37. L'attesa

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La pantera si avvicinò lesta, col volto rabbuiato e lo sguardo chino.

Kuran quando la vide arrivare, fece per imbracciare il fucile, un automatismo difficile da disattivare, ma si ravvide subito.

Quella emise una specie di ringhio profondo di avvertimento e si diresse verso l'Umana.

Come si aspettava, aveva avuto un crollo.

Era rimasto a osservarla tutto il giorno, acquattato nella foresta, a una modesta distanza. Alla fine l'istinto aveva avuto la meglio. Quegli stupidi ragazzini l'avevano lasciata tutta sola, rannicchiata in posizione fetale, con i capelli sopra il volto pallido e una giacca enorme come coperta.

Si sdraiò vicino a lei, facendo in modo che i loro corpi aderissero. Poi chinò la testa di lato e cominciò a respirare sul suo collo.

Non gli piaceva, certo che no. Perché avrebbe dovuto piacergli? Un cucciolo debole e ingenuo. Aveva sentito che erano tornati, gli Umani. Aveva sentito com'era entrata in fibrillazione la foresta al suo arrivo, quel silenzio assordante era perdurato per giorni. Ma lui non era mai stato concorde. Era poco più di una bambina, nemmeno un bell'esemplare, se non fosse stato per quei capelli color del grano. Troppo fragile e testarda.

La sentiva sognare. Gli Umani sognavano, sognavano sempre. Non gli bastava riuscire a destreggiarsi in una realtà che pareva modellabile a loro piacimento, no, dovevano anche sognare. Stupidi Umani, stupidi, sciocchi, inutili Umani.

Il ragazzo con gli occhi a mandorla lo teneva ancora d'occhio.

Non era venuto per lei, no. Non per lei, era solo...curioso. E poi lì, sotto quella quercia, si stava molto bene, c'era fresco, era al riparo dal vento. E alla fine, Umana o no, non meritava di soffrire così miseramente. Un po' di calore le avrebbe fatto bene.

Avrebbe fatto bene a entrambi.



Al mattino li trovarono addormentati assieme, la ragazzina e la pantera. La febbre era ancora alta quindi decisero di lasciare riposare entrambi.

La giornata la passarono muti, come sempre.

Bea cercava lo sguardo di Ulrik, che continuava a sfuggirle, Hans si occupava di tener monitorata la temperatura corporea della compagna, Shani evitava Kuran che invece tentava in ogni modo di appartarsi con lei. Tomas passò la giornata a intagliare un'armonica di legno senza che nessuno gli elencasse tutte le cose che sarebbe stato più utile che lui facesse al posto di giocare a soffiare quelle note stridule.

Quando arrivò la sera, il professore svegliò la ragazza, per costringerla a iniettarsi un'altra dose di oppioidi. Iniziò un'aspra discussione che terminò quando la pantera fece ritorno all'accampamento con un rametto di fichi. I frutti, morbidi e verdi, erano di una dolcezza unica. Dove li avesse trovati, era un mistero. Li depositò in grembo alla ragazza, che ringraziò l'animale con una carezza affettuosa e un bacio sulla nuca. Lui non si fece ammaliare da quelle moine, ma rimase comunque, indolente, al suo fianco. Avevano tenuto da parte per lui i resti della cena, dopotutto. Ripulì le ossa con grave solerzia, mentre origliava, fingendo indifferenza, i loro discorsi faceti.

«Il vostro più grande sogno sulla Terra!» esplose Tomas, riponendo il suo raffazzonato strumento musicale a fianco a sé e avvolgendo le gambe con le braccia.

Ulrik non alzò nemmeno lo sguardo, Eva con la testa appoggiata alla spalla di Shani stava già per riaddormentarsi, la guerriera le stava accarezzando la schiena, con lo sguardo incantato dalle fiamme, Bea era vicino al comandante, con il mento sulle ginocchia, il professore e Kuran stavano rimirando svogliatamente per la milionesima volta la cartina di Luis. Ormai sarebbero stati capaci di riprodurla a memoria di proprio pugno.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora