Come il cielo a mezzanotte

By NyxEcate

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Leggende raccontano che gli dei, all'alba dei tempi, separarono le anime gemelle, gelosi di queste ultime. Il... More

Prologo
01. A nessuno piacciono i ratti
02. Corsi differenti
03. Pura poesia
04. Piccoli riti
05. Sempre un mistero
06. Profumo di Gardenia
07. Marshmallows
08. Paranoia silenziosa
09. Il mare senza di te
10. " Di rosso e celeste neanche il diavolo si veste "
11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "
12. Stellato
13. Insignificanti
14. Sono una distesa dorata
15. Ciò che non sai di me
16. Questo
17. Una spaccatura nel vetro
18. Le emozioni non sono per bambini
19. Come scogliere d'argilla
20. Quello che i bambini non dovrebbero provare
21. Nascondere
22. Non abbandono nessuno
23. Urgano
24. Il prima è sempre doloroso
25. Non c'è due senza tre
26. Come due anime si abbracciano
27. La strada
28. Piccoli sorrisi
29. Fidanzato?
30. Non oggi
31. Sbagliato
32. Il tuo pappagallo
33. Ringraziamento
35. Quando accadrà
36. Coraggio
37. Come un sogno
38. Come il cielo a mezza notte
Epilogo

34. L'inizio

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By NyxEcate

La fin troppo famigliare stradina che conduce al Doons è stranamente popolata. Molti dei cittadini del paese qua sotto hanno deciso di portare qualcosa ai ragazzi. Persino Jordan tiene fra le mani numerose sciarpe, variopinte e dalle più sgangherate misure.

D'un tratto, la consapevolezza d'esser venuta a mani vuote mi coglie. Proprio oggi, il giorno del ringraziamento, non ho preso nulla ai miei ragazzi. Spero che con la scusa di Allen possano chiudere un occhio.

Il ragazzo in questione se ne sta al mio fianco, lo sguardo perso per la struttura e le persone nel giardino. Ogni tanto mi lancia qualche occhiata confusa, perplesso comprensibilmente. Siamo scesi poco fa, la moto parcheggiata poco più avanti e la sensazione del vento sulla pelle ancora a farmi compagnia.

«Allora.. cos'è questo posto?»

«Il Doons, ragazzo» Jordan, che poco prima stava parlando con la proprietaria dell'unica libreria in paese, ha deciso di intromettersi nella conversazione. Come una mosca attirata da preziosi scoop, si è avvicinato a noi piazzandosi davanti ad Allen ed osservandolo da capo a piedi.

Mi viene quasi istintivo stringere con una mano il braccio del moro, quasi percependo il suo disagio, e la confusione ancor maggior scatenata dalle parole del nuovo intruso.

Con uno sguardo languido Jordan posa lo sguardo sulla mia mano, ancora aggrappata al braccio di Allen. Prevedo guai in vista, siamo diventati il suo nuovo pettegolezzo. «Kathryn non mi presenti il tuo amico?», non manca di far notare, con un sorrisetto terribilmente fastidioso.

«Allen ti presento Jordan, il proprietario della bottega di tessuti più chic della California». L'ultimo citato allunga una mano verso Allen aspettando che quest'ultimo l'afferri. Lui osserva per alcuni secondi i capelli grigi di Jordan, poi qualcosa nel suo sguardo sembra convincerlo e si decide a stringere la mano ancora tesa. «Jordan, lui è Allen Cross. É la prima volta che viene qui quindi non trattarlo male».

«Certo che no, tranquilla Kath. Non potrei mai infastidire il tuo fidanzato», mi fa un occhiolino e ghigna prima di allontanarsi a passi veloci. «Ora vado, voglio mostrare queste meraviglie ad Emily!». Si allontana urlando e quasi non lo inseguo. Maledetto, altro che anziano, sembra ancora un adolescente in crisi ormonale.

Allen ridacchia ma sembra affascinato dalla nuova conoscenza, osserva l'uomo finché non scompare dietro alla porta d'ingresso, da essa un piccolo spirale rivela i bambini in corridoio. L'espressione di Allen si indurisce, con gli occhi aggrottati ed un'espressione consapevole si gira verso di me.

«Chi è Emily?», tra tutte le domande proprio questa... orami ha capito, è solo questione di tempo.

«Una ragazzina, le piace molto la moda quindi era inevitabile che lei e Jordan si incontrino, un po' si aiutano a vicenda. Lei ha già un tirocinio assicurato», evito di precisare altro, aspetto che sia lui a chiederlo esplicitamente. Non so perché, sembra solo giusto così.

É stato complicato portarlo qui, rivelargli pian piano questa parte del mio passato, presente e futuro. Sento d'aver bisogno che lui mi aiuti, che capisca senza mie troppe parole.

«Ryn... perché siamo venuti in un orfanotrofio?», per quanto conosca la realtà è sempre terribile sentir pronunciare quella parola. Orfanotrofio.. è orribile, nasconde in sé milioni di significati brutti. Persino fra le labbra dolci di Allen, sembra un brutto sogno.

«Ormai è diventata una tradizione per me, vederli anche il giorno del ringraziamento»

«Anche?», chiede sempre più incuriosito. Percepisco la sua avidità d'informazioni, la pressione con cui aspetta ogni mia singola parola. Quasi sento miei i suoi respiri accelerati, e il ritmo con cui piano piano il suo cuore calmo si adatta al mio veloce.

Ormai le carte sono poste in tavolo, il gioco è iniziato e devo giocare a carte scoperte. Lo guardo da sotto le ciglia, mi sta osservando: gli occhi blu fissi sulla mia figura e le mani strette in pugni lungo i fianchi. Annuisco e con il capo indico l'unica panchina in zona, quella della fermata dell'autobus. «Vieni, meglio se ti spiego tutto dall'inizio»

Davanti alla sudicia panchina su cui ci sediamo c'è solo la strada desolata, di fianco a noi sui numerosi alberi le foglie scrociano piacevolmente. É tutto immerso nella natura ma visibilmente contaminato dall'uomo.

«É successo due anni fa', circa.. forse di più», inizio puntando lo sguardo sul suo profilo. Anche sulla sua pelle abbronzata la luce fa' uno strano effetto, sembra liscia e molto morbida. Illuminata dai raggi solari sembra quasi dorata.

«Come ben sai non ho mai avuto un comportamento esemplare a scuola, soprattutto non da sedicenne. Ammetto d'aver forse un tantino esagerato, però non me ne pento, mi ha portato qui», dico pacata osservando ogni lineamento del suo viso. É attendo ed interessato. «Avevo appena ricevuto il mio primo strike per un motivo stupidissimo, non me lo ricordo nemmeno tanto era banale». Rido da sola, ancora una volta mi perdo nei ricordi.

Come se Allen non fosse più al mio fianco, seduti entrambi su questa vecchia panchina. Ora ci siamo solo io ed i miei ricordi. Proseguo con il racconto, dondolando un po' le gambe scoperte. «Mi ero arrabbiata, non mi era mai successo di perdere il controllo in quel modo. Era una giornata no, avevo i nervi a fior di pelle e sono scoppiata. Ho rovesciato per terra buona parte del materiale scolastico che il preside custodiva sulla sua scrivania». Mi astengo dal rivelargli il vero motivo della mia sfuriata: la malattia.

«Oh, quindi eri tu la pazza che ha rivoltato l'ufficio del preside, rischiando oltretutto la sospensione con un solo strike. Eri una leggenda fra quelli del nostro anno», quasi mi guarda con occhi ammirati poi scoppia a ridere.

Alzo una mano con fare teatrale ed imposto un tono di voce basso e professionale. «Lo so', avrei potuto reclutarvi come sudditi e costruire un impero», mi aggrego poi alla sua risata. «Comunque si, ho quasi rischiato la sospensione. Il preside però è stato "clemente", per ripagare i danni mi ha mandato a far volontariato qui, al Doons. Conosce la badante dei bambini, la signora Taboltt, questa apparentemente lo pregava da tanto che gli spedisse qualcuno ad aiutarla, io sono caduta a fagiolo»

«Ti hanno sfruttata quindi?».

