50. Un attimo di pace

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Quando Ulrik tornò dal consiglio, era già tramontato il sole. Aveva cenato in fretta con del pane raffermo. Ancora si doveva reggere con la stampella, anche se i giramenti di testa erano diminuiti dal mattino, quando si era destato.

Merito dei comandanti ovviamente. Sentiva ancora l'adrenalina in circolo.

Aveva lo sguardo torvo e gli occhi spenti, arrivò barcollando alla sua tenda, già stanco.

Non si accorse di lei fino all'ultimo, perso com'era nei suoi pensieri.

Evangeline era seduta per terra, all'ingresso, sempre scalza, con le gambe stese davanti a sé e la testa appoggiata alla parete di legno. Chissà da quanto lo stava osservando muta. L'aveva visto arrivare, ma non aveva fatto nulla per attirare la sua attenzione, come se volesse godersi lo spettacolo.

«Ehi, sei qui...» Sorrise un po' imbarazzato. La superò per aprire la porta. «Puoi entrare, se vuoi, Kuran è di turno al punto nord della barricata.»

«Lo so» gli rispose, e lo seguì dentro in punta di piedi.

La loro stanza era completamente vuota. Kuran e Ulrik non erano quel genere di persone che cercava di personalizzare la propria abitazione. Hans teneva sempre i libri presi in prestito da Aniruddha ovunque, sotto il letto, vicino al cuscino, sul tavolino, in mezzo ai vestiti ripiegati sulla sedia. I suoi fogli ricolmi di appunti svolazzavano in ogni dove quando soffiava un po' di corrente. Shani nascondeva un coltello sotto il materasso, adorava i tessuti scuri, il rosso acceso e di solito cospargeva la loro stanza di petali di fiori essiccati. Tomas non faceva che strappare le maniche delle sue magliette e incidere nel legno citazioni storpiate, aforismi senza senso, ma anche offese molto scurrili che imbarazzavano chiunque entrasse. Aveva fatto un disegnino pornografico in carboncino con una dovizia di particolari lodevole, nella capanna in cui l'avevano destinato mentre era in fase di guarigione. Magda, quando l'aveva visto, era andata su tutte le furie.

Ulrik e Kuran avevano lasciato la palafitta in legno così come l'avevano trovata. Immacolata.

Eva si sedette sul bordo del letto e il comandante andò dalla parte opposta, raccolse lo zaino che i compagni avevano recuperato per lui e, una volta poggiato sul pavimento, iniziò a disfarlo, pezzo dopo pezzo, con la cura maniacale con cui l'aveva visto impegnarsi in quel compito ogni sera durante le loro missioni.

«Com'è andata?» gli chiese per spezzare l'imbarazzo.

Lui scosse la testa, un po' contrariato. «Male.» Tirò fuori alcuni indumenti di ricambio, li controllò e li ripiegò sul letto, a uno a uno. «Non che mi aspettassi che potesse andare bene» aggiunse.

Eva incrociò le gambe e si voltò nella sua direzione, inclinando la testa verso la spalla.

«Oltre a rinfacciarmi letteralmente il fatto di essere ancora vivo, pretendono che io vada in avanscoperta come guardiano, perché tu stessa hai ammesso di aver attraversato delle zone abitate col cavallo e temono che tu possa aver attirato troppo l'attenzione, che qualcuno potrebbe mettersi sulle nostre tracce, insomma, che possano averci visti.»

Quando ebbe riposizionato i cambi, iniziò a spolverare la borraccia sporca di fango secco.

Lei rimase zitta per un po', soppesando le sue parole, finché il giovane non si voltò e la sorprese ancora intenta a fissarlo. Arrossì.

«Non ti do la colpa! Io non volevo...»

«Lo so» lo tranquillizzò.

Ulrik scosse la testa sorridendo, richiuse lo zaino ormai vuoto e si tolse gli scarponcini. Li riallacciò stretti per non fargli perdere la forma.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora