19 - Ferruccio Ranza

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4 Novembre 1917

Sera. Antica Trattoria Zaramella, Padova



In questi ultimi giorni, dopo la frenesia delle missioni che si erano susseguite senza sosta a partire dal disastro di Caporetto, il morale degli uomini della 91esima squadriglia era andato via via calando. La fretta di abbandonare la base di Santa Caterina, i pochi giorni di permanenza ad Arcade e poi il nuovo trasferimento a Padova, sempre a correre dietro agli eventi che seguivano il loro capriccio e non si piegavano alla volontà del Comando Supremo.

Erano stremati: fare e disfare bagagli, imballare e disimballare attrezzature, volare in un susseguirsi ininterrotto di missioni per cercare di arginare l'avanzata nemica, o per proteggere la ritirata dei fanti o delle popolazioni trasformate in profughi senza più un luogo dove stare.

I segni della spossatezza e del logoramento fisico e mentale erano evidenti sui visi e sugli abiti dei piloti. Barbe incolte, mani sporche, segni di sudiciume nelle rughe più profonde, bottoni mancanti, strappi nelle giubbe e nei pantaloni, macchie di grasso di terra di polvere, calzature inzaccherate, fasce mollettiere lise e lacerate.

Tra i piloti della 91esima solo Francesco Baracca, era riuscito a salvaguardare il suo aspetto esteriore. Gli anni di Accademia Militare, e la lunga permanenza nella mondana Roma dove era fondamentale tenere alto l'onore dell'Arma di Cavalleria presentandosi sempre con impeccabile perfezione l'avevano addestrato a tal punto che per lui era del tutto naturale riuscire ad avere sempre a disposizione una divisa perfetta e tirata a lucido da indossare quando le circostanze lo richiedessero.

E questa sera, per lui, le circostanze lo richiedevano eccome. Un'altra ondata di maltempo aveva ridotto le missioni e, alcune sortite di bombardamento da parte delle squadriglie Caproni erano state cancellate. Come conseguenza, ai piloti del X Gruppo Caccia era stata concessa una serata di libertà: l'occasione per rilassarsi un poco, tirare il fiato, fare il punto della situazione per poi poter ripartire con rinnovata motivazione.

Francesco si era informato presso il personale locale e aveva individuato questo antico ristorante nel centro della città. Una bella cena fuori, lontano dall'ambiente militare, dove i veterani avrebbero anche avuto l'occasione di conoscere meglio i nuovi arrivi. Come comandante della squadriglia doveva prestare la giusta attenzione all'inserimento dei tre ragazzi appena arrivati nella sua compagine di dodici piloti. La fiducia reciproca era l'ingrediente principale nella ricetta del buon funzionamento della squadriglia: per questo motivo si faceva spesso accompagnare in aria dai piloti con meno esperienza, in modo da poter insegnare loro le regole del gioco.

Divertiti, i piloti ascoltavano i discorsi strampalati di Keller, che con candore e modestia, e senza mai sorridere, spiegava la sua visione del mondo, della guerra, del volo. Novelli, molto più inquadrato, rideva scuotendo la testa, indeciso se Keller parlasse sul serio o se stesse prendendoli tutti in giro. I veterani, soprattutto Ruffo e Ranza, davano corda al giovane facendogli domande filosofiche che scatenavano lunghe digressioni sulle più importanti questioni dell'esistenza umana. In un angolo, avvolto in una nuvola di fumo, lo Zio Meo ascoltava prendendo lunghe boccate meditative dalle sue sigarette.

A capotavola, Baracca seguiva la conversazione, intervenendo di tanto in tanto. La sua mente però tendeva ad abbandonare la tavolata e seguire invece altri percorsi. Benedetta, per esempio. Era arrivata sana e salva a Brescia? L'avrebbe mai più rivista? Decise che, sì, l'avrebbe rivista. Alla fine della guerra sarebbe tornato a cercarla, l'avrebbe trovata e... E poi? Era inutile fare progetti, chissà quanto sarebbe durata, questa maledetta guerra. Comunque, il fatto che sia la famiglia di Benedetta sia quella di Francesco fossero proprietarie di aziende vinicole doveva essere un segno del destino che non poteva essere trascurato. Si augurò che la ragazza stesse bene.

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