Capitolo 94

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Emma
I due giorni consecutivi passano molto in fretta, tanto da non accorgermi di essere davanti il palazzo di Connor: ha deciso di ospitarci per qualche giorno prima che io e mio padre torniamo a Miami.
La memoria ancora non è tornata del tutto, ma ricordo la maggior parte delle cose ed il fatto che Connor mi abbia raccontato tutto quello che è successo mi ha aiutato, tanto da avere ricordi nuovi rispetto a quelli che la mia mente ha già immagazzinato e dimenticato. Ma so che sono ancora lì, da qualche parte.

<Potete sistemarvi nella mia camera, io dormo sul divano>, dice mentre apre le porta ed il profumo di lui mi arriva dritto al cervello.
Guardo l'appartamento nei minimi dettagli e ricordo perfettamente la piccola lampada sul comodino a stelle e strisce di colore blu e verde, ricordo il divano in pelle ed è come se mi tornasse in mente la scena di noi due seduti su di esso in compagnia di una tazza di tè. La mia mente posa le nostre figure proprio in quel punto e non mi accorgo di essermi avvicinata ad esso finché le dita della mano non sfiorano la pelle del divano.
<Tutto bene?>, mi domanda il ragazzo al mio fianco posandomi una mano sulla schiena.
<Eh...si, solo un flash nella mente>, rispondo sorridendo voltandomi verso l'ingresso dove non vedo più la mia piccola valigia e mio padre.
Credo che si sia rifugiato in camera da letto per sistemare le cose.
<Staremo solo qualche giorno>, lo avviso sedendomi sul bracciolo del divano e lo guardo dal basso.
Oggi è più bello del solito, sembra più sereno e gli occhi dalla forma affusolata mi guardano con intensità.
Infila le mani in tasca e piega la testa di lato corrucciando la fronte.
<Puoi stare quanto vuoi, non crearti problemi>, dice alzando lo sguardo alle mie spalle e capisco che mio padre è riapparso.

Ormai mio padre è come se sentisse quando è il momento di fare l'entrata in scena. Quel giorno, in ospedale, è rimasto per più di un'ora e non so come abbia fatto Connor a resistere in bagno senza uscire fuori e senza riprodurre il minimo rumore; quando finalmente ha potuto mettere la testa fuori dal bagno, mi ha buttata sul lettino e mi ha fatto riprovare l'orgasmo. Dice che gli era dovuto dato il tempo passato nel bagno e dato che mio padre ci aveva interrotti proprio nel momento decisivo, secondo lui.

<Vado a comprare qualcosa per stasera, vi va una pizza?>, chiede prendendo le chiavi della macchina dal piccolo piatto vicino l'entrata ed indossa il giubbotto in pelle.
<Si, una margherita>, affermo con un enorme sorriso.
Ho l'acquolina in bocca, è da giorni che non metto sotto ai denti qualcosa di sostanzioso e di succulento.
<Per me una quattro stagioni>, mormora Connor ancora fermo davanti a me senza essersi mosso.
<A dopo>, ci saluta mio padre chiudendosi la porta alle spalle.

