Come si ravviva una serata

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Si erano cambiati d'abito, avevano indossato i mantelli e le berrette, calzato gli stivali più caldi del guardaroba. Non c'era dubbio, a quel punto, che la determinazione dei tre signori fosse superiore alla pigrizia, alla stanchezza e alle intemperie. Fuori aveva appena cessato di nevicare e una leggera brezza sfiorava la coltre bianca adagiata con delicatezza dalle mani invisibili della natura su qualsiasi cosa fosse rimasta alla sua mercé: torri, panche, fontane... tutto era diventato candido, immacolato, irriconoscibile anche a un occhio esperto del luogo.

Figurarsi però se Ludovico si facesse venire il cruccio di prendere precauzioni. Era nato a Milano, c'era cresciuto, l'aveva percorsa in lungo e in largo quando a cavallo nelle occasioni ufficiali, quando incappucciato e a piedi, se doveva recarsi a trovare un'amante o a raggiungere una delle tante locande senza essere riconosciuto. Un po' di neve non gli avrebbe certo rovinato i piani!

Usciti che furono nel cortile interno del Castello di Porta Giovia armati solo di una torcia, i tre si diressero verso un'uscita laterale. L'Aragona, disavvezzo ai climi del Nord Italia e in special modo all'umidità penetrante delle notti in pianura, cominciò presto a battere i denti e a strizzare gli occhi, rannicchiandosi il più possibile per coprire il collo, le labbra e magari anche la punta del naso. I brividi spazzarono via un po' dell'intorpidimento accumulato con il vino, perciò, guardandosi bene intorno, prima ancora di metter piede all'esterno Alfonso balbettò: «Ludovì, se u' puostǝ nun me piacǝ, i' t'accoppo co' le mie proprie manǝ!»

«Al va piasarà! Al va piasarà!» assicurò questi crollando il capo avanti e indietro. Poi, impettitosi di fronte alle guardie che vigilavano al piccolo portoncino di servizio da cui sarebbero sgattaiolati in città, disse bene, forte e chiaro: «Sono Ludovico Maria Sforza, duca di Bari, e v'ordino di aprire immediatamente e farci uscire!»

Le guardie erano per l'appunto due, erano giovanotti freschi e, come di consueto, erano di ronda nelle ore meno comode. Vedendo i nuovi venuti piuttosto alticci, anche se non del tutto assuefatti dal vino, scambiarono un'occhiata e s'intesero subito tra loro; dacché il maggiore per età ed esperienza rispose all'ordine. «Perdonate, messere, ma voi non mi parete essere l'Illustrissimo duca di Bari! È mio dovere vietarvi il proseguire.»

Ludovico trasecolò e, lì per lì, non riuscì a spiccicare parola alcuna. Allora fu Lorenzo a farsi avanti: scostò l'amico di lato con un'energica pacca sulla spalla e, gonfiando il petto, replicò: «O non vi ci mettete voialtri, che noi si vuole escire di 'ostì! De', fate largo».

«Come sappiamo noi che il messer qui sia colui che dice? Che ci pare voi abbiate indosso abiti indegni della dignità vostra, Illustrissimo duca!» disse la prima guardia, guardando fisso in volto Ludovico, il quale aveva ritrovato la favella e gli rispose a tono: «Or voi vorreste insegnarmi il nome mio? Lasciate la strada, ché noi non siamo prigioni, ma liberi! E il vostro dovere è di non far entrare, non di vietare l'uscita».

Soddisfatti della risposta, le due guardie cedettero il passo e, uno dopo l'altro, Ludovico, Lorenzo e Alfonso sfilarono oltre la piccola soglia, scesero qualche gradino e si ritrovarono sul lastricato della strada che correva attorno alle mura perimetrali del Castello. Si lagnarono dei modi delle guardie ancora per il tempo di qualche passo, poi scordarono del tutto l'accaduto, pieni com'erano di tante belle aspettative per la notte. La speranza li nutriva tanto di promesse da tracciare addirittura la loro via, come se ora non soltanto il Milanese, ma pure il Fiorentino e il Napoletano conoscessero il percorso da seguire per raggiungere la meta, e tutti e tre andavano concordi tenendosi per mano onde evitare di capitombolare nella neve.

Era una scena divertente e inusuale vedere figure come le loro, alte, robuste e gioconde, avanzare a passi lunghi, la luce della torcia riverberata tutt'intorno dal bianco purissimo di cui erano ricoperte tutte le superfici, quasi che fossero venuti a infrangere le tenebre come coraggiosi paladini; mentre in realtà le loro intenzioni li schieravano tutto all'opposto che dalla parte della bontà e onestà cristiane.

(Santo) Natale alla corte del MoroWhere stories live. Discover now