Safe Zone - parte 1

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«Ricalcolo» squilla la voce elettronica del GPS.
Avanzo all'ombra di un edificio di cemento. Dove la mappa segnava un passaggio c'è invece uno strapiombo. La Città, di nuovo, è stata cambiata.

Sollevo il braccio sinistro. Sopra il polso lo schermo olografico vibra e si allarga in risposta alla pressione di un tasto.
Avvicino le labbra al microfono. «Avvia I.O.» ordino al sistema.

I dati si manifestano con un guizzo e la sagoma di un autogrill, fantasma di dati passati, coprono parte del baratro.
I sensori ottici calcolano un dedalo fatto d'edifici esteso ben oltre quel che posso analizzare. Devo ricalibrare la mia posizione.

Sospesa sul polso, l'interfaccia si manifesta in un rettangolo semitrasparente. Il fondo è blu e i caratteri bianchi riportano ora e data: sono le 19:02 del 13 gennaio 3987.

Nell'angolo in alto a destra c'è l'anteprima di un messaggio. La sfioro e muovo le dita verso il basso, cosicché ora il messaggio vocale echeggia per qualche secondo.

«Ricordati di prenderle le medicine: è importante».

Il promemoria è scaduto e il sistema mi chiede se desidero annullarlo. Lo chiudo a icona.

«Avviare City Maps» dico con voce ferma.

La pianta urbana si espande sulla mia retina positronica. «Dove vuoi andare?» chiede, ma la voce elettronica parla soltanto nei miei canali audio.

La mia ricerca è già nel database. Lo scelgo dalla lista dei luoghi dove sono già stato e il tragitto viene reimpostato in base alla nuova mappa scansionata dai sistemi.

Il GPS lampeggia e poi gracchia: «Nuovo percorso impostato».

La mappa stradale rotea. La freccia bianca, che indica la mia posizione, è ancora sul tratto di autostrada segnalatomi dalla precedente ricalibrazione. Un dato positivo. Anche la più piccola deviazione potrebbe costarmi anni. O, peggio, secoli. In base alle mie analisi, il percorso del navigatore descrivere un semicerchio e poi svolta verso una direzione leggermente più a est.

«Trasferimento navigazione a sensori video» aggiungo.

Il nuovo comando vocale costringe l'interfaccia alla chiusura, ma il programma, anziché sparire, si trasferisce sui miei occhi artificiali. Sicché, adesso la linea azzurra del mio percorso è visibile anche sull'asfalto. I parametri sono stabili. La percentuale di errore nel calcolo è di poco sopra lo zero. Accettabili. Se la velocità delle macchine edili si mantiene costante, potrei non dover ricalcolare la mia posizione per almeno altre ventiquattro ore. Al peggio, come la volta scorsa, dovrò farlo ogni dieci minuti.

Il GPS mi consiglia di aggirare il bordo dello strapiombo, laddove una serie di piccoli passaggi, sepolti sotto mura di cemento, formano un ponte che mi riporterà sull'unico tratto dell'antica autostrada non ancora ricostruito.
I miei passi sono l'unico suono che questi luoghi hanno conosciuto da tempo. Le auto abbandonate, alcune inghiottite dalle colate di cemento, sovente conservano lo scheletro di chi non è riuscito a uscire dalla Città quando farlo era ancora possibile. Quando un inizio e una fine erano cosa tangibile.

Solo più avanti il vicolo si apre. Una parte dell'antica autostrada è interrotta da una frana. La linea del navigatore indica una deviazione in una crepa. Il crollo ha aperto, dell'edificio adiacente, una nuova strada.

Mi fermo. Un movimento. Una sagoma emergere dal basso e sale sull'autostrada. È una macchina militare pesantemente corazzata. Se è qui può voler significare soltanto...
Tremore. Il robot si ferma di colpo. Fermo sulle zampe metalliche, ben piantante nell'asfalto, scruta i dintorni con la telecamera. Un fascio di luce violacea scannerizza anche me.

La luce si fa rossa di colpo in direzione dell'edificio alle mie spalle. «Minaccia rilevata» risuona l'allarme dei suoi altoparlanti. Si solleva. «Analisi: umano. Valore mutazione: 80%. Inizio sequenza Epurazione» e gira la torretta.

Il mio sistema di rilevazione non è così avanzato. Mi accorgo dell'essere alle mie spalle solo quando le pareti dell'edificio esplodono senza preavviso.

Mi getto a lato con una capriola. Detriti precipitano sull'asfalto. La polvere riempie la mia visuale. Un ruggito.
Il pulviscolo nasconde l'enorme stazza del mutante, ma, quando questi compie un balzo, la sua mole sposta l'aria abbastanza di rischiarare i miei sistemi ottici.

La creatura termina il suo breve volo a ridosso della macchina militare, prima che questa abbia anche solo il tempo di far appello alle mitragliatrici.

Mi sposto. Devo trovare spazio. Proseguire. La coda della creatura si schianta a breve distanza da me. Il colpo è sufficiente a sbalzarmi. Avverto l'urto contro una colonna di cemento e sono a faccia in giù subito dopo. Curvo la schiena per rialzarmi e alzo lo sguardo. Il sistema di puntamento aggancia il mutante e il robot. Sono più avanti, ancora in lotta.

La macchina militare sbuffa nel tentativo di muovere la torretta. Sta cercando un tiro con il cannone principale, finché la forza motrice non ha il sopravvento su quella della carne e dei muscoli. Ma il colpo che vibra è comunque sbilenco e si schianta verso il basso, lontano dall'obiettivo, ma sul manto stradale che sorregge tutti noi. Energia al plasma. La peggiore, perché non si fermerà al primo ostacolo. Attraverserà l'autostrada, poi il palazzo, allargandosi nel mentre.

Il mutante si piega sugli arti anteriori e stringe gli artigli sulla corazza. Dalla schiena irta di aculei ossei emergono ali lattescenti. Una spinta è sufficiente per librare in volo entrambi. E, prima di cadere, nel buio scorgo un volto. Sorride. Poi la mascella si apre in tre parti unite da tessuto muscolare. Il morso nel metallo è profondo.

Curvo in avanti in posizione fetale. Devo proteggere la testa più di ogni altra parte. Avverto un urto violento all'altezza del fianco destro, di quel violento che basta per spingermi indietro. E intanto, intorno a me, la struttura cede. Il GPS si spegne avendo perso traccia della mia direzione nel vuoto che mi aspetta.

Il sistema si arresta e io con lui.

PS: 

Ecco qui, dunque. Questa è una parte del racconto originale inviato alla rivista, qui riveduto e leggermente corretto avendo la possibilità di rileggere il racconto e ripulirlo da una moltitudine di scempiaggini.

E si, mi piace far iniziare le store mettendo i miei protagonisti in un mare di guai.

A voi no?

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