Capitolo 9

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Indossai la mia camicia più bella ed elegante per il ballo della scuola, e sembravo totalmente un'altra persona con i capelli pettinati e i pantaloni neri eleganti. Mi vidi bello come non mi ero mai visto prima.

Mi guardai un'ultima volta allo specchio di camera mia prima di uscire, e sistemai la cintura dei pantaloni. Non mi ero mai sentito così tranquillo e rilassato in tutta la mia vita.

- Mamma, io esco. Ci vediamo più tardi... forse. -  Quell'ultimo forse mi sfuggì come in un sussulto, a bassa voce, ma ero sicuro che mia madre l'avesse sentito. Alzó gli occhi dal libro che stava apparentemente leggendo, e mi fissó come non mi fissava da anni.

- Come sei bello Cody; mamma è fiera di te. - Lei mi sorrise, mostrando il dolce sorriso che solo una madre può sfoggiare nei confronti del proprio figlio.

- Ti voglio bene. - Mormorai ancora; non riuscivo a guardarla negli occhi, mi sentivo a disagio. Era da anni che non c'era nell'aria una simile chimica tra di noi.

- Anche io te ne voglio figlio mio. - Sentivo le lacrime che spingevano per uscire, ma non avevo intenzione di piangere. Non adesso.

Senza voltarmi più indietro, varcai la porta di casa mia, e a passo veloce mi avviai verso la scuola; non era lontana se andavo a piedi, almeno durante il tragitto potevo prendere aria fresca per pensare.

****

Giuro che se qualcuno in questa sala, piena di ragazzi e ragazze, uno solo di loro, mi sorride, giuro su tutto ciò che è più sacro di mettere fine alla follia che sto per iniziare.

Non mi guardano neppure; sono tutti occupati ad ignorare lo sfigato, ma almeno non c'è nessuno che mi prende di mira. Ho solo bisogno di un sorriso, di qualcuno a caso, un sorriso gentile e caloroso.

Solo questo.

Chiedo troppo?

- Non ci credo di vederti qui. - Dio, ti prego, dimmi che mi stai prendendo in giro. - Cosa ci fai, sfigato senza compagna ad un ballo? - Leroy si avvicinó a me, e mi sovrastó con la sua stazza.

Ti prego.

Lasciami stare.

Non avevo il coraggio di fare niente, ero bloccato, con una mano infilata nella giacca del mio completo elegante.

- Spostati, devo passare. - Raccolsi tutto il mio coraggio per dire quelle tre parole appena sussurrate, che probabilmente quel mostro di bullo nemmeno riuscì a sentire, talmente era alta la musica.

Il battito del mio cuore era mostruosamente accelerato di colpo. Avevo paura di lui.

- Non borbottare davanti a me, piccolo stronzetto. - Leroy mi prese per il colletto della camicia, e mi strattonó violentemente. Giuro che se qualcuno mi aiuta non farò quello che sto per fare.

Possibile che nessuno in questa maledetta palestra abbia un minimo dispiacere per le persone maltrattate come me? Nessuno, nessuno interviene.

Leroy mi sferró un pugno in pieno petto, e caddi a terra, davanti a lui, caddi come un debole. Mi faceva male il petto, mi faceva male la testa, e volevo solo andarmene.

Ma non volevo essere un codardo.

Inizió a prendermi a calci, e mentre lo faceva sembrava godere e divertirsi.

Non ci pensai più, staccai il cervello per un momento.

Tirai fuori dall'interno della giacca la pistola di mio padre. L'arma riflesse le luci colorate che vorticavano attorno a me, e sopporrai ancora un ultimo calcio di Leroy.

Il rumore che produsse lo sparo di terribilmente forte, credo l'abbiano sentito tutti. Poi il caos.

Leroy era a terra, di fianco a me, e per una volta era a terra anche lui. Credo abbia gridato come una ragazzina quando il proiettile gli ha perforato un braccio; non avevo intenzione di mirare li, ma era buio, e non vedevo nulla.

Mi alzai, con l'arma che tremava nella mia mano destra.

Sparai ancora, a vuoto, mentre la rabbia mi avvolgeva.

Smile me Där berättelser lever. Upptäck nu