Le mani della condanna

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"Gli psicologi dicono che, in certi momenti, la passione per il peccato – o per quello che il mondo chiama peccato – si fa così prevaricante che ogni fibra del corpo e ogni cellula del cervello sembrano imbevute di impulsi furiosi. In momenti simili, uomini e donne perdono il libero arbitrio e come automi vanno incontro alla loro fine fatale".

Il Fato... Che entità immensa, incomprensibile!

La sua logica, secondo cui esso talvolta condanna e talvolta assolve, è così irragionevole e priva di senso che sembra quasi un'illusione, creata per tentare di dare spiegazioni laddove non ci sono, per non brancolare nel buio, nel caos.

Contrasto, ironia, sarcasmo: spietata benevolenza, dolce atrocità.

Siamo insieme in questa cupa soffitta, in questo momento che sembra sospenderci e strapparci per un attimo al flusso incessante del Tempo.

Io splendo in alto; tu giaci a terra.

Io sono la luce della purezza; tu la tenebra del peccato.

Io, il tuo ritratto, l'immagine di te nel fulgore dell'innocenza, i colori splendenti della giovinezza immacolata e della vita; tu, Dorian Gray, un tempio di morte: un coltello conficcato nel cuore uccide il corpo, i segni del peccato devastano l'anima e, come la più contagiosa e violenta delle malattie, corrodono la tua stessa carne.

Gli stessi segni orripilanti, ripugnanti che, per una tua fatale e folle preghiera, hanno deturpato e insozzato me per anni, ora, per un tuo gesto ancor più fatale e folle, sporcano il vero peccatore.

Il Fato è stato sempre presente nella tua straordinaria e sfrenata esistenza, per arricchirla di meravigliosi colpi di scena, come la più stupenda opera d'arte. Ma da bravo artista, scultore della statua del tuo essere, scrittore del romanzo della tua vita, il Fato ha riservato la sua qualità più raffinata, l'ironia, per il finale.

L'ironia della sorte è l'unica spiegazione, sensata ed incredibile allo stesso tempo, alla scena che ho sotto i miei occhi di vernice, specchio dei tuoi ormai spenti. E' la sola risposta che trovo alla muta domanda che non potevo non pormi, io, che ho seguito la tua vita dalla prospettiva più intima e profonda; io che, ancor prima che il peccato fosse stato consumato, conoscevo già i sentimenti che lo avevano partorito e le inevitabili conseguenze che ne sarebbero scaturite.

La tua morte... perché qui, ora, così?

Perché in questa stessa soffitta dove mi hai tenuto segregato per anni a sopportare la vergogna della tua depravazione?

Perché proprio quando un fievole barlume di buon senso, come una minuscola fiammella nella notte più nera, ti stava portando verso un acerbo proposito di redenzione?

Ma soprattutto, perché a causa tua, della tua vanità, della tua impulsività, della tua follia, con le tue stesse mani già sporche di sangue e lacrime?

Tante volte mi sono chiesto, a seguito di certe tue azioni alle quali non credevo possibile saresti mai arrivato, perché non fosse giunto mai nessuno a punirti, a farti pagare le atrocità che avevi commesso e la freddezza con cui le avevi perpetrate. La giustizia, che talvolta perseguita gli esseri più innocenti, non aveva mai steso la sua severa mano su di te, non ti aveva mai nemmeno sfiorato. Eri anche scampato al sentimento più spietato e insensibile, ossia la vendetta da parte di uomini cui avevi portato via dignità, nome, futuro, persone care... suscitando in te un terribile godimento.

Mi sembrava assurdo che l'unica punizione che il Fato ti aveva destinato fosse l'orripilante lebbra del peccato, che consumava centimetro dopo centimetro, implacabile, la mia superficie, tentando di spaventarti e scuotere la tua coscienza, o quel che ne era rimasto. Ma tu provavi piacere nell'osservare quelle alterazioni, un piacere dalle radici malate.

Le mani della condannaWhere stories live. Discover now