Una giornata difficile

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[Colonna sonora: Night Hunter – Brickwall Audio ]

Non avevo parlato ad Aidan della Cloud Nine e non avevo nemmeno accettato il suo consiglio di trasferirmi per qualche giorno: lui temeva che Tasha avesse ucciso Paul in un impeto di follia e che avrebbe potuto aggredire anche me, ma io ero certa che non sarebbe mai successo.

La conoscevo da soltanto un anno, avevamo poco in comune, ma non potevo davvero immaginarla nelle vesti di una psicopatica assetata di sangue: i suoi atteggiamenti erano nella norma, quelli classici di una giovane e bella ragazza che non doveva pensare ad altro che a divertirsi.

Non appena i due poliziotti se ne furono andati, raccomandandomi di avvertirli se Tasha si fosse fatta viva, mi attaccai al telefono. Il cellulare della mia coinquilina squillava a vuoto. Provai a chiamare le sue amiche, quelle delle quali avevo il numero almeno, ma nessuna l’aveva vista, né aveva saputo dirmi dove avrei potuto cercarla: Tasha era molto riservata riguardo i propri spostamenti, nessuna di noi era al corrente di come trascorresse il tempo quando non era in nostra compagnia.

Riprovai diverse volte a chiamarla sul cellulare, sempre invano; le mandai dei messaggi pregandola di richiamarmi e nel frattempo spulciavo twitter, i social network e le testate giornalistiche: era questo l’ordine di comparsa per le notizie, ormai; se l’assassino avesse colpito ancora, se Tasha fosse stata ritrovata, lo avrei scoperto così.

Infine telefonai al mio professore di tossicologia: la pista della Cloud Nine era labile, anche perché Tasha – salutista convinta, vegana, sportiva e perennemente a dieta – non aveva mai assunto droghe, nemmeno un semplice spinello, ma non potevo lasciarla inesplorata e il professor Evans era più che ferrato sull’argomento.

Si era fatto buio, ormai. Presa com’ero dalle ricerche, avevo dimenticato di cenare e non mi ero mai mossa dal divano; la tv era accesa, senza audio, sul canale dei notiziari; tutti parlavano della morte di Paul. Le uniche luci nella stanza erano quelle del televisore, del monitor del mio pc e di un lampione della strada sulla quale si affacciava la grande porta finestra alle mie spalle.

La segretaria del professore mi aveva messa in attesa e io ascoltavo come ipnotizzata la musichetta registrata che proveniva dal ricevitore, con lo sguardo perso dietro le immagini sempre uguali trasmesse in tv, ripensando ad alcuni episodi in cui avevo colto una certa aggressività accuratamente celata da Tasha; sarà stata la stanchezza, ma cominciavo a non esser tanto sicura della sua innocenza.

Poi, all’improvviso, mi sentii gelare.

Non saprei dire cosa, esattamente, mi avesse allertata. Forse un’ombra che si era allungata per qualche breve istante nello spicchio di luce che il lampione rifletteva sul pavimento di fianco al divano, forse un rumore di passi – sono quasi certa di averlo sentito – oppure il movimento che avevo percepito riflesso sullo schermo; so soltanto che qualcosa mi aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca.

Mi sentivo osservata ed ero convinta che qualcuno si trovasse lì fuori, alle mie spalle, ma non avevo il coraggio di girarmi; mi rannicchiai sul divano, col cuore in gola, il telefono ancora in mano, quella musichetta in sottofondo e gli occhi fissi sul televisore.

Pian piano cominciai a distinguere la sagoma riflessa nello schermo. Aveva il vestito macchiato di sangue, gli occhi spiritati e il viso pallido, spettrale. Avrei voluto urlare, ma qualcosa me lo impediva: ero letteralmente paralizzata e pregavo, dentro di me, che chiunque fosse avrebbe deciso di andarsene.

In quel momento, il professor Evans rispose al telefono. Incapace di ragionare, chiusi la comunicazione senza rispondergli e rimasi immobile, nascosta dietro lo schienale del divano, in attesa, maledicendomi per non aver dato ascolto ad Aidan.

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