16 - Giulio Lega

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31 Ottobre 1917

Alba. Base aerea di Arcade, sede temporanea della 91a Squadriglia Caccia, nei pressi di Treviso



La piccola base di Arcade viveva una fase di confusione e febbrile attività, più di quanto fosse mai accaduto dall'inizio delle ostilità. Ogni giorno nuove squadriglie arrivavano dalle basi più avanzate, man mano che queste venivano abbandonate, mentre altre lasciavano l'aeroporto alla volta di sedi più definitive (perlomeno nelle speranza del Comando). Occorreva fare continui inventari di uomini, aeroplani e rifornimenti, capire quali squadriglie fossero in grado di operare, quali richiedessero nuove risorse e quali fossero da sacrificare cedendo i loro mezzi e i loro piloti ad altre.

Il tenente colonnello Piccio, al Comando del Decimo Gruppo Caccia, era letteralmente sparito tra le scartoffie e per due giorni non era uscito dal suo ufficio se non per rapide incursioni negli hangar a valutare di persona lo stato di alcuni velivoli. Era sempre più magro, le guance scavate, gli zigomi pronunciati, gli occhi gonfi. Nessuno osava rivolgergli parola, poiché le sue sfuriate erano ben note e in questi giorni sembrava tutto fuorché di buon umore.

Anche Francesco Baracca non se la passava meglio. Aver abbandonato la sua Santa Cristina gli rodeva il fegato. A chi si fermava a fare due chiacchiere affermava che gli sembrava di vivere in un sogno, anzi in un un incubo. — Ma ritorneremo, — affermava ogni volta, alla conclusione dello scambio. — Riprenderemo Udine e riprenderemo Gorizia. Ritorneremo.

E, sebbene avesse una ridda di preoccupazioni operative a cui dedicarsi, continuava a pensare a Benedetta. Il suo viso dolce, i capelli biondi che non volevano starsene al loro posto. Pregava che fosse riuscita ad attraversare il Tagliamento con la sua famiglia. E se si fosse ritrovata nel territorio occupato dal nemico? Una ragazza così giovane, e carina... circondata da soldati affamati e imbestialiti dalla guerra... cosa le avrebbero fatto?

Anche questa mattina, dopo una notte passata tra brevi sonni agitati e lunghe ore di veglia tormentata, si era precipitato sulla linea di volo a osservare il clima. E mentre scrutava le nuvole che sembravano finalmente essersi diradate un poco, le tornò in mente la sua amica (ma era giusto chiamarla solo amica?). — Dove sei, Benedetta? — mormorò.

Abbassò lo sguardo. Non lontano c'era un giovane di non più di ventiquattro o venticinque anni. Le mostrine dei Granatieri di Sardegna, i gradi da tenente, il fregio di Aviatore. C'era qualcosa di familiare in quel viso, anche se Francesco non riusciva a collocarlo.

Sentendosi osservato, il giovane si avvicinò e si mise sull'attenti, di fronte al maggiore. — Giulio Lega, — disse, con quella inconfondibile cadenza che Baracca conosceva così bene.

Francesco lo osservò alcuni momenti, poi gli strinse la mano. — Lega, — ripeté, sorridendo. — Mi aiuti a ricordare.

Lega sorrise, stringendo lievemente le spalle. — Ci siamo già incrociati qualche volta, qui. E forse ad Aviano... E in cielo...

Baracca alzò la mano, per fermarlo. — No, no. Aspetti, mi lasci pensare. Lei è romagnolo?

— Sono nato a Firenze, ma casa mia è a Faenza.

— Infatti. Vola nella 21esima Squadriglia Ricognizione, vero?

— Proprio così, sui Savoia-Pomilio SP2.

Baracca non disse nulla. Non aveva una grande opinione di quegli aerei che avrebbero dovuto essere l'occhio di esercito e artiglieria: un progetto che già alla sua nascita si era rivelato obsoleto. Era una preda facile per i cacciatori avversari e richiedeva sempre un'attenta scorta per poter portare a termine le sue missioni. Chi ci volava doveva avere un grande coraggio.

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