5 - Godwin Brumowski

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17 Ottobre 1917

Pomeriggio, base aerea di Sesana, sede della Fliegerkompanie 41J, nei pressi di Trieste, Impero Austro-ungarico



Rudolf Szepessy-Sokoll osservava il modellino di Albatros appeso sopra al tavolo. Era perso nei suoi pensieri. La riunione stava trascinandosi da più di un'ora e lui era stufo di stare ad ascoltare. Voleva volare.

— Lei cosa ne pensa, Szepessy-Sokoll? — chiese il comandante Brumowski, sfilandosi il monocolo e pulendolo in un fazzoletto color crema.

L'ungherese raddrizzò la schiena e si lasciò sfuggire un colpo di tosse. — Sono d'accordo, naturalmente, — disse, cercando di avere un'aria competente e sicura di sé, pur non avendo la più pallida idea di cosa fosse l'argomento della domanda.

— Ah, davvero?

Gli altri piloti ridacchiarono. Szepessy-Sokoll sentì le proprie guance scaldarsi.

— Beh, nel limite del possibile... — aggiunse, sperando che avesse un senso.

— Si capisce. — Brumowski si infilò il monocolo. — Spero che la nostra piccola riunione non sia troppo noiosa, per lei.

— No, di certo, — disse il tenente, guardandosi le mani.

— Molto bene. Prossimo, e ultimo, punto: ci è stato comunicato che il Diavolo Rosso è precipitato e ha perso la vita. Pare si sia trattato di un incidente.

Silenzio. Szepessy-Sokoll si guardò in giro, cercando di leggere le espressioni dei colleghi. Sollievo, forse?

— Chi è il Diavolo Rosso? — chiese sottovoce al suo vicino, Gruber, nonostante non avesse la minima simpatia per lui: non era nemmeno un ufficiale ma aveva già abbattuto cinque avversari. Due in più. Era già definito asso, lui.

— Non sappiamo il suo nome, — rispose il sottufficiale bisbigliando. — Ma era uno dei più pericolosi, insieme a Baracca, ovviamente.

— Baracca... — Szepessy-Sokoll si perse di nuovo nei suoi pensieri.

— Ritengo opportuno, — continuò Brumowski, — andare a concedere l'onore delle armi al nostro valoroso avversario.

L'attenzione di Szepessy-Sokoll si risvegliò di colpo. — Perché? — esclamò. — Non siete tutti contenti che non ci sia più? Uno in meno, no? Siamo o non siamo in guerra contro quei traditori italiani?

Tutti i piloti si voltarono verso di lui. Nessuno parlò, solo sguardi. Freddi.

Fu il tenente Frank Linke-Crawford a prendere la parola, dopo un silenzio lungo e pesante. — Combattiamo questa sporca guerra, ma siamo aviatori. E anche loro. Facciamo il nostro dovere, ma non dobbiamo mai perdere il rispetto per i nostri avversari: aviatori, ripeto, come noi. Quando un grande aviatore come il Diavolo Rosso cade è giusto commemorarlo.

Gli altri piloti annuirono.

Szepessy-Sokoll sorrise, cercando di nascondere l'imbarazzo. — Ma certo. Sono d'accordo. Non l'avevo vista sotto questa luce... e me ne dispiaccio, — mentì.

Il comandante riprese il suo discorso. — Quindi: la missione è pericolosa e non autorizzata dal comando. Depositeremo una corona di fiori sul campo avversario. Andremo in tre. Se siete d'accordo: io, Frank e Gruber. Ma la partecipazione è strettamente volontaria.

— Vorrei venire anch'io, — disse l'ungherese alzandosi in piedi.

Il giovane comandante gli puntò addosso il suo sguardo freddo, reso inquietante dal monocolo che deformava la sagoma del suo occhio destro. — Lei è nuovo di questo fronte, non ha mai incontrato il Diavolo Rosso in aria, — disse, scandendo le parole.

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