Oltre al danno, la muliebre beffa

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Il buio fu pesto per un buon tratto, ma a Lorenzo non parve più di una manciata di secondi. Meglio, gli parve una manciata di secondi l'avere gli occhi chiusi: quando li aprì, e si sincerò di averli aperti passandosi una mano sul viso, non notò alcuna differenza. Fu solo trascorso il primo momento che, pian piano, dall'oscurità cominciarono a emergere piccole, piccolissime fonti di luce: le stelle. Il cielo, ripulito delle nuvole portatrici di neve, era per gran parte terso. La luna era una falce così sottile da sembrare il tratto preciso e affilato di un compasso e si delineò man mano che la vista riprendeva confidenza con la realtà. Quando realizzò che, se vedeva il cielo, era perché si trovava all'esterno, cosa niente affatto auspicabile in pieno inverno, il freddo cominciò a mordergli le carni; così si accorse di non avere indosso che uno straccio di camicia e, sulle spalle, al posto del suo mantello, una rozza coperta fatta più di toppe che d'altro.

«Maremma...» bofonchiò sgranchendosi le ossa con una buona stiracchiata. Un brivido lo scosse tutto e lo costrinse a stringersi, a rannicchiarsi più che mai in sé; nel farlo, muovendo una gamba vicina al corpo, urtò qualcosa, anzi qualcuno, qualcuno che non ne fu affatto felice. «Ma all'anema 'e chi t'è muortǝ e stramuòrtǝ!», proruppe questi, rivelandosi non essere altri che Alfonso d'Aragona, illustrissimo duca di Calabria. Lorenzo sobbalzò dalla sorpresa, andando a urtare chi gli stava dietro, coricato in terra per modo che gli faceva d'appoggio in maniera molto simile a una spalliera e per tale, al principio, l'aveva preso. Egli non riuscì ad articolare in parole il proprio incomodo, ma lo rese altrettanto bene con un lungo e cupo lamento. Tanto bastò a far sì che il Medici lo riconoscesse e, voltatosi a lui pur con somma difficoltà, imbacuccato com'era nella coperta, gli dicesse: «O Ludovi'o, 'om'è 'he noi s'è 'apitati 'ostì? Ohi!»

L'esclamazione, scappatagli di tra i denti stretti all'improvviso, gli veniva per quel dolore di capo che era sorto prepotentemente non appena aveva parlato, ricordandogli l'ultima cosa che gli era accaduta prima di perdere i sensi, ossia la botta ricevuta in fronte.

«Al so minga!» biascicò Ludovico, muovendosi lentamente per assumere una posizione più comoda. Stavano coricati tutti e tre su un pagliericcio riparato appena appena da una semplice tettoia fatta d'assi di legno inchiodate l'una all'altra. Aleggiava intorno un intenso odore di stalla, cosa che dava a sospettare che si trovassero in un riparo per le bestie; mucche, probabilmente. Alfonso, offeso dalla puzza, si sollevò seduto per proclamare, con un'imprecazione altrettanto colorita della prima, tutto il proprio disappunto, al quale si associò lo Sforza. Quest'ultimo poi, aggrappandosi a Lorenzo per mettersi, come gli altri due, seduto, concluse: «Già che tu non hai naso! In casi come questo è una benedizione!»

«Son più le cose che puzzano che quelle che profumano, perciò mi ritengo baciato dalla fortuna a non avere olfatto!» (1) replicò lui, facendo un primo tentativo di alzarsi in piedi; ma la testa, accusando ancora il colpo, gli girò tanto da farlo ricadere giù nella paglia, coricato sulla schiena.

«Che cosa v'è rimasto addosso, a voi?» domandò sottovoce Alfonso, con una timidezza che veramente non gli apparteneva. Silenzio, per un attimo, poi Lorenzo rispose: «A parte questa brutta copertaccia, ho una camicia e le mutande e, ai piedi, un paio di calze di lana».

«Io il medesimo», confessò Ludovico, anche lui afflitto e sconsolato. «Non voglio pensare a come ci accoglieranno al Castello!»

«Io mi preoccupo più del modo di tornarci, che dell'accoglienza...»

«Se la Clarice mi si negherà anche stavolta, giuro che...»

«Ancora pensi a quello?!»

Lorenzo, invece che ribattere, ché non ne aveva punto voglia, si trascinò fin dove intravedeva essere un puntello di supporto della tettoia e lì, abbarbicato a quel sostegno, si ingegnò di mettersi sulle gambe nonostante il vorticare continuo della testa. Una volta che fu ben saldo, o almeno gli parve d'esserlo, gettò uno sguardo di fuori. La luce era veramente poca, ma la neve la rifletteva intorno con quel suo candido aspetto e faceva sì che si potesse vedere abbastanza bene nonostante fosse notte. Ormai gli occhi si erano abituati e il mondo non appariva più così scuro e spaventoso com'era stato fino a poco prima. Il cielo li sovrastata benigno, tagliato di netto di fronte a loro dalla linea diritta delle mura cittadine, che correva da un estremo all'altro della visuale. Non si distingueva altro, almeno per ciò che si offriva dall'imbocco della stalla. Aguzzando la vista, a Lorenzo capitò di riconoscere, nei pressi di dove si trovava, una traccia di impronte, ma non gli passò proprio per la testa di mettersi all'inseguimento di chi aveva giocato loro quel brutto scherzo: le priorità, al momento, erano ben diverse, prima tra tutte quella di tornare.

(Santo) Natale alla corte del MoroWhere stories live. Discover now