40. Mia regina, mio re

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Atlas rimase immobile, gli occhi fissi nei miei. «Non lo sposerai?»
Scossi la testa. «No.»
Gli diedi un momento e lui portò lo sguardo davanti a sé, dove le lucciole danzavano sul lago poco distante dai nostri piedi.
Io, invece, continuai a squadrarlo. I capelli gli avevano di nuovo nascosto la parte sinistra del viso, così glieli portai dietro all'orecchio, sebbene alcune ciocche più corte non se ne stessero a bada. Il mio pollice gli sfiorò il lobo; poco più sotto, sul collo, iniziavano le cicatrici delle scottature.

Le mie dita si mossero da sole e rincorsero le ustioni, passai i polpastrelli su ogni contorno, come se il mio tocco delicato avesse potuto curarle...
«Freya» mi chiamò con voce roca e ogni filamento del mio spirito vibrò a quel suono, «Quelle bruciature sono pericolose.»
No. Il mio nome pronunciato con quel tono era pericoloso!
«No» colta da un improvviso scatto di coraggio, mi protesi leggermente su di lui e gli diedi un bacio sullo zigomo, proprio dove iniziava l'ustione. La sua pelle tumefatta era calda sotto alle mie labbra. «Vedi?» Sussurrai, «Sono solo scottature, non possono farmi del male. Né puoi farmene tu.»

Mi rimisi a sedere normalmente, lui non osò guardarmi. Certo, non era la prima volta che gli avessi dato un bacio sulla guancia, era già successo diverse volte quando eravamo più piccoli... Ma era una novità, invece, il ritmo impaziente del suo cuore che mi pulsava nelle orecchie.
Atlas era sempre stato quello più audace dei due, sia con le parole d'affetto che con le effusioni. Soltanto che io le avevo interpretate come gesti amichevoli e niente più.

Rimasi a fissare la sua guancia, mentre lui ammirava il lago, o il nulla.
«Zorgus la pagherà per quello che ti ha fatto» sbottai.
Si voltò a ricambiare il mio sguardo. Non mi concessi di sorridergli, piuttosto riportai la mano sul lato sfigurato del suo viso. «Ti porterò via tutta la magia nera, Atlas, te lo giuro» continuai a fare scorrere la mano in lente carezze sulla sua mandibola, sul collo, indugiai con la punta delle dita sotto alla camicia, gliela scostai leggermente per proseguire ad accarezzargli l'ustione sulla spalla.
Lui socchiuse gli occhi e inspirò.

Istintivamente, ci sedemmo ancora più vicini l'uno all'altra, il suo braccio era ormai incollato al mio e iniziai a trovare difficoltà nel continuare con le carezze. Così gli riaggiustai la camicia e mi tirai le ginocchia al petto, stringendole con le mani.
«E come vorresti riuscirci?» Fece lui, quindi alzò un angolo della bocca in un sorriso maligno, «Con baci e carezze?»
Scrollai le spalle. «Si può provare» mi sfuggì un risolino.
Il respiro mi si mozzò in gola non appena mi ritrovai il viso di Atlas a un soffio dal mio. Si era piegato su di me per guardarmi negli occhi, pareva serio ma non nascondeva il suo ghigno.
«Stai giocando con me, Freya?»
Sentii il sangue salirmi alle guance. «Solo un po'» arricciai le labbra, «Ma potrebbe funzionare, non si sa mai.»

Atlas sbuffò una risata divertito, poi tornò al suo posto. «Allora continua.»
Si piegò all'indietro, invitandomi ad avvicinarmi.
Faceva sul serio?
«Avanti, che aspetti? Hai detto di volermi aiutare, no?» Mi provocò.
Sì. Era serio.
Mi prepari mentalmente a mandarmi il cuore in crisi, poi mi girai sul fianco, facendo leva sulla mano destra, e abbassai il viso sul suo.

Un bacio per ogni anno che avevamo passato lontani l'uno dall'altra, un bacio per ogni anno che, invece, avevamo trascorso insieme nella nostra caverna. Poi uno per ogni volta in cui avrei voluto baciarlo e mi ero trattenuta. Passai dall'orecchio, allo zigomo, poi sotto all'occhio, sulla guancia e scesi. Lasciai una fila di baci su tutta la mandibola e mi feci strada sul suo collo, dove indugiai un po' in più. Lì, le mie labbra non c'erano mai state. Sentivo quanto fosse rigido sotto la mia bocca, immobile come un felino che aspettava di vedere la preda cadere nella sua trappola.

E poi, di scatto, le sue mani furono sui miei fianchi e intorno alla mia vita, mi sollevarono dall'erba e mi spinsero contro il suo petto, quindi le sentii accarezzare il tessuto dell'abito sotto alle mie cosce e quando riuscì a trovare una presa più salda, mi sistemò in modo che sedessi a cavalcioni in braccio a lui.
Mi concentrai a ricordare che l'ultima volta in cui eravamo stati in quella posizione, io avevo quasi provato ad ucciderlo.

Memorandum - Elementali Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora