3 - Harry

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Sono sempre stato un ragazzo semplice. Un sedicenne che si comporta come se di anni ne avesse dieci, a cui piace correre, giocare, volare, scrivere, guardare l'alba e cantare. Sono poche le cose in grado di sconvolgermi. Non pensavo che una di queste fossero degli occhi blu limpidi come il cielo rischiarato dal sole appena sorto. 

Quando quegli occhi incrociarono i miei, ammutolii, interrompendo il discorso tenuto fino a quel momento. Quello sguardo, così profondo, mi stupì: non pensavo esistessero degli occhi così puri e così blu. Ci guardammo per quello che fu un istante, il mio verde nel suo blu; poi, gli venne addosso una ragazzina che non dimostrava più di undici anni, seguita a ruota da due bambine che potevano averne sei o sette e che erano palesemente gemelle. Tutte e tre erano castane, la prima con sfumature più bionde, e tutte e tre avevano gli stessi occhi del ragazzo. 

Al contrario di lui, scesero subito dal materasso su cui erano atterrate; il ragazzo, invece, non sembrava intenzionato ad alzarsi: continuava a massaggiarsi schiena e testa, doveva essersi fatto male. Mi avvicinai in fretta, tendendogli una mano che prese quasi subito, e tirandolo via appena in tempo, un attimo prima che Peter atterrasse sul materasso, seguito a ruota da Trilli, proprio nel punto dov'era lui prima. 

– Per un pelo! Stavi per essere investito di nuovo – gli rivolsi uno dei miei sorrisi migliori, di quelli che mi facevano sbucare senza dubbio le fossette sul viso. 

– Beh allora direi che ti devo ringraziare – mi sorrise a sua volta, le sottili labbra rosse separate a scoprire due file di denti bianchissimi: un sorriso perfetto. 

– Ehilà ciurma! Sono tornato, con la mia ombra e con quattro nuovi amici! Loro sono... – li guardò, poi si soffermò sul ragazzo accanto a me, in attesa di una risposta. 

– Uh, giusto. Io sono Louis, questa è Lottie e le gemelle sono Phoebe e Daisy. Siamo fratelli.

Pensai che era inutile specificarlo, tanto si somigliavano. Erano decisamente una bella famiglia esteticamente: occhi azzurri come il cielo, labbra rosse e perfette, capelli castani, probabilmente morbidi. 

– Quanti anni avete?

Domanda banale, da parte di Peter, ma più che lecita: sull'Isola Che Non C'è, essere troppo grandi era un problema. I grandi sono noiosi, avidi e superficiali. I grandi sono i pirati, il nemico naturale di noi bambini sperduti. Ci sono gli indiani che fanno eccezione, ma è un'altra storia. La risposta premeva a tutti, soprattutto per quanto riguardava Louis: le sorelle erano chiaramente bambine, ma lui no. Probabilmente aveva già passato i sedici anni. I più grandi tra noi ne avevano diciassette, io sedici. Lui, invece? 

– Lottie ha undici anni, le gemelle ne hanno sei e mezzo. Io ne ho diciotto. 

Diciotto. Era più grande di tutti noi. E perfino più basso, se devo dirlo. Feci un passo indietro e lui mi guardò di sfuggita. Ne feci altri, fino a unirmi agli altri. 

Guardammo tutti Peter, in attesa del suo verdetto: se per Peter Pan sei troppo grande per restare sull'Isola, allora te ne devi andare e dimenticare tutto. Se invece per lui vai bene, allora resti.  Se Peter l'avesse ritenuto troppo adulto, il meglio a cui poteva aspirare era unirsi agli indiani. 

Peter lo guardò. Lo scrutò intensamente, penetrando gli occhi blu del diciottenne con i suoi nocciola. Era come se gli stesse scavando l'anima, ma Louis rimase impassibile, le pupille dilatate dalla curiosità. All'improvviso, Peter fece una capovolta in aria, interrompendo il contatto visivo che aveva creato e abbandonandosi ad una risata liberatoria. 

– Non fa per me prendere decisioni, è troppo da adulti! – ghignò, arricciando il naso. 

