BELIEVE

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«Anche ammesso che ci creda e che non stia sognando o diventando pazzo, cosa dovresti fare tu? Esaudire i miei desideri come un genio della lampada?» domandò il ragazzo ancora incredulo, ma con una punta di cinismo nella voce, in fondo come biasimarlo, chiunque avrebbe reagito come lui di fronte ad un evento del genere.
Già, perché non era da tutti giorni vedere apparire nella propria cameretta un essere che millantava di essere un angelo custode, il tuo angelo custode per la precisione.
Questa ragazza aveva un aspetto giovanile, avrà avuto al massimo vent'anni. Non era il solito angelo biondo, portava i capelli castani raccolti in uno chignon basso e morbido, questi contrastavano molto con la sua pelle candida, sembrava quasi brillare di luce propria, gli occhi azzurri penetravano dentro di lui. L'angelo indossava un abito bianco con un taglio sotto il seno, poteva essere una camicia da notte. Aveva davvero una buona fantasia si ritrovò a pensare Stephen, già perché quello se lo stava immaginando lui, gli angeli non esistevano, soprattutto per lui che non era credente.
«No, io non esaudisco i tuoi desideri. Più che altro ascolto le tue preghiere e faccio di tutto per esaudirle, ma solamente quelle sincere, che vengono dal profondo dell'animo» replicò la giovane con calma speranzosa che lui le credesse. Veuiah, quello era il suo nome, conosceva Stephen dal giorno della sua nascita e sapeva esattamente come era fatto, sapeva che non le avrebbe creduto facilmente dato che non credeva in generale nella religione.
Passarono pochi secondi in cui il giovane parve riflettere attentamente sulla parole appena udite.
«Interessante» disse incastrando i suoi occhi castani in quelli della ragazza, «Ma tanto tu non esisti» concluse scrollando le spalle e riprendendo l'attività che aveva lasciato. Quello non era altro che un sogno ad occhi aperti dovuto alla stanchezza, era stanco in quel periodo per via dello studio e dello stress che piano piano si stava accumulando in quella piccola casa della periferia di Philadelphia. Non era un luogo raccomandabile, Philadelphia in generale pullulava di criminali, ma la periferia era la loro casa, la loro tana, ma nonostante questo quella era anche la sua di casa e con ciò che guadagnava la madre si potevano permettere solamente quello.
Forse era schizofrenico, aveva letto in giro che si poteva ereditare come malattia e che c’era la possibilità che si manifestasse anche tanto dopo la nascita, durante l'adolescenza, a diciassette anni si è nel pieno dell'adolescenza, magari qualcuno nella sua famiglia ne soffriva e lui non ne sapeva nulla, sì doveva essere così, anche perché quell'essere continuava a stargli accanto e un sogno non dura così tanto e non è così reale.
Dopo poco dalla cucina si sentì chiamare il ragazzo, era la madre che lo chiamava per la cena, nulla di speciale come al solito, degli hamburger riscaldati. Stephen si sedette a tavola e iniziò a parlare con la madre del più e del meno. La donna aveva una quarantina d'anni, ma aveva il volto segnato dalla stanchezza dovuta al tanto lavorare, era l'unica che portava il pane a casa da quando era rimasta sola con suo figlio; il suo non era un lavoro che fruttava un granché, ma era riuscita a trovare solamente quel posto da inserviente all'ospedale e voleva tenerselo stretto. Tra un boccone e l'altro Stephen disse «Mamma sai per caso se nella famiglia ci sono casi di schizofrenia?».
La donna colta dalla sorpresa non sapeva cosa rispondere quindi si limitò a dire quello di cui era a conoscenza «Non ne ho idea, nella mia non credo» distolse lo sguardo puntandolo sulla brocca d'acqua.
«E in quella di papà?».
«Ehm, dall'ultima volta con cui ci ho avuto a che fare non mi pare» esitò la madre, «Perché?».
«Così, per sapere» cambiò in fretta discorso, non voleva che lei si preoccupasse anche della sua presunta malattia mentale, «Cambiando argomento, domani andrò a parlare con quella pizzeria per vedere se hanno un posto per me».
«Ti ho detto che tu devi pensare allo studio, alle bollette ci penso io» disse categorica, erano mesi che affrontavano questo argomento, lei non voleva che il figlio non studiasse per portare avanti la casa, doveva studiare, non doveva finire come lei che non aveva neanche finito il primo anno del college.
«Sappiamo entrambi che non le darai retta e che domani andrai comunque a chiedere per un posto, vero? Dovresti ascoltarla e pensare allo studio» il suono della voce arrivò dalla destra di Stephen, lui si girò di scatto e vide che l'angelo stava fluttuando a mezz'aria con un sorriso pacato in volto, si girò di nuovo verso la madre e lei non sembrava notare nulla, aveva proprio una bella immaginazione.
«Tutto bene?» chiese notando che il figlio aveva smesso di mangiare e iniziato a guardare un punto non definito nel vuoto.
«Sì, certo».
La cena si concluse di lì a poco e come succedeva sempre dopo aver sparecchiato la tavola i due si divisero, la madre si sedette sul divano per guardare un po’ di televisione, mentre il figlio, seguito come un’ombra da Veuiah, andò in camera sua per addormentarsi con della musica di sottofondo. Lo rilassava molto ascoltare musica, anche se la musica in questione non poteva essere definita propriamente rilassante, come gli AC/DC, i Guns ‘N Roses o anche i Green Day. Ma era sicuro che quella sera non ci sarebbe riuscito per nulla, con l’angelo aveva intenzione di adottare la tattica di ignorarla nella speranza che sarebbe svanita, anche se capì abbastanza in fretta che sarebbe servito a poco. Di buono però c'era che non parlava molto, anzi quasi per nulla, lei se ne stava lì a guardarlo, ma questo lo infastidiva di più, essere osservato era orribile, lo faceva sentire strano. Nonostante il fastidio che quell'essere gli provocava spense le luci e si mise sotto le coperte, anche con la testa, per evitare che lei riuscisse a vederlo nel buio.
"Domani, al risveglio, non ci sarà più nessuno, e lei sparirà" si disse prima di cadere fra le calde braccia di Morfeo.
«Buona notte Stephen» furono le ultime parole che udì.
Al risveglio, il giorno seguente, si sentì stranamente più leggero, si preparò in fretta, ci metteva sempre poco, e si recò in cucina per prepararsi un caffè. Si sentiva solo, ogni mattina lo era, sua madre usciva presto per il suo lavoro, ma questa mattina era diverso. Fra un sorso e l'altro ricordò quello che era successo il giorno prima, e capì che il vuoto che sentiva era dovuto al fatto che la sua mente non gli stava più giocando brutti scherzi, tanto meglio, un pensiero in meno. Si recò a scuola, continuando a sentirsi solo, ma lui aveva sempre fatto tutto da solo, non aveva mai avuto nessuno con cui condividere momenti, di amici non ne aveva e per lui quelli che ti chiedono una matita o ti salutano a fine lezione non sono amici, sono a stento conoscenti. Uno dei motivi per i quali non aveva amici era per via di quell'ambiente, sua madre non l'aveva mai fatto uscire da piccolo, "troppo pericoloso" gli ripeteva, e lui aveva anche perso l'interesse per il mondo esterno, preferiva quello dei fumetti che aveva. Durante le lezioni seguì tutto e prese appunti come era solito fare, non gli piaceva particolarmente la scuola come ambiente, ma amava studiare, gli piaceva conoscere e sapere sempre di più, gli sarebbe anche piaciuto andare al college, ma costava troppo e le borse di studio di solito venivano date agli atleti e non ai tanti che avevano ottimi voti.
Il bagno era un luogo abbastanza sudicio, e tenuto male come un po' tutto in quella scuola, ma era sicuro la maggior parte delle volte. Spesso durante il pranzo nessuno entrava lì, la maggior parte preferiva poter uscire nel cortile, questo lo rendeva una preda un po' più difficile da trovare. Odiava quel trio che lo prendeva di mira dal primo anno, non aveva mai capitato il perché poi loro se la prendessero con lui, per i voti, per la sua scarsa propensione per gli sport, o per la sua disastrata situazione a casa. Chissà, magari un giorno gliel'avrebbe chiesto, ma ora preferiva stare seduto sulla tavoletta del water a mangiare il suo sandwich che si era preparato quella mattina.
«Non dovresti temerli, ma affrontarli» arrivò una voce distante pochi centimetri da lui, era la stessa figura del giorno prima che fluttuava a pochi centimetri da terra, era tornata, allora era davvero pazzo, forse per questo lo picchiavano. Non le rispose e continuò a mangiare, ignorandola lei sarebbe andata via, era già successo, bastava pensare ad altro.
«Guarda che non andrò via se mi ignori» ma perché continuava a parlare, non poteva starsene lì zitta in un angolo. Perché proprio a lui tralaltro, lui che non ci aveva mai creduto, per lui era più realistico che fosse tutto un grande gioco di ruolo e che un Dio esistesse ma che fosse un ragazzino con i brufoli e sfigato. Si passò una mano tra i suoi capelli castani incasinati, doveva smetterla di fare certi ragionamenti. Al suono della campanella uscì dal bagno e continuò le sue lezioni fino all'uscita da scuola, nessuno l'aveva infastidito, tranne l'angelo naturalmente, era strano ma anche bello essere uno studente normale con nessuno che ti perseguita. Invece di tornare a casa andò alla pizzeria della quale aveva parlato alla madre, non le stava dando ascolto, ma lo faceva solo per aiutarla. Una volta arrivato lì con tutte le buone intenzioni il padrone della pizzeria gli disse che gli avrebbe fatto sapere e che forse c'era un posto come pizzaboy, ma nulla di certo, gli lasciò il numero e uscì dirigendosi verso casa sua.
«Ciao» disse una voce allegra, la voce apparteneva a una ragazza che lui conosceva bene, Amanda, frequentava la sua stessa scuola e gli piaceva molto.
«Ciao» rispose lui un po' titubante, lei non l'aveva mai salutato, o notato. Dopo quel brevissimo scambio di battute e dopo un dolce sorriso da parte della ragazza i due continuarono per le loro strade separandosi.
«È una bella ragazza, dovresti parlarle a scuola, lei apprezzerebbe molto» ecco che era tornata, non gli si era staccata di dosso neanche per un minuto. Durante il tragitto decise di non dire nulla a sua madre, dato che quello che aveva ricevuto non era né un sì né un no, era in una specie di limbo, e quando avrebbe avuto una risposta certa ne avrebbe parlato con lei.

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