L'Egida di Alessandro

Por obliviontales

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IV secolo a.C., Macedonia. Alessandro è morto e il suo impero è in frantumi: i diadochi, un tempo suoi genera... Más

La Statuetta
La Lunga Notte
Hetairos

L'onore del Nome

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Por obliviontales


Ripresi conoscenza sopra una portantina, trascinata da un cavallo. Ero pieno di polvere e mi sentivo come se fossi stato schiacciato da una montagna. Doveva essere quasi mezzogiorno, io sentivo la gola che mi bruciava dalla sete e il tremendo mal di testa dato dal sole implacabile.

Mi guardai attorno, per quello che potevo vedere in quel polverone: i compagni erano ancora tutti vivi, tranne quei pochi che avevo visto giacere a terra al campo la sera dell'attacco, Leandro ed Efialte erano in piedi e marciavano in sella ai loro cavalli, vicino al vecchio incappucciato. Gli Immortali erano con noi. Non sapevo cosa pensare a riguardo.

Certo, gli Immortali erano fenomenali guerrieri la cui fama precedeva senza dubbio le loro lame e si sarebbero rivelati un alleato prezioso, ma se il vecchio stesse mentendo? Come potevo essere certo delle loro intenzioni?

Dovevamo aver percorso molta strada, poiché il paesaggio era notevolmente cambiato: le alte colline in cui eravamo immersi prima si erano diradate fortemente, lasciando spazio ad una sorta di altopiano costeggiato da boschi imponenti. Stavamo risalendo il corso di un fiume.

Ci fermammo, dopo meno di due ore dal mio risveglio, presso un grande olmo che dava ombra e riposo. Il corso d'acqua continuava a scorrere placido, mentre i nostri montavano il campo.

Quello che si era salvato dalle fiamme la notte dell'attacco fu recuperato e caricato sui cavalli, per essere portato con noi. Le condizioni del campo erano cambiate, dato che c'era meno spazio. Avevamo circa una tenta ogni due persone e non ci lamentavamo certo di questo, ma alcuni di noi tolleravano a stento la presenza dei guerrieri Immortali. L'attacco, dopotutto, lo avevano sferrato loro ed erano stati loro ad eliminare il nostro comandante e a uccidere i nostri fratelli. In più, ora sapevano tutti quanti della statuetta e del pericolo incombente del demone. Nessuno, tuttavia, si oppose a questo "cambio di piani": il fatto che dovessimo comunque recuperare l'Egida di Alessandro e riportarla in patria coincideva col mandato regale, dunque la situazione non cambiava, come sostanzialmente non cambiava lo scopo. Riposai ancora un poco, dopodiché decisi che era il momento di andare a chiedere delucidazioni al vecchio riguardo ciò che ci attendeva. Il campo era, sostanzialmente, diviso in due: da una parte stavano i macedoni, stretti e stanchi nelle loro tende di cuoio, dall'altra gli Immortali, capitanati dal vecchio incappucciato.

Trovai il vecchio all'ombra del grande olmo, intento a parlare con uno dei suoi guerrieri, un gigante molto più alto di me e con la corporatura di un orso. Mi avvicinai e attesi, a qualche passo di distanza, che il vecchio terminasse la conversazione. Dopo nemmeno un minuto egli congedò l'enorme guerriero che si sedette poco distante, con la schiena contro l'albero.

- Sono onorato della tua visita, Antifonte. Come ti senti?

- Lascia perdere come mi sento. Sono venuto qui perché intendo fare un po' di chiarezza su tutta questa faccenda. Anzitutto, chi sei? Come fai ad avere al tuo seguito degli Immortali? Come faccio a sapere che non sei tu quello al servizio di Seleuco?

Il vecchio si sedette su una pelle ai piedi della pianta e mi invitò a fare lo stesso. Prese una due coppe di legno e le riempì di un liquido scuro e caldo, nel quale infuse delle erbe da un sacchetto, ne porse una a me e bevve una lunga sorsata, dopodiché cominciò:

- Il mio nome è Azramandis, sono un alto sacerdote del culto del Maestro e Creatore del Mondo Ormuz Ahura Mazda,il nostro sovrano celeste. Il mio compito è proteggere il segreto dell'Antica Porta e impedire che il male che vi è imprigionato dietro venga scatenato. Servivo il Gran Re, quando ancora esisteva l'impero persiano e, sotto altre spoglie, ho servito molti dei re del passato. Questi Immortali non fanno parte della guardia reale. Quando Alessandro il Macedone venne a darci battaglia, prima ad Isso poi ad Arbela, il sovrano richiese la loro presenza, ma il dio non volle e loro non vi presero parte. Non sono solo Immortali, sono la loro élite. Benedetti dai nostri déi e dai nostri sovrani, questi uomini sono votati, per tutta la vita, ad un solo compito: proteggere l'Antica Porta. Quando conobbi Alessandro, egli mi confidò di essere al corrente del grande male e mi propose di conservare l'Egida in quel luogo, in modo tale da poter impedire al Senza-Faccia di rompere il sigillo. Stando a quanto ne so, quando egli tagliò il nodo Gordiano, divenne protettore dell'Asia in ogni senso, anche nella lotta contro il demone.

Seleuco, come ti ho già detto, intende servirsi del potere di questo demone per dominare sul mondo, ma la dea Anahita gli ha certamente teso una trappola: lei è invidiosa dell'opera del Maestro del Mondo Ormuz Ahura Mazda, dunque intende distruggerlo con l'ausilio del demone Senza-Faccia, che lo divorerà. Dobbiamo impedire che Seleuco riesca a sbloccare il sigillo. Lui possiede le tre chiavi che aprono le tre porte che conducono alla prigione del demone, ma non sa ancora come rompere il sigillo. Per farlo, ha bisogno delle pergamene di Ozymandias, l'antico re. Per fortuna, le abbiamo già rinvenute noi e sono conservate al tempio di Susa, nascoste e sotto chiave. Ora ci stiamo dirigendo lì. Una volta recuperate le pergamene, andremo a Babilonia e recupereremo l'Egida, che verrà con voi in Macedonia.

- La città dell'antica torre...- dissi io, rimembrando la profezia.

- Babilonia.-

Ci mettemmo in marcia il giorno seguente. I Compagni erano stati messi al corrente di quel che era diventata la missione e ci riunimmo tutti per decidere chi sarebbe stato il nuovo comandante, dato che non esisteva la catena di comando. Non me lo aspettavo, ma l'onere toccò proprio a me, dunque diedi l'ordine di seguire il vecchio Azramandis e li delucidai sulla sua identità e sui suoi guerrieri. Inaspettatamente, i macedoni accolsero positivamente la compagine degli Immortali, sentendosi più sicuri nel loro viaggio. Nonostante l'attacco e la perdita di qualcuno dei nostri, la morte che avevano ricevuto era stata onorevole e altrettanti onori erano stati dati a loro dai persiani stessi, davanti alle pire; questo portò a facili rapporti trai nostri e gli Immortali che, altrettanto inaspettatamente, non erano zelanti e taciturni come raccontavano le storie: erano certamente guerrieri formidabili ed estremamente devoti, ma scherzavano coi nostri, parlavano greco e insegnavano qualche parola nella loro lingua, fantasticavano sulle donne di quelle terre e giocavano a dadi. Questo rapporto di scambi e di amicizia mi fece dimenticare, per un poco, la pericolosità della missione. Efialte si avvicinò a me in quel momento e prese a parlare:

- Li sto guardando anch'io ed è impressionante: popoli così diversi che si trattano come fratelli e ridono come veri amici. Se l'uomo potesse riunirsi sotto una tenda a ridere e a giocare a dadi invece di farlo soltanto sui campi di battaglia, sono sicuro che questo mondo avrebbe da offrirci solo felicità. Guardali. Forse è questo che vedeva il grande Alessandro quando immaginava un impero unito.

- O forse voleva solo un altro regno, perché quello di suo padre era troppo piccolo per lui.

- Già, me lo sono spesso chiesto anch'io. Certamente un grande conquistatore, ma chissà... magari anche un grande uomo. – disse, riprendendo a cavalcare.

Viaggiammo a lungo e non senza difficoltà. La terra d'Asia era colma di meraviglie e di luoghi indimenticabili, dall'ineffabile bellezza e maestosità: quella era chiaramente una terra magica e avrei sfidato qualunque uomo a rinunciare al desiderio di possederla. Alte montagne erano visibili da sopra le colline versi e dalle immense steppe, laghi giganteschi e fiumi serpeggianti colmi di pesci riflettevano la luce del giorno fin quasi a indurre a pensare che ci fosse un sole anche sulla terra, alberi titanici erano testimoni, assieme alle pietre millenarie, della storia degli uomini che avevano vissuto su quella terra, per poi divenirne parte.

Una sera raggiungemmo una piana circondata da colline immense e lì montammo l'accampamento. L'aria fresca ci rinvigoriva nell'ora del riposo, mentre le differenze tra persiani e macedoni divenivano sempre più labili. Tra chi dei loro conosceva il greco e chi dei nostri la loro lingua, sembrava fossero un unico popolo. Le stelle cominciavano la loro cavalcata nel cielo e la luna le guidava nella loro corsa, fuggendo dal sole. Come poteva essere malvagia la notte, se offriva sempre uno spettacolo così meraviglioso?

Azramandis si avvicinò a me e stette in silenzio, guardando il cielo. Dopo alcuni minuti passati in piacevole contemplazione, il vecchio incominciò:

- Domani giungeremo finalmente a Susa e recupereremo le pergamene. Da lì sarà sufficiente tornare indietro e, in pochi giorni, giungeremo a Babilonia e potremo completare la nostra missione.

- Susa è sotto il vostro controllo?

- Sì. Formalmente è di dominazione reale, come ogni cosa in queste terre, ma la parte della città che ci interessa è totalmente sotto il nostro controllo ed è ignota ai nostri nemici. Siamo ormai a pochi stadi dalla destinazione e dobbiamo rimanere concentrati: purtroppo non ho notizie dai miei informatori circa la posizione degli uomini di Seleuco, dunque non sappiamo quanto siano vicini.

- Hai detto, però, che loro non sanno di aver bisogno delle pergamene, perché dovrebbero cercarle?

- Non sanno delle pergamene, ma sanno di voi. Non so come facciano ad esserne a conoscenza, ma hanno l'ordine di trovarvi. Anche se cercassero le pergamene, come ti ho già detto, non sanno che le abbiamo noi.

- Non è probabile che Seleuco ci cerchi anche per saperlo? Sa del vostro coinvolgimento?

- Non credo. Abbiamo mantenuto un comportamento di facciata proprio per impedirlo. Se lo avesse saputo, non penso che sarei stato qui a parlare con te.

Il giorno dopo ci raccogliemmo tutti a mangiare qualcosa e Azramandis colse l'occasione per esporci il piano:

-Ci divideremo in due gruppi: Antifonte ed Efialte verranno con me a recuperare le pergamene, porteremo anche due dei miei uomini; Leandro rimarrà qui col resto delle forze ad aspettarci. Prima di sera faremo ritorno al campo e potremo proseguire per Babilonia, allora saremo a metà del viaggio. Se non dovessimo tornare entro l'ora stabilita, mandate un paio di uomini a cercarci, ma rimanete nascosti: nessuno deve sapere che siamo qui, Seleuco prima di tutti. Tenete le orecchie aperte e gli occhi vigili, uomini. Ce la faremo.

Ci incamminammo dunque alla volta della città, vestiti da viandanti comuni e senza armi. Azramandis ed io camminavamo in testa al gruppo, mentre Efialte e i due Immortali restavano dietro di noi. Il sole, quel giorno, batteva particolarmente forte e portare le cappe che avevamo era una tortura. I persiani, invece, giravano coi loro turbanti di tessuto leggero e sembravano non soffrirne affatto, forse per tempra o abitudine. Giungemmo alle porte di Susa dopo un'ora di cammino sotto il sole cocente. Efialte cominciava già a dar segni di delirio e aveva finito tutta la sua acqua: nonostante fosse un soldato dal temperamento di ferro, la sua disciplina era come se si sciogliesse al sole. Fummo costretti a fermarci sotto un piccolo porticato a meno di cento passi dall'ingresso cittadino, dove era presente, per fortuna, un piccolo pozzo che il proprietario ci diede il permesso di usare, ovviamente sotto compenso. Efialte aveva la testa come fosse pietra bollente, bruciava come se avesse la febbre: pronunciava frasi sconnesse e senza senso, deliranti a tal punto da far quasi ridere. Mentre Io e uno dei guerrieri del vecchio bagnavamo la testa dell'amico e gli davamo da bere, Azramandis mi chiamò e mi disse di raggiungerlo. Camminai spedito verso di lui e mi indicò un gruppetto di soldati a cavallo: erano uomini grossi e forti, con armature vistose e armi scintillanti, portavano lo stendardo regale di Seleuco e grossi scudi argentati.

- Argheiraspidi- disse il vecchio – Scudi d'Argento. Sono l'élite dell'esercito di Seleuco. Non penso proprio che siano qui a caso. Ho l'impressione che il nostro nemico conosca più cose di quante ne avevamo supposte. Dobbiamo essere prudenti. Come sta Efialte?

- Meglio, pare. Dice di poter riprendere a camminare. Sarà saggio avventurarsi in città con gli uomini di Seleuco nei paraggi? Forse conviene intrufolarci di notte.

- E' da escludere. Non è possibile accedere di notte a Susa come dei topi e per editto regale la città non fa entrare o uscire nessuno dopo il tramonto. In più, gli uomini di Seleuco non fanno molta differenza: l'intera città gli appartiene. Non abbiamo altra scelta. Coraggio, andiamo.

Ci mescolammo ad una carovana che stava entrando e le guardie non ci degnarono nemmeno di uno sguardo, permettendoci di entrare indisturbati. Susa era certamente grande e viva come città, ma purtroppo non ebbi il tempo di guardarmi intorno per ammirare le bellezze che poteva offrire e promisi a me stesso che un giorno sarei tornato per visitarla. Anche Efialte, che ormai si era ripreso dal colpo di calore, sembrava infastidito dal fatto di non poter esplorare la città, ma sapevamo perché eravamo lì e continuammo a seguire Azramandis senza indugiare. Notammo, nonostante tutto, che la città pullulava di soldati e c'era un gran movimento di guardie, il che ci rese più guardinghi e cauti, ma non potevamo fermarci. Il vecchio ci guidò fino alle porte di una specie di locanda e ci invitò a entrare, mentre uno degli Immortali si sedeva e ordinava da bere e da mangiare. Una volta dentro, Azramandis salutò il locandiere con uno strano gesto del braccio e della mano, volgendo poi gli occhi a noi. Fummo condotti sul retro dell'edificio passando per una piccola porta in vimini, poi l'uomo spostò un mucchio di cesti e sollevò una botola ricoperta di polvere, facendoci cenno di entrare. Ci introducemmo velocemente nello stretto cunicolo, che fu poi richiuso e sbarrato dietro di noi.

Azramandis prese la torcia che bruciava pochi passi dopo l'ingresso. Il legno era ancora buono, il che significava che la fiamma doveva essere stata accesa di recente.

Camminammo chini per quelle che sembrarono ore intere, fra le ragnatele e l'aria stagnante e maleodorante. Il vecchio ci aveva intimato di rimanere in silenzio durante la nostra avanzata e sembrava, a tutti gli effetti, di stare in una tomba. Dal soffitto franavano piccole colonne di polvere e ghiaia e dal pavimento sbucavano topi, scorpioni ed altre creature disgustose. Dopo questo tempo interminabile, in cui pareva davvero di scendere nell'Ade, giungemmo in una grande stanza in cui, finalmente, potemmo ergerci in piedi.

Una scaletta ci condusse all'esterno, dentro una stanza che sembrava una sorta di archivio. Emergemmo tra grandi scaffali che contenevano rotoli e tomi provenienti da tutto il mondo persiano e che contenevano, sicuramente, un'enorme conoscenza.

- Sono forse tra queste le pergamene che siamo venuti a recuperare?- chiese Efialte.

- No- rispose secco Azramandis – silenzio!-.

Il vecchio ci fece cenno di rimanere nascosti ed aspettare, poi si diresse verso la porta e svanì dietro di essa. La tensione era notevole, soprattutto perché non conoscevamo il posto e sapevamo che, probabilmente, l'intera città ci stava cercando. Se ci avessero trovati avremmo fallito la missione e avremmo sicuramente perso la vita. Cominciarono ad affiorare dubbi nella mia mente, dubbi sul fatto che forse avrei dovuto ponderare meglio la proposta di Azramandis, forse avremmo dovuto continuare la nostra missione come era stato stabilito all'inizio, forse era tutta una truffa e quel vecchio ci aveva venduti. Poi la porta si aprì.

Il vecchio entrò e ci fece cenno di seguirlo e noi ci precipitammo verso l'uscita. Ci muovevamo come ombre, sempre seguendo Azramandis, attraverso i corridoi velati della luce del giorno, ma comunque semibui. Ogni tanto sentivamo dei passi e vociare di persone, dunque ci appiattivamo al muro o ci acquattavamo dietro a dei mobili o nelle rientranze, per poi proseguire, veloci e silenziosi come spettri.

Giungemmo, infine, nei pressi di una porta sigillata da due fila di catene intrecciate ed incrociate, tenute insieme da un lucchetto massiccio. Azramandis estrasse una chiave dalla bisaccia e sbloccò la serratura e poi, lentamente ed in silenzio, rimosse le catene. Entrammo rapidamente e ci trovammo in una stanza spoglia e austera, nel centro della quale troneggiava una sorta di altare in pietra bianca, sorvegliata da due guerrieri Immortali. Il vecchio salutò e le due guardie cedettero il passo, indietreggiando fino a scomparire nella penombra. Ci avvicinammo e sull'altare, dentro una conca scavata, riposavano le pergamene.

Azramandis le raccolse e le racchiuse in un fagotto di tessuto e cuoio. Ci dirigemmo velocemente verso l'uscita, ma qualcosa ci bloccò. I due Immortali di guardia uscirono dai loro nascondiglio e spianarono le armi, mentre il vecchio corse verso le ombre e tornò fuori con una spada per ognuno di noi.

La porta fu abbattuta e un manipolo di uomini pesantemente armati irruppero nella stanza. Le loro armature ornate di cuoio bianco e i loro scudi non lasciarono alcun dubbio: gli scudi d'argento ci avevano trovato.

Ci disponemmo in fila di fronte a loro e ci preparammo all'inevitabile combattimento. Ne contai dieci, mentre noi eravamo solo in sei.

- Per ordine del diadoco Seleuco siete in arresto! Gettate le armi e consegnate quel che portate e vi sarà risparmiata la vita!

Sapevamo che non potevamo abbandonare le pergamene. La storia del vecchio Azramandis riceveva sempre più conferme: dovevamo trarci d'impaccio e fuggire il più velocemente possibile.

- Gettate le armi!- urlò nuovamente il capitano degli scudi d'argento.

Efialte fece un passo in avanti e rispose: - Venite a prenderle!-

Fu un attimo e entrambi gli schieramenti caricarono. Il clangore delle armi si mescolava alle grida di battaglia, plasmando così la melodia dello scontro. Gli Immortali volteggiavano come danzatori nella stanza, mulinando le loro grosse lame come fossero nastri nel vento. I grandi scudi argentati del nemico parevano piume nelle loro mani e vanificavano ogni tentativo di attacco, quasi fossero un muro impenetrabile.

Percepii un colpo alto alla mia sinistra e sferrai un fendente di risposta, deviando la spada micidiale. Subito dopo un altro nemico tentò un affondo al mio costato e io schivai all'indietro, rispondendo con un colpo d'elsa al volto che colse il nemico sbilanciato dopo l'attacco. Mi girai verso il primo aggressore e fui colpito in pieno dall'enorme scudo. Caddi a terra e vidi la lama scintillante calare su di me, ma le mie gambe si mossero fulminee e riuscii a colpire il piede del nemico che si sbilanciò e cadde in avanti. Rotolai sul fianco e affondai la mia lama appena sotto la sua nuca, sul collo, rialzandomi immediatamente, pronto per un altro scontro. Un nemico colpì la mia spada aprendo la mia guardia e mi sferrò un calciò che mi ricacciò a terra. Proprio mentre stava per finirmi, un Immortale tranciò di netto la sua mano con un singolo colpo e lo trapassò da parte a parte. Mi rialzai indolenzito e mi rigettai nella mischia. Alla mia destra vidi Efialte, impegnato da ben due nemici, mentre noi impegnavamo i rimanenti sei. Cercai di andare in suo soccorso, ma un grande scudo mi sbarrò la strada e mi spinse indietro, fin quasi al muro. I colpi del nemico si abbattevano su di me con furore rabbioso e mi incalzavano continuamente, impedendomi di reagire se non per difendermi. Tentò un colpo con lo scudo, diretto al mio volto, ma io mi scostai velocemente di lato e riuscii a coglierlo al fianco, ma la corazza deviò il colpo e il nemico si riallineò alla mia fronte. Sferrai un fendente dal basso che cozzò contro lo scudo poderoso che balzò in avanti di risposta e mi spinse un passo indietro. Immediatamente seguì un fendente alto che riuscii a vanificare colpendo la sua lama, mandandola a scontarsi contro l'argento del suo scudo. Approfittai della momentanea vulnerabilità del nemico per colpire il suo braccio, che lasciò cadere la spada e si aprì, scoprendo il torace. Fulminea e micidiale, la mia lama affondò sopra il pettorale nemico, all'altezza dello sterno, stroncandone la vita.

Mi girai dunque per dare supporto ad Efialte, ma quello che vidi mi bloccò il respiro.

Il mio compagno e amico, che da sempre avevo amato come un fratello e con cui ero cresciuto, cadeva trafitto da una lama nemica. Il mio sangue si infiammò come fosse pece attizzata da una torcia e mi lanciai contro l'avversario assassino. Sferrai una velocissima e violenta successione di colpi al suo scudo che cadde a terra ed espose il nemico alla mia lama micidiale: con un solo colpo, che conteneva tutta la mia ira e il mio dolore, decapitai l'uomo davanti a me e respinsi il corpo senza testa con un calcio. Gli altri dei nostri avevano sopraffatto i loro avversari e si erano accorti di quanto era accaduto. Ritornai in me e accorsi in soccorso del mio amico, che ancora viveva.

- A quanto pare – disse con un filo di voce gorgogliante di sangue – il mio viaggio finisce qua. Ho guadagnato il mio onore, quantomeno.

- Già- dissi io – urlare quel che urlò il grande Leonida alle porte ardenti a quei cani ti sarà valso un posto sul monte Olimpo, accanto ad Ercole.

Vidi la vita fluire via dai suoi occhi, sbarrati, in una fine che in molti direbbero gloriosa, ma che rimarrà senza voce.

- Dobbiamo andare, subito.- disse Azramandis, lordo di sangue.

Mi volsi un'ultima volta verso il mio amico:

- Non potrò concederti i dovuti onori funebri, amico mio. La tua ombra avrà già varcato i confini dell'Ade e il traghettatore accetterà questi due oboli come soldo per il passaggio. Spero che, quando verrà il mio momento, mi aspetterai davanti ai cancelli del regno nebbioso.-

Adagiai due oboli dentro la ferita mortale, di modo che non potessero cadere, dopodiché ci dileguammo nei corridoi del tempio.

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