Capitolo 6

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Anna rimase sveglia fino alle 3 del mattino. Poi il sonno la prese, ma non del tutto. Era un sonno capriccioso e intermittente, di quelli che lasciano più stanchi di quando si è andati a dormire. Un paio di ore dopo Anna si svegliò accaldata; le sembrò che non ci fosse aria nella stanza. La finestra era chiusa e la porta sbarrata. Si sentiva ancora ansiosa. Le sue paure non si erano di certo dissolte. Però voleva riflettere con calma. Decidere come comportarsi. Aprì la finestra, respirò a pieni polmoni la freschezza che la notte si lascia dietro di primo mattino. Subito dopo tolse la sedia da davanti la porta. Aprendola si accorse che qualcuno le aveva lasciato davanti alla cameretta le scarpe dimenticate in giro la sera prima. Le indossò. Aveva dormito vestita. Dopo essersi pettinata e aver messo del deodorante, prese una coperta dall’armadio e salì in terrazza. 

Era quello il posto che le piaceva di più. Ogni volta che si sentiva soffocata dalla propria madre, oppure triste, ci andava. La sera, prima di dormire. Stese la coperta. Si distese a osservare il cielo. Uno dei vantaggi del vivere isolati, lontano dalla città, era poter guardare il cielo notturno. Senza lampioni e altre luci, le stelle erano molto ben visibili. Anna le adorava. Oltre ai libri illustrati per bambini, Anna possedeva soltanto due libri da grandi: un manuale di disegno e un libro sulle costellazioni. Quella volta non c’erano stelle: il cielo era pieno di colori tra il bianco, il rosa e l’arancio. Il nuovo giorno, che lei fosse pronta ad affrontarlo o no, era arrivato. Non sapeva come comportarsi con il suo bisnonno. Sapeva tre cose con certezza: lui aveva degli strani poteri, le nascondeva qualcosa di grosso e non le avrebbe rivelato altro. A breve, avrebbe visto il nonno a colazione; poi suo padre l’avrebbe accompagnata a  scuola in auto. Anna sospirò. Organizzarsi per evitare di incrociarlo in giro quella mattina, le parve un’ottima idea. Sarebbe bastato uscire prima che i suoi si svegliassero; andare fino a casa di Micol; farsi accompagnare dai suoi alla fermata del bus con il quale sarebbero andate a scuola; lasciare un biglietto a sua madre. Eccolo, l’intoppo: sua madre. Avrebbe letteralmente sputato fuoco se si fosse azzardata a fare quanto aveva pianificato, senza neppure averla consultata. Anna non era tipo da uscire di casa senza permesso. Cercava sempre di parlare con calma con i suoi per ottenere qualche mezza concessione. Sì, era suo diritto essere più indipendente. Aveva già tredici anni. Il problema era, pensò Anna, soltanto il motivo per il quale aveva deciso di farlo quel giorno. Non poteva evitare una persona che viveva con lei. Lo avrebbe incrociato prima o poi. In fondo suo nonno le era sempre stato vicino e non le aveva mai fatto del male. Niente faceva pensare che lui o il tizio della telefonata -sempre che il nonno stesse usando un telefono- volessero farle del male. Sua madre sì, invece, che le avrebbe fatto del male. Aveva tante armi da utilizzare contro di lei adesso: a cominciare dalla sua prima festa con i compagni di classe. Avrebbe ottenuto i propri spazi, se avesse avuto pazienza, si disse. Ora doveva solo mettere da parte la paura. E scendere a fare una sostanziosa colazione. Con il sonno che aveva, ci voleva del cioccolato. Portò lo zaino vicino alla porta d’ingresso.

Entrò in cucina e trovò suo padre e suo nonno che facevano colazione. Anna guardò la tazza di caffè di suo padre. Ne avrebbe gradito un sorso anche lei. Decise che un bel tazzone di cereali al cioccolato costituisse un’ottima alternativa. Prese la sua tazza da latte senza manici. Era del suo colore preferito: verde. Preparò la propria colazione al piano della cucina e si mise a mangiare lì in piedi. Era rivolta verso il tavolo, stando appoggiata al bancone. Di tanto in tanto, voltandosi, gettò qualche rapida occhiata al bisnonno. Sembrava lo stesso nonno di sempre. Beveva la sua spremuta d’arancia mangiando un paio di frollini.

«Come mai non ti siedi?» domandò suo padre.

«Se il cioccolato non mi sveglia, mi addormento di sicuro sul tavolo».

«Ne vuoi uno?» chiese Giovanni Rossi alla nipote, offrendole il sacchetto di biscotti. 

Quel giorno lei lo guardava di traverso e non si era neppure seduta accanto a lui come faceva sempre. “Un po’ misera come offerta di pace” pensò Anna. 

Forse avrebbe dovuto mostrarsi tranquilla e socievole, fino a quando non avesse deciso cosa fare.

«Sì, grazie. Prendo la crema alla nocciola» aggiunse, forzando un tiepido sorriso.

«Bene. Prendimi un coltello, per favore» disse suo padre.

Sua madre arrivò, mentre erano tutti e tre seduti a spalmare crema sui frollini. Anna aveva vuotato la tazza di cereali.

«Michele, sbrigati! Anna deve andare a scuola. Non metterti anche tu a perdere tempo» ordinò la professoressa, già vestita come tale alle 7 del mattino. Era in tailleur blu con gonna e scarpe nere basse.

Anna si alzò con un biscotto in ciascuna mano. Schioccò un bacio a sua madre macchiandole leggermente la guancia, poi le mise in bocca un biscottino tondo alla crema. L’altro lo mangiò lei. Sua madre stava  ancora masticando, mentre si puliva con un tovagliolo che aveva inumidito sotto il rubinetto. 

Anna era nell’auto di suo padre quando pensò che magari avrebbe avuto una giornata più tranquilla della precedente. Arrivò davanti scuola che la campanella era appena suonata.  Di solito il piazzale antistante il grosso casermone giallo era pieno di studenti. Si sorprese di trovarlo vuoto anche se, a guardar meglio, tanto vuoto non era: per terra era pieno di volantini arancioni. Era quasi all’entrata che una di quelle pubblicità le arrivò in faccia. Eppure non c’era vento. Lo guardò rapidamente. Una scritta verde a caratteri enormi diceva: “Camp Green Space” e più in basso “campeggio per ragazzi” e qualche slogan che lei non aveva tempo né voglia di leggere. Si avvicinò al cestino vicino alla scalinata. Non voleva tenere il volantino. Non avrebbe mai avuto il permesso di andare. Mentre lo stava buttando, tutti gli altri che erano a terra le finirono addosso, poi presero a vorticare attorno a lei. Sollevò le braccia davanti al viso. Continuò a camminare, scansando di tanto in tanto quei volantini. Il suo campo visivo era molto limitato. Vedeva muoversi quell’assurdo sciame arancione, eppure non percepiva vento. Sentiva invece una specie di elettricità statica: un lieve calore e la sua pelle pizzicava leggermente. Inciampò in avanti sui gradini. Urtò le ginocchia e si appoggiò con le mani, ma non si era fatta troppo male: solo un ginocchio indolenzito. Con la sua fortuna avrebbe potuto rimetterci qualche dente, pensò.

Il vortice di carta si fermò soltanto al sopraggiungere della bidella. L’aveva vista dalla porta a vetri ed era uscita ad aiutarla.

“1-0 per i volantini” si disse Anna.

«Tutto a posto. Non ti sei fatta niente. Questi maledetti cellulari vi stanno facendo dimenticare anche come si cammina. Sembrate tanti piccoli deficienti!» disse la signora Amelia, mentre Anna si toglieva la povere dai pantaloni.

«Ma non ho lo smartphone in mano… il vento… i volantini...» farfugliò debolmente.

«È uguale. Stavi camminando senza fare attenzione. Muoviti! Ti lascio entrare solo perché sei caduta. Lunedì arriva puntuale» nel parlare scosse la testa piena di riccioli grigi.

«Lei non ha visto niente di strano?»

«Sì, un sacchetto di patate sulle scale!» fece la bidella con espressione divertita mettendole una mano dietro la schiena perché si sbrigasse ad entrare.

Doveva aver visto. A meno che non ci fosse stato un bel niente da vedere. Forse era un pò sottosopra per la nottataccia in bianco. Non era affatto abituata a dormire poco. Stava diventando pazza, ecco cosa. Iniziò a pensare che forse la noia e l’esposizione ai cartoni animati cretini visti con Matteo le stessero giocando dei brutti scherzi. 

Entrò nella scuola media. Dopo aver attraversato la porta a vetri dell’ingresso, si voltò. Non c’era più alcuna traccia di quel centinaio di volantini che aveva visto vorticare attorno a sé. 

Che avesse immaginato anche i fatti del giorno precedente? Arrivata in classe si accorse di stringere ancora in mano quello stupido foglietto arancione. Lo accartocciò quasi con rabbia, gettandolo nel cestino. Si sentì come se stesse allontanando le ansie e le preoccupazioni. Il professore di Educazione Tecnica non c’era ancora. 

«1-1» disse Anna a mezza voce.

Camp Green SpaceWhere stories live. Discover now