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Caleb: -Perfetto! Testarda come sei, non avevo dubbi che ce l'avresti fatta. E dimmi: un uccellino da Londra mi ha detto che qualcuno è tornato nel nido...-

Laney: -Oh... si... si, Richard è venuto a vivere qui. Beh, circa, ora sta al Kadick come studente internato... sai che abbiamo qualche problema di spazio... e poi non vogliamo fargli pesare la cosa...-

Caleb: -Ne abbiamo già parlato, Laney: smettila di sentirti così in colpa; insomma avevi quindici anni e puff, ti ritrovi a dover crescere un figlio, nessuno in famiglia ti biasima; me la sarei fatta addosso anch'io. E poi non lo hai mica abbandonato per strada: i cugini di Henry lo hanno cresciuto a dovere no? -

Laney: -Lo so, lo so... è che non sarà facile, sai, quando ci incontreremo per la prima volta, dopo dieci anni...chissà magari mi scannerà a vista...-

Caleb: -Non dire cosi, su. Henry ha studiato quella roba la, psicologia o cose così, e mi fido di quello che dice lui: non mi pare il tipo da serbare rancore. Fidati, sarà nervoso quanto te...andrà tutto bene, Laney, vedrai. -

Laney: -...si, probabilmente sarà così. –

In tutto questo Sylviane, con la scusa di osservare le foto e le macchine fotografiche, si era messa a origliare l'intera conversazione, brava com'era a rendersi praticamente invisibile dagli altri.

"... Quanto mi dispiace per lui..."

I due fratelli intanto discutevano del più e del meno, fino a che Caleb non salutò Laney, per tornare al suo furgone. Tempo un minuto, e anche Sylviane si stava dirigendo alla porta, solo per essere fermata un attimo dalla domanda della proprietaria.

Laney: -Scusa se sembro inopportuna, ma... hai un viso familiare: che scuola frequenti? –

Syl: -... Vado al Kadick, signora... -

Laney: -Lascia perdere il "signora", non sono una cinquantenne con un negozio di dolci; chiamami pure Laney. Quindi vai al Kadick, eh? Per caso conosci un certo Richard? Altino, rosso, giacca da aviatore... –

Syl: -E' un mio compagno di classe. –

Laney: -Oh... bene allora, hai soddisfatto la mia curiosità, e scusa di nuovo. –

Syl: -Non è un problema. Arrivederci. –

Quando la storiella terminò, Richard lasciò che la testa sprofondasse nel cuscino, rimettendosi la borsa del ghiaccio. Se avesse avuto più forza nel corpo, si sarebbe tirato una manata sulla fronte per l'assurdità, e la casualità, dell'avvenimento appena raccontato. Ora non solo aveva messo in pericolo tre ragazzi e altri cinque adulti, ma sua madre si stava facendo in quattro per farsi perdonare. Nonostante lui non provasse rabbia alcuna nei loro confronti.

"Ok, treno dei sensi di colpa, fammi un favore: passa oltre alla mia stazione..."

Syl: -Mi dispiace. Scusa se ho origliato la cosa...-

Richard: -Perché ti dispiace? Non è la tua famiglia, preoccuparti è inutile. –

Syl: -...Richard, su questo non ti capisco: è davvero necessario trovare un motivo per preoccuparmi di qualcuno? Sei un mio amico e mi hai salvato la vita, quindi è anche il minimo che possa fare. –

Per l'ennesima volta la discussione lo aveva messo spalle al muro. Il ragazzo fece per aprir bocca, ma la chiuse subito, come se volesse dire qualcosa per poi rendersi conto che risulterebbe incoerente. E come era stato dimostrato, Sylviane Cellier aveva il dono di saper leggere le persone.

Syl: -Guarda che non ti do dell'ipocrita se dici "Scusa". –

Richard: -... E va bene, hai vinto te. Mi chiedo come fai a prevedere ciò che dice la gente... -

Syl: -Anni di abitudine. Tutto qua. –

Dopo quel piccolo momento di tensione derivato dal racconto della vicenda, era tornata la pace nell'infermeria del Kadick. Nessuno dei due si curava di vedere il tempo che era passato da quando la dottoressa era uscita. Non avevano neanche più bisogno di parlare, si erano chiariti abbastanza, per oggi. Lo sfogliare delle pagine era tornata ad essere l'unica fonte di rumore.

La ragazza alzò un attimo la testa dal libro, dopo essersi accorta di sentire un respiro regolare e profondo: Richard era finito per addormentarsi. Meglio così, almeno si sarebbe riposato a dovere. Sylviane lo osservava meditabonda, pensando a quanto si stava facendo in quattro per loro tre. Come se volesse quasi proteggerli da qualcosa che andava oltre XANA e i suoi piani di conquista e distruzione.

Addirittura stava facendo per mettergli una mano tra i capelli, quando la porta dell'infermeria si aprì di scatto, facendo ritrarre il braccio dov'era. La dottoressa era rientrata affannata, come se avesse fatto una corsa contro il tempo.

Emily: -Mi dispiace di avervi fatto aspettare tre ore, ma ho dovuto fare il giro delle farmacie di Parigi! A quanto pare il farmaco stava andando a ruba! –

"...sono rimasta qui per tre ore?"

Il medico andò subito a controllare la temperatura di Richard, sperando che fosse migliorata. E lo era di brutto: trentasei e mezzo. Una febbre che è andata e venuta.

Emily: -Guarda un po', arrivo con le medicine e la febbre è sparita. Oh be, almeno ho una scorta pronta per gli studenti. Appena si sveglierà potrà tornare al dormitorio. Puoi andare, Sylviane, non c'è più bisogno di fare la guardia al tuo ragazzo! –

Sentendo l'ultima frase, Syl rimase interdetta. Un leggero rossore si stava accendendo sulla pelle bianco marmo.

Syl: -...In realtà non lo è...-

Emily: -Hahaha! Peccato, da come vi comportate sembrate una coppia. Scommetto che la situazione cambierà tra un paio di mesi! -

Syl: -...Oh! Ehm... grazie, direi... arrivederci. –

E con l'ultimo scatto della porta, la dottoressa Emily tornò alla scrivania per riprendere il suo lavoro da dove aveva interrotto.

Per certi versi era divertente avere degli studenti come pazienti.

La Seconda CartagineDonde viven las historias. Descúbrelo ahora