<Sei sicuro di dormire bene sul divano?>, gli domando quando si siede sul divano ed inizia a slacciare le scarpe che lascia al lato del divano.
Non sembrerebbe, ma il sottoscritto è una persona ordinata, quasi maniaca oserei dire.
<Dormire con te sarebbe meglio, ma non credo che tuo padre sarebbe d'accordo>, mugugna battendo una mano vicino a lui.
Mi siedo e posiziono le gambe sopra le sue e la testa sulla sua spalla.
<Sa che siamo fidanzati>, affermo ridendo.
Mi avvolge la vita con un braccio e mi avvicina al suo petto mentre una mia mano arriva fino al suo collo e glielo pizzico leggermente.
<Ma non sa cosa ti faccio quando siamo da soli>, ribatte posando la testa completamente sullo schienale.
Vedo il suo pomo d'adamo alzarsi ed abbassarsi e a volte e glielo sfioro rubandogli un piccolo sorriso.
<Lo intuisce>, mormoro sfiorandogli le labbra con le dita e lui morde uno dei polpastrelli.
Sorrido e lascio cadere la mano sul suo petto.
<Ho una domanda che...che mi porto dietro dal giorno in ospedale>, mormoro con un po' di imbarazzo in viso.
<Ieri intendi?>, chiede confuso ed io scuoto il capo contro il suo maglione nero.
<Quando ti ho chiuso nel bagno>, preciso perché so che se lo ricorda perfettamente.
<Ah, intendi quando ti ho fatta venire contro la porta>, cantilena ridendo mentre io gli do un pugno leggere contro il braccio e lui di conseguenza afferra la mia mano e mi porta sopra le sue gambe.
<Sei un'idiota>, borbotto con il finto broncio sulle labbra e lui mi accarezza le cosce lentamente.
<Qual è la domanda?>, chiede poi dopo qualche secondo di silenzio.
So che facendola potrei sembrare una bambina o comunque insicura, ma devo sapere.
<Siamo mai andati oltre...oltre quelle cose?>, chiedo con un imbarazzo che mi porterebbe a sotterrarmi come gli struzzi, con la testa sotto la sabbia, in questo caso sotto il tappeto.
<Intendi se abbiamo fatto sesso?>, chiede e lo so che lo fa solo perché gli piace vedermi in imbarazzo.
<Hai capito>, dico alzando le spalle non riuscendo a guardarlo negli occhi. Essi sono fissi sul colletto del maglione che rigiro tra le dita.
Sono nervosa.
<No, non ne abbiamo avuto il tempo>, mi spiega ed io annuisco. Porta due dita sotto al mio mento e capisco che vuole i miei occhi; sono scuri, certo, ma sono così trasparenti, così sinceri.
<Quindi io, in teoria, sono ancora vergine?>, domando osservando le sue ciglia che si alzano e si abbassano ad ogni battito.
<In teoria si>, afferma posando la mano sul mio collo e facendomi venire i brividi.
<In pratica potremmo rimediare>, continua ed io mi sento subito accaldata e sento subito la solita pulsazione lì.
Ormai è diventata la mia sensazione, quella che non riesco mai a calmare, quella che devo spegnere per poi riuscire a sentirla di nuovo. E non ricordo nemmeno le volte che sono venuta da sola in questi giorni, quando Connor non c'era e quando la voglia di sentirmi in quel modo era troppo forte per aspettare.
Solo che lui non lo sa.
<Adesso?>, chiedo portando le mani ai lembi del suo maglione e lo tiro verso l'alto.
Lo sfila dalla testa e lo lascio ai lati dei nostri corpi; mi posiziono a cavalcioni e sfioro con le mani il suo petto caldo e muscoloso nettamente a contrasto con le mie mani fredde.
<Quando vuoi, pulcino>, mugugna facendo scendere le mani sul mio sedere e mi spinge contro di sé.
<Adoro questi pantaloni anche se il tessuto si tende troppo quando ti pieghi>, mugugna baciandomi il collo e poi il mento.
Mi ringrazio per aver indossato questi leggings.
Prima che possa dire altro, poso le mie labbra sulle sue. È un bacio lento, come se volessimo scambiarci quello che ognuno prova per l'altro, quello che a parole non siamo ancora in grado di dirci.
Allontano le mani dal suo corpo e anche la bocca solo per togliermi la maglietta.
La sua bocca si fionda vorace sulla mia e la sua lingua cerca famelica la mia; inizio a dondolarmi contro i suoi fianchi e sento le sue mani scorrere su tutta la schiena per poi infilarsi sotto al reggiseno stringere il seno sotto le sue dita ruvide.
<Andiamo in camera>, sussurra riprendendo fiato e abbassando gli occhi sul mio bacino che si muove contro il suo. Anche volendo sappiamo bene che non possiamo.
<Mio padre...>, sussurro presa dal piacere quando abbassa i leggings fin sotto al sedere e mi complica i movimenti.
<Ci vorrà tempo>, ribatte ed io poso la mano sulla pacca dei suoi pantaloni.
<Oh cazzo>, ansima come se glielo avessi toccato per davvero.
<Non riesco a...andiamo>, afferma afferrandomi da sotto le cosce ed alzandosi.

Cammina lentamente verso la camera da letto, ma ci voltiamo insieme quando il campanello suona.
<Ditemi che è uno scherzo>, mugugna lasciandomi posare i piedi a terra mentre mi rimetto a posto e vado a prendere la canottiera da sopra il divano velocemente.
<Rimetti questa>, gli dico lanciandogli la maglia.
<Spiegami come faccio a spiegare questa erezione>, mormora frustrato andando in cucina per sedersi così da nascondersi quanto possibile.
<Vado ad aprire>, dico alzando la voce e cercando di non ridere.

<Marine>, esulto abbracciandola ancora prima che possa mettere piede dentro.
<Ciao, mi sembri felice oggi>, mormora mentre Blue da dietro le sue spalle entra dentro per raggiungere il suo amico che non so in che condizioni si ritrova.
<Sono uscita da quel posto, mi sembra un motivo per esserlo>, rispondo lasciandola libera dalle mie braccia.