«Qualcosa del genere», sbuffo. Si gira verso di me e mi sorride, come se volesse incoraggiarmi a continuare. Prendo un profondo respiro e procedo. «Non lo sopportavo, mi sentivo ingiustamente punita e quasi più inferocita di prima. Ad ogni modo i miei genitori sono stati avvisati, i due erano concordi con la punizione del preside e sono stata costretta a presentarmi al Doons, un piccolo orfanotrofio fuori città. Al tempo non avrei mai pensato che presto, le fredde e grigie mura del Doons, sarebbero diventate la mia seconda casa».

«Ti sei trovata bene? Pensavo che gli orfanotrofi fossero un posto orribile», mi chiede con una smorfia in viso che tutto e nulla fa trapelare. Lui come me pensa alle condizioni per cui tutti quei ragazzi sono diventati senza casa.

«E lo sono, ma i ragazzi che vi vivo no. All'inizio venivo di malavoglia, costretta e terribilmente irritata dal comportamento dei mocciosi, poi col passare delle settimane è diventata una sfida personale, mi ero affezionata ad ogni loro sorriso, a tutti gli ingenui regalini che mi facevano, alle parole dei ragazzi più grandi e hai consigli di quelli che presto se ne sarebbero andati, mi ero affezionata a tutti loro. Erano e sono la mia seconda famiglia».

Sorrido ripensando a tutti loro, quelli ancora qui e quelli che sono andati via, sorrido perché finalmente sto' condividendo la parte più bella della mia vita con la persona più importante al mio fianco. Sul viso di Allen appare un sorriso timido, riflesso del mio.

«I mesi passarono e la settimana in cui io stavo per finire il volontariato obbligatorio è arrivato Tommy»

«Tommy il mio vicino di casa?», Allen alza un sopracciglio già consapevole della risposta. Non è un segreto la provenienza del ragazzo.

MI limito ad annuire. «É stato amore a prima vista per entrambi. Così simili da farci avvicinare come fratelli, lui chiedeva sempre di me. Ero diventata il suo punto di riferimento dopo.. beh, la morte dei suoi genitori». Scuoto la testa e strizzo gli occhi provando a trattenere le lacrime, il moro sembra voler dire qualcosa ma si limita ad appoggiare una mano sopra la mia e intrecciare le nostre dita.

«Non potevo lasciarlo da solo, capisci? Un nuovo ambiente, senza amici e genitori. Non ero adatta ad assumere il ruolo da giuda, soprattutto non ad un bambino nella sua situazione, ma è successo. Si è dovuto accontentare di me. Badare a lui e gli altri, preoccuparmi per loro sempre ed aver un luogo sicuro e delle persone a cui tornare mi ha fatto sentir bene. É ironico come in un posto così triste io abbia trovato la felicità». Rido sarcastica e mi appoggio al ragazzo.

Resta in silenzio, solo il ritmo regolare dei suoi respiri a farmi compagnia.

«Ad ogni modo anche dopo la fine delle ore prestabilite, ogni fine settimana mi sono ritrovata qui, a condividere le mie ore con loro. Non so' esattamente quando sia successo, ma ci ha messo poco ad arrivare il desiderio di alleggerire le loro sofferenze, renderli in qualche modo più spensierati. Per quanto io sia fantastica sono consapevole di non esser abbastanza», sdrammatizzo rivolgendo un sorriso al mio compagno.

«Sei fantastica Ryn, lo sei davvero». Ride della mia faccia sbalordita per poi avvicinarsi ad essa e poggiare un leggero bacio sulla mia guancia. Le sento bruciare entrambe, in modo particolare nell'esatto punto in cui le sue labbra sono entrate in contatto con la mia pelle. Sorride divertito e mi stringe in un abbraccio. «Continua»

Ascolto per ancora pochi istanti il battito del suo cuore contro il mio orecchio. «Ho iniziato a lavorare e da allora non ho ancora smesso. Metto da parte i soldi che raccolgo e ogni volta che vengo a trovarli porto a tutti dei regali, non è molto ma i sorrisi che hanno sempre stampati in viso mi bastano. Ora sai tutto»

«Non pensavo mi nascondessi tutto questo». Alzo le spalle, evitando di rispondere. Non sa' ancora nulla del mio segreto più grande. «Dovrei dire che mi hai sorpreso, ma dai racconti di Tommy sei sempre sembrata incredibilmente materna verso di lui. Non ne ho mai compreso affondo il motivo, il legame che vi unisce era strano per me. Non ho mai condiviso nulla del genere con nessuno, un po' ti invidiavo. La Kathryn che ho imparato a conoscere sarebbe capace di tutte le cose meravigliose che mi hai raccontato e un altro miliardo, altrettanto spettacolari»

«Hai una considerazione di me' troppo elevata», nonostante le mie parole, ormai il mio cervello è andato, fottuto per sempre. Persa fra le parole del moro, strappata dalla realtà e gettata nella profondità del blu che lo circonda. Nessuno aveva mai detto tante cose belle su di me, forse l'hanno fatto, ma a rendere importanti le parole di Allen sono la sincerità con cui le pronuncia. Lui ci crede davvero, pensa davvero che io sia una qualche persona fantastica, quel genere che si incontra raramente nella vita. Quello che riesco a veder io però, è solo quanto lui stesso sia cieco. Non sono io il diamante, è lui.

«Forse. Non dovrei elogiarti troppo, poi ti monti la testa», sorride malandrino e mi morde una guancia con fare giocoso. Una delle incredibili qualità di Allen è la sua capacità di sdrammatizzare qualsiasi situazione.

«Ma stai zitto, sei tu quello egocentrico. Non invertire i ruoli», rispondo mordendogli a mia volta il naso.

Ridiamo entrambi e d'un tratto degli innocenti morsi giocosi, si trasformano in caldi baci. Stretti l'uno all'altro davanti al Doons, seduti sull'unica panchina nel raggio di miglia, intrecciati e abbracciati. Ci tocchiamo ed è quasi come se sentissi la sua anima venir a contatto con la mia.

Mi stacco lentamente per riprendere una boccata d'aria, con disappunto di entrambi, non faccio nemmeno in tempo ad allontanarmi che lui riparte all'assalto. Mi morde il labbro inferiore e con una mano mi pizzica il fianco. Ridacchio e lo assecondo.

«Non ti ho mai ringraziato per esser stato accanto a Tommy, sei stato importantissimo per la sua integrazione, eri presente quando io non potevo esserlo. Quindi.. grazie». Lo bacio per tutto il viso soffermandomi accanto alle labbra. Lui spazientito mi sposta il viso con un paio di dita, ghigna fastidiosamente prima di baciarmi rudemente.

Sto iniziando ad aver molto caldo, forse una panchina davanti ad un edificio pieno di bambini non è il massimo per esercitare le nostre lingue. Nonostante ciò mi è totalmente impossibile sopprimere un gemito quando mi attira ancor di più verso il suo corpo. Ormai sono totalmente seduta sulle sue gambe.

Sorride soddisfatto e si stacca dalle mie labbra lasciandomi basita. Bastardo, l'ha fatto apposta. Quasi non mi stacco da lui, indignata e punta sul vivo. Le sue mani mi bloccano, ancora a cavalcioni su di lui. Il Doons illuminato alle sue spalle sembra un chiaro ammonimento per ciò che sarebbe successo di lì a poco. Non è né il momento né il luogo adatto.

«Ryn, Tommy è un bambino unico. É molto meno fastidioso dei ragazzini della sua età» ride accarezzandomi distrattamente una guancia. I suoi occhi luccicano, ha come me il fiato affaticato e le labbra leggermente rosse. «Quando mi ha raccontato la storia dei suoi genitori sono rimasto di stucco, ne ha passate così tante ed è riuscito ad andare avanti grazie alla sua forza e al tuo aiuto. Mi affascinava, un po' come mi hai affascinato tu quel giorno in spiaggia. Volevo stargli accanto e farlo sentire finalmente a casa, spero di esserci riuscito»

«Lo spero anch'io, dopo tutto quello che gli è successo merita un po' di pace»

«La meritiamo anche noi». Annuisco e mi lascio abbracciare.

