I'm Better Off On My Own

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Finalmente era finito il primo giorno di scuola. «Uno in meno.» pensò Michael sospirando e aprendo la porta di “casa”. Viveva da solo in una specie di magazzino sporco, umido e ammuffito, infestato da topi e scarafaggi d’incredibili dimensioni. Sua madre era morta in un incidente l’anno precedente e suo padre li aveva abbandonati quando aveva iniziato a capire che le cose non andavano bene per la famiglia Clifford. Quando sua madre era deceduta Michael non aveva pianto: si era chiuso in quella che era la sua vecchia stanza da letto e aveva iniziato a fissare il soffitto, inerme. Poi un giorno la polizia aveva suonato il campanello e l’aveva sfrattato. Dopo varie nottate a casa di “amici”, aveva trovato quel magazzino e ci si era “sistemato”. Per quanto riguardava suo padre, Michael provava un completo disprezzo, aveva lasciato sua madre a prendersi cura del ragazzino quando aveva solo tre anni, e ora che quel ragazzino, ormai diventato un uomo, aveva bisogno di lui, non si era nemmeno fatto sentire. Michael sosteneva che fosse meglio così, probabilmente se se lo fosse ritrovato davanti non l’avrebbe preso a pugni, non ne avrebbe ricavato nulla, l’avrebbe semplicemente evitato, non gli avrebbe nemmeno rivolto la parola, un saluto, un gesto della mano, nulla. Per lui era come inesistente.

Perciò entrò e si accasciò sul divano, che era anche il suo letto. Poi si alzò e aprì il frigorifero: vi trovò solo del latte. Per fortuna si ricordò di avere dei cereali in dispensa. Il pranzo più abbondante che avesse mai fatto da un anno a quella parte. Quando ebbe finito di mangiare decise di uscire a fare una passeggiata, più che per voglia lo fece perché in quel magazzino la puzza di muffa era diventata insopportabile. Entrò nel primo supermercato che trovò per strada e prese una birra, che pagò con i soldi della vendita del sabato precedente. Per guadagnarsi da vivere Michael era costretto a spacciare dell’erba e della cocaina nelle discoteche della periferia londinese. Non la preparava lui, aveva solo il compito di rivenderla. Ogni sabato alle 17.01 precise, doveva trovarsi in un vicolo non distante da casa sua e nel terzo cassonetto verde avrebbe trovato un sacchetto con il rifornimento per quella serata. Di tutto quel ben di dio che trovava nei sacchetti, lui poteva tenersi una busta di erba e il pacchetto di sigarette che chiunque lo rifornisse gli lasciava dentro; mentre della vendita poteva tenere circa sessanta sterline, non era un gran che, ma aveva imparato a gestire quei pochi soldi che aveva in tasca.

Nel corso della sua passeggiata andò a Hyde Park. Era lontano da dove viveva e non aveva i soldi per pagarsi la metro, perciò vi si era recato a piedi. Era una lunga passeggiata, ma non gli importava che avrebbe fatto “tardi” quella sera, non aveva nessuno ad aspettarlo a casa, non c’erano i suoi i genitori a urlargli contro che sarebbe dovuto essere più responsabile e più puntuale. Era completamente solo, non aveva neanche un amico. O meglio, aveva degli “amici”, quelli con cui si ritrovava al vicolo e con cui poi collaborava durante la serata, ma non aveva nessun amico vero. Uno di quelli che ti telefona, che ti chiede come stai, che magari ascolta anche la risposta, uno di quelli con cui puoi parlare di tutto. Ma del resto Michael non lo voleva un amico che si preoccupasse per lui, perché ci sarebbe stato davvero troppo per cui preoccuparsi con lui, per questo respingeva tutti, per questo era così dannatamente acido. Voleva stare solo, se la sarebbe cavata, l’aveva sempre fatto. Ed era per questo stesso motivo che quel giorno, a scuola, aveva risposto così sgarbatamente a quei due ragazzi. «Com’è che si chiamavano? Luke Cooks e Clary Hemmings?» pensò. Non era nulla d’importante per lui. Come già detto, lui non aveva bisogno di amici. «Saranno venuti da me perché gli ho fatto pena, sicuramente.» pensò ancora. Non aveva bisogno di essere compatito lui, lui non aveva bisogno della pena di nessuno, Michael Gordon Clifford non aveva bisogno di nessuno e basta. Viveva bene con la sua erba, le sue sigarette, i suoi alcolici e la sua musica. Amava la musica, era l’unica cosa che riusciva a farlo sentire vivo, per questo aveva due chitarre a casa, un’acustica e un’elettrica. Purtroppo non aveva abbastanza soldi per comprarsi un amplificatore, perciò si doveva accontentare della sua amata chitarra acustica, finche le cose non fossero cambiate. Mentre Michael sperava che le cose cambiassero, non faceva nulla perché questo accadesse. Ma del resto, non cera nulla che potesse fare. Non si può mica uscire da un circolo di droga, alcolici e spaccio da un giorno all’altro e non c’era altra soluzione che aspettare che la polizia scoprisse chi fosse il capo di tutta l’organizzazione e arrestasse tutti, lui compreso. Avrebbe scontato la pena che la giuria avrebbe scelto per lui e quando sarebbe uscito dalla galera, sarebbe stato un uomo completamente diverso, migliore, ne era sicuro. Ma per ora, restava Michael Clifford, il ragazzo dai capelli di mille colori, che tutti evitavano e di cui tutti avevano paura.

She Hasn't Been Caught // Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora