I.

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Il commissario Ermanno Sensi non amava la natura. Non la detestava nemmeno, finché non era costretto a starci dentro, ma i paesaggi suggestivi e selvaggi non lo coinvolgevano, le meraviglie incontaminate di campagna, montagna o mare lo lasciavano indifferente e la primavera gli procurava dei picchi ormonali di natura strettamente urbana.

Purtroppo, però, la gente aveva la nefasta tendenza a morire nel verde.

Era un fenomeno ben documentato. Se gli omicidi avvenivano per lo più nel comfort di un'abitazione privata, le morti accidentali capitavano, quasi per definizione, in posti scomodi da raggiungere, umidi e in cima a una salita.

La vittima di quel giorno non faceva eccezione.

Fabio Parisi era morto su una scarpata fangosa in prossimità del fiume Vara. Per raggiungere il luogo del decesso era necessario attraversare un'area sconnessa e disagevole, inoltrarsi tra canneti e cespugli, affondare nel terreno ancora fradicio dopo l'ultimo acquazzone e arrampicarsi su per un pendio sdrucciolevole.

Come se non bastasse, Fabio Parisi aveva avuto anche il cattivo gusto di tirare le cuoia alle sette del mattino, poco dopo l'alba.

Naturalmente, perché la notizia raggiungesse il commissario Sensi, c'era voluto un po' di tempo, ma non abbastanza. Il corpo, purtroppo, era stato scoperto quasi subito.

A quel punto, era intervenuto un agente della guardia forestale, era stata contattata la polizia, e la polizia si era messa in moto: era stata avvertita la squadra mobile di competenza, che aveva dato il via a una serie di lancinanti telefonate mattutine, erano stati convocati un po' di ispettori a casaccio e, alla fine, quando era stato evidente che nessuno sarebbe riuscito a schivare quel caso, era stato avvisato anche il commissario.

Come a qualcuno fosse venuto in mente di chiamarlo era un mistero.

Nei suoi anni come capo della squadra mobile spezzina, Sensi aveva fatto di tutto per dimostrarsi un nullafacente vestito male e dal pessimo carattere. Era chiaro che la sua cattiva reputazione non era più quella di una volta, se avevano pensato di scomodarlo per un incidente di caccia. Eppure, era certo di non essersi mai mostrato zelante, appassionato o anche solo mediamente produttivo.

E, nonostante ciò, adesso Sensi si trovava con gli anfibi pieni di fango ad arrampicarsi su per una scarpata sdrucciolevole, alle dieci del mattino e con ben poche speranze di tornare alla civiltà in tempi ragionevoli, dove un tempo ragionevole sarebbe stato una frazione di secondo, per esempio.

«Quanto manca?» ripeté, per la terza o la quarta volta, continuando a seguire il didietro dell'ispettrice Riu su per il pendio.

L'ispettrice non si voltò nemmeno. «Poco» borbottò, come se il commissario fosse un bambino piccolo. E tanto Sensi non amava la natura, tanto la Riu non amava l'infanzia.

«Poco quanto?» chiese lui, subito dopo, con voce querula.

«Vedo delle persone» rispose l'ispettrice.

***

Le persone che vedeva l'ispettrice, videro lei di rimando: una donna-poliziotto abbronzata, atletica e con la mascella squadrata. Subito dopo, videro anche un ragazzo magro, vestito completamente di nero, con i capelli lunghi e l'espressione sofferente. Ancora dietro, c'era un uomo biondo con tutta l'aria del poliziotto.

Il ragazzo magro vestito di nero si accostò all'albero vicino al quale erano stati radunati i civili e cercò di pulirsi gli anfibi sopra un ciuffo d'erba, con risultati mediocri. Guardandolo da vicino, però, si notava che non era un ragazzo, ma un uomo sui trentacinque anni, forse qualcuno in più.

L'uomo sui trentacinque vestito da scemo si avvicinò al sovrintendente Bianchi del corpo forestale e gli mostrò un tesserino, senza parlare. D'altronde, stava ancora boccheggiando per la salita.

Ordinaria manutenzioneDonde viven las historias. Descúbrelo ahora