– Facciamo così: puoi restare, se lo desideri. Per vivere sull'Isola Che Non C'è devi rinunciare ad ogni cosa che ti lega alla tua vita precedente; per i bambini è più facile, ma più si cresce più diventa difficile lasciare andare il passato. Anche i più grandi tra i bambini sperduti, quando sono arrivati qui, erano solo dei bambini. Poi sono cresciuti, e a un certo punto hanno voluto smettere, rimanere fermi a quell'età per sempre: è una scelta che devi prendere tu. Hai tempo ovviamente, non darmi subito una risposta! Insomma, stai un po' qui, ti diverti, ci pensi e poi decidi, ok?

Era un discorso insolitamente serio per Peter, ero stupito. 

– Va bene, per oggi basta con le questioni importanti! È una cosa troppo da adulti! Che ne dite di una visita agli indiani?

Era durato fin troppo, infatti. Aprii la bocca in un sorriso, gli occhi semichiusi e la testa bassa, i capelli che mi andavano sugli occhi nonostante la bandana a tenerli indietro. Un grido di approvazione generale risuonò nel rifugio. 

– Perfetto, allora andiamo! – un altro grido di approvazione. 

Guardai Louis, poco davanti a me, che parlava a bassa voce con le sue sorelle di qualcosa. L'undicenne, Lottie, scuoteva la testa e annuiva, mentre le gemelle li guardavano curiose. Quindi la ragazzina fece un cenno a Trilly, sussurrandole qualcosa all'orecchio; la fata si avvicinò a Peter, riferendo il messaggio. 

– Trilly ha ragione, bisogna far fare un giro dell'Isola ai nuovi arrivati! Beh, direi che posso farvelo fare io; oppure... uhm, Harry! Si, Harry vi farà fare il giro dell'Isola! È qui da un sacco di tempo e la conosce a memoria, ogni minimo dettaglio! Vieni qui Haz.

Lo guardai stupefatto, gli occhi che sembravano uscirmi dalle orbite. Possibile che di venticinque bambini sperduti fosse andato a scegliere proprio me? 

– Peter – mi rivolsi a lui, avvicinandomi, pronto a tirare fuori un miliardo di scuse per non accompagnare quei quattro in giro per l'Isola, ma mi interruppe. 

– Harry, – disse, – non importa quante scuse tiri fuori, a me non va e mi fido di te, questo è tutto – concluse con un sorriso, adorabile e beffardo, con gli occhi strizzati e il naso arricciato. 

– Ho capito, mi arrendo senza combattere – è inutile provare ad averla vinta su Peter Pan, alla fine troverà sempre il modo di farvi fare ciò che vuole: io lo sapevo fin troppo bene. 

Dopo avermi convinto, per sua grande soddisfazione senza alcuno sforzo, Peter si rivolse ai quattro fratelli. 

– Allora, c'è qualcuno di voi che non vuole visitare l'Isola oggi, ma un'altra volta? – le gemelle alzarono subito la mano, accompagnando il movimento con un deciso io, io! Dopo un minuto di esitazione in cui era stata osservata da tutti con sguardi traboccanti di attesa, anche Lottie si unì alle sorelle. 

– Ecco, a dire la verità... anche io preferirei andare dagli indiani... scusa, Harry, non è per te, lo giuro! E scusa Lou, non voglio lasciarti solo, ma ci saranno altre occasioni no? Tu divertiti con Harry, e poi raccontaci qualcosa dell'Isola. Ci affidiamo a te! 

Gli sorrise, lui alzò gli occhi al cielo. 

– Vi odio tutte, – lo sentii dire; quindi si voltò verso di me, e per la seconda volta in quell'ora i miei occhi si ritrovarono immersi nel blu più profondo di quei due squarci di cielo. 

– Allora andiamo! Al villaggio degli indiani, bambini sperduti! – un sì di approvazione generale risuonò di nuovo. 

– Beh, andiamo anche noi a questo punto. Immagino tu abbia molte cose da mostrarmi! – 

Piegò le sue sottilissime labbra rosse in un sorrisetto, quindi lo guidai verso l'uscita del rifugio. 

– Sì, andiamo! – 

Somewhere in the sky there's Neverland. In Neverland, there's youМесто, где живут истории. Откройте их для себя