21 - Francesco Baracca

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6 Novembre 1917

Mattino. Cielo sopra Portogruaro



Entrambi i guanti della sfida erano stati appesi all'interno della carlinga. Ora penzolavano pigramente davanti al nottolino dei magneti della messa in moto.

Dopo tanta pioggia, finalmente una giornata con un cielo terso, sebbene la temperatura fosse crollata a livelli decisamente invernali. Francesco si passò un dito guantato attorno agli occhialoni. Aveva steso uno strato di grasso di foca a proteggere la pelle esposta, ma forse avrebbe potuto metterne un po' di più. Sentiva il vento gelido pungergli le guance con mille minuscoli spilli.

Era stato il desiderio di tornare in aria a spingerlo a modificare il ruolino del giorno e inserirsi in questa missione di pattugliamento del fronte, insieme a Giuliano Parvis.

"Forse avrei potuto lasciare il posto a uno dei nuovi," pensò sentendosi un po' in colpa. Ma ci volle meno di un secondo per scacciare il pensiero: lui era un pilota, e i piloti dovevano volare. L'avevano costretto al comando della squadriglia – cosa che lui avrebbe volentieri evitato – l'avevano sommerso di scartoffie, di incombenze, di responsabilità... quando l'unica cosa che desiderava davvero fare era volare. E, dopo le brutte giornate di ritirata, oggi aveva proprio voglia di farlo.

Lanciò un'occhiata al suo gregario che, diligentemente, volava alla sua destra, un poco più in alto, qualche decina di metri più indietro.

Il suo SPAD XIII andava che era una meraviglia. Aveva passato buona parte della serata precedente nell'hangar, con i meccanici, a controllarne ogni bullone, ogni cavo, ogni centimetro di legno e di tela. Come era sua abitudine, aveva inserito personalmente i colpi nei nastri delle mitragliatrici, verificando con meticolosità che l'allineamento e il posizionamento di ogni cartuccia fosse perfetto. L'armiere, a cui aveva sottratto il lavoro, si era limitato a lucidare ogni ogiva, prima di passargliela.

Seguendo l'esempio del loro comandante, tutti i piloti della 91esima Squadriglia avevano preso l'abitudine di controllare personalmente lo stato dei propri velivoli e delle proprie armi. Era uno dei tanti insegnamenti che Baracca aveva condiviso con i propri uomini, senza mai sentire la necessità di imporli.

"Se fai qualcosa, tanto vale farlo bene," diceva con semplicità.

Respirò a pieni polmoni, sentendo l'aria ghiacciata penetrargli nel petto. Volare era la cosa che lo rendeva più felice. Ripensò alle sue prime esperienze, alla gioia provate nei cieli di Rheims quando il giovane Marcel Hanriot gli insegnava a pilotare. Tutto sommato, anche dopo cinque anni e innumerevoli ore passate in aria, quelle stesse emozioni non si erano mai sopite.

Poi, due puntini nel cielo azzurro intenso lo riportarono al presente.

Fece oscillare le ali, per richiamare l'attenzione di Parvis, e indicò. Il gregario annuì. I due aerei nemici erano a una quota inferiore, forse due o trecento metri in meno. Un cenno del mento verso l'alto e i due SPAD impostarono un assetto a salire: meglio guadagnare un po' di quota in più. La si poteva poi barattare, all'occorrenza, con un bel po' di velocità.

Non erano ricognitori. Strano. Ultimamente gli austriaci avevano moltiplicato le missioni di osservazione: la loro repentina avanzata, dopo tre anni di battaglie praticamente statiche, aveva imposto loro di conoscere un territorio del tutto nuovo. E quindi, nove volte su dieci, erano i ricognitori ad avventurarsi sulle linee italiane. Ma questi due erano caccia. Francesco, anche da grande distanza, riusciva a riconoscerli: Albatros.

Due caccia solitari che puntavano dritti verso Padova... lo sguardo di Francesco si posò sui guanti del misterioso RSS. Qualcosa gli premette sul petto, rendendogli difficile la respirazione: una sensazione di oppressione, quasi una premonizione. Le dedicò solo un paio di istanti, prima di scacciarla scuotendo la testa.

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