che non ero d'accordo. Ero stata una vigliacca, lo so, ma per quanto andassi poco d'accordo con mio padre, lui era la mia vita, e deluderlo mi avrebbe resa infelice. Avrei potuto fare musica nel tempo libero e me lo sarei fatto bastare.

Era quindi arrivato il fatidico giorno dove la sedicenne me avrebbe dovuto entrare nei meandri di una classe terza sconosciuta. Il solo pensiero mi scocciava da morire. Avevo solo una fortuna nella vita da studente: non avevo bisogno di sforzarmi troppo nello studio visto che madre natura — di cui tra l'altro mio padre non può sentir parlare perché dice che lui stesso è madre natura per noi — mi aveva dotato della velocità di apprendimento e quindi non dedicavo più di un'ora al giorno allo studio. Almeno non avrei ricevuto ramanzine sullo studiare di più e bla, bla, bla. Quella mattina perciò la mia sveglia trillò come tutte le mattine, con la registrazione della voce di Amina — l'unica persona che tolleravo in famiglia — che diceva a ripetizione: «Mannaggina è già mattina. Mannaggina è già mattina. Mannaggina è già mattina. Mannaggina è già mattina», fino a quando non maledicevi il telefono.

La colazione invece era mia nemica nonostante tutte le volte in cui la mamma mi invogliasse a mangiare. Se proprio ne avevo voglia bevevo un succo di frutta. Fortunatamente le mie due sorelle e mio fratello erano tutti beatamente accasati e quindi, a parte la mamma che chiacchierava a raffica già di primo mattino, non avevo altri disturbi. Papà era sempre muto come un pesce, quindi almeno per quello andavamo d'accordo.

«Buon primo giorno di scuola e facci sapere come trovi i tuoi nuovi compagni di classe!» esclamò la mamma sempre pimpante e allegra. Ugh, il buon umore...

«Sì, certo» brontolai stufa mentre indossavo le scarpette.

«Perché non sistemi quei capelli? Sembra che tu non ti sia pettinata» provò per l'ennesima volta.

«Mamma, quante volte ti devo dire di farmi essere me stessa. Se agli altri non sta bene il mio look, non sono affari che mi riguardano. Amo i felponi. Amo l'abbigliamento maschile. Amo i capelli spettinati. Che se ne facciano una ragione» conclusi dopo aver allacciato la scarpa destra.

«Mostra rispetto a tua madre» intervenne papà sempre serio e composto.

«Non credo di averle mancato di rispetto. Se esprimere una propria opinione è sinonimo di mancanza di rispetto allora meglio che chiudiamo il becco e non parliamo più» specificai. Poi vidi l'espressione di mio padre e ritrattai. «Ah, dimenticavo che per te chiudere il becco è un hobby» roteai gli occhi.

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