Blue fa scorrere una busta bianca e grande sopra il tavolo della cucina e Connor la afferra aprendola e leggendo facendo muovere le iridi sui fogli molto velocemente, come se sapesse esattamente quello che c'è scritto.
<Cos'è?>, chiedo raggiungendo i ragazzi che sembrano quasi impauriti adesso.
Soprattutto Connor che ripone subito i fogli nella busta.
<Mi sembra il momento di parlargliene>, mormora Marine che prende posto vicino a Blue mentre io rimango in piedi a qualche centimetro dal tavolo.
<Di cosa?>, domando guardando Connor che si passa la mano sulla fronte e sbuffa.
<Non andrò più alla base, ho chiesto un trasferimento qui e me l'hanno dato>, afferma e faccio un passo indietro.
Non sono arrabbiata, sono solo un attimo scossa per il fatto che non me l'abbia detto; è il suo lavoro ed è la sua vita, è in grado di sapere cosa è meglio per lui.
<Perché non me l'hai detto?>, mormoro avvicinandomi adesso che so cosa possano contenere quei fogli.
<Non lo so, ti sei ripresa da poco e...dovevo dirtelo>, sussurra poi mentre mi siedo vicino a lui.
<Ma il punto è un altro>, si intromette Blue guardando l'amico con sguardo duro.
Il racconto non è finito qui.
<Quando ti abbiamo estratto dalle macerie, è come se avessi capito che niente avrebbe avuto senso se tu fossi morta>, inizia e mi sento accapponare la pelle al solo immaginare cosa abbia potuto passare in quei momenti.
<E...quando ti hanno dovuto portare qui per curarti...ho chiesto il trasferimento>, continua ed io resto ad ascoltarlo.
<Per me e...e il congedo per te>, conclude ed io sorrido amara.
Sbatto le palpebre un paio di volte prima di rendermi conto che ha agito alle mie spalle, anzi, ha agito mentre io non avrei potuto ribattere o semplicemente scegliere per me stessa.
<Hai fatto cosa?>, chiedo alzandomi dalla sedia così da allontanarmi un po' da lui.
<Dovevo farlo, ok? Sono stato obbligato>, dice in sua difesa.
<Obbligato da chi? Avresti dovuto dirmelo>, ribatto mentre afferro le busta dal tavolo e leggo i fogli dove il mio congedo ormai è giunto al termine.
Con annessa firma che ovviamente non è la mia.
<Hai firmato al mio posto...>, sussurro alzando gli occhi nei suoi che mi guardano come se davvero avesse fatto la cosa giusta.
<Eri quasi morta, non volevo che tornassi lì...per questo ho chiesto il trasferimento, per questo ho firmato al tuo posto...non respiravi quasi più>, urla quasi afferrandomi il polso ed avvicinandomi al suo corpo che quasi trema. Lo allontano bruscamente.
<Avresti dovuto dirmelo, dirmi che avevi scelto per me mentre io non ero nemmeno in grado di aprire gli occhi! Avresti dovuto dirmelo! Avresti dovuto lasciare a me la scelta!>, urlo presa dalla rabbia per essere stata all'oscuro di tutto per quattro giorni in cui le possibilità di parlarne sono state tante.
<Quindi vuoi tornare lì?>, mi chiede mentre ormai non badiamo più alla presenza degli altri due ragazzi che non osano dire una parola.
<Non è questo il punto, non capisci?>, ribatto allargando le braccia in aria.
<Non voglio che torni là, e non ci tornerai>, afferma duro alzandosi dalla sedia ed oltrepassandomi.
<Chi sei per decidere per me? Torna qui>, gli urlo contro seguendolo in camera da letto e chiudendo la porta.
<Perché non riesci a capire? L'ho fatto per te!>, sbraita portandosi le mani tra i capelli e ho paura che possa strapparli.
<No, l'hai fatto per te! Hai firmato al mio posto...io...non posso crederci>, mugugno camminando avanti e dietro per la camera che adesso mi sembra troppo piccola per ospitarci.
<Cosa avrei dovuto fare, aspettare che ti svegliassi e magari poi tornare lì?>, domanda avanzando verso di me.
<Sei solo un bugiardo!>, urlo con le lacrime agli occhi e non so nemmeno perché stia per piangere.
<Ma ti senti quando parli? Ti sto solo proteggendo>, ribatte alzando la voce più di prima. Più di me.
<Prendendo decisioni al mio posto, firmando al mio posto...me l'avresti tenuto nascosto per quanto?>, chiedo riflettendo sul fatto che se Blue non avesse portato i documenti a quest'ora non saprei nulla di tutto ciò.
<Vuoi tornare lì?>, chiede ancora.
<Non capisci proprio>, mormoro lasciandolo solo nella stanza.
Sento qualcosa cadere e qualcos'altro rompersi  contro la porta.

Un pezzo di noiWhere stories live. Discover now