Non so esattamente quanto tempo abbiamo passato sulla panchina, mi sembravano ore, forse in realtà erano solo alcuni minuti; a riprova di ciò il sole splende ancora fra le dense foglie che ci circondano. Il tramonto è più vicino però, per quanto io voglia vederlo dobbiamo entrare prima o poi.

«Andiamo dentro? Voglio conoscere i ragazzi che ti hanno rubato il cuore», siamo ancora abbracciati e nella strana posa in cui ci troviamo il suo fiato caldo sbatte contro il mio orecchio, una scia di brividi parte da quel punto e per poco non mi incollo ancor di più al suo corpo, solo per sentirlo vicino ancora un po'.

Annuisco ed insieme ci alziamo. «Se gli altri venissero a conoscenza di questo tua lato non ci crederebbero nemmeno se lo avessero sotto il naso..», aggrotta la fronte in un espressione confusa e parla fra sé e se. «Cosa che in realtà hanno. Sai sei molto brava a nasconderti, oltretutto che a rinchiuderti nella tua bolla con attorno solo le poche persone che hai selezionato come adatte»

«Immagino tu abbia ragione, dovresti esser onorato di farne parte».

«Lo sono».

Sorridendo quasi di riflesso, ci allontaniamo da quella che è stata la panchina delle confessioni, la panchina che ha ospitato uno dei momenti che vorrei non dimenticare mai.

Appoggiato al muro di fianco alla porta d'ingresso, Alex sta fumando una sigaretta. Guarda dritto nella nostra direzione, più specificamente verso Allen. Non capisco se ne sia incuriosito o allarmato.

«Ehi Kath, ti stavamo aspettando. Nessuno ha voluto iniziare la cena senza di te», il suo tono di voce è normale, pressoché impassibile, quasi fin troppo. Capisco i suoi dubbi, a parte Naomi non ho mai portato qui nessuno, inoltre qualche settimana fa' parlando con Alex mi è scappata qualche parola sulla mia situazione precaria con un certo moro. Non ho ancora avuto l'occasione di chiarire che tutto è apposto.

Mi passa la sigaretta e ne prendo un tiro, indico con il capo la porta chiuso e piazzo su un espressione interrogativa. «C'è qualcosa che ti turba», mi riferisco alla sigaretta che ora è tornata fra le sue labbra.

Sento al mio fianco Allen fremere per quella che penso sia curiosità. Probabilmente da fuori è innegabile la complicità e l'intimità presente fra me ed Alex, forse è persino facilmente fraintendibile per altro.

Lo sguardo di Alex si posa ancora su Allen e vi si sofferma un po' di più. Lo sta valutando, analizza e valuta. Alex potrebbe benissimo rappresentare la reincarnazione della dannazione, chi non lo conosce potrebbe persino paragonarlo allo stereotipo di badboy. In realtà Alex è molto di più, anche se siamo in pochi a saperlo e lui non sembra voglia smentire le voci.

Non so quale sia la prima impressione che si stanno facendo l'uno dell'altro ma vorrei d'avvero che andassero d'accordo.

«É solo la Tabolt che mi rompe le palle, comunque è lui.. lui», alza un sopracciglio ed arriccia un labbro quasi in modo disgustato. Alterna occhiate fra me ed Allen aspirando il fumo dalla sigaretta quasi del tutto consumata. Si lecca le labbra e mi guarda con gli occhi luccicanti d'astio, il suo guardo è intenso e come lo definivo un anno fa' "strappa mutande".

«Si, comportati bene. Non è come sembra, abbiamo risolto», mi frappongo fra i due e costringo il più giovane a guardarmi negli occhi. «Fidati di me. Lui è apposto», lui annuisce dopo alcuni secondi anche se non sembra totalmente convinto.

Finalmente mi giro verso Allen, per tuto il tempo ho evitato di incontrare il suo sguardo, di guardarlo. Non voglio che si faccia una pessima idea di Alex, non lo sopporterei. Quando finalmente porto la mia attenzione su di lui sembra in qualche modo sollevato. Osserva la mia mano ancora posata sul braccio del ragazzo e qualcosa in lui scatta. Visibilmente più tranquillo, rassicurato forse dal fatto che io abbia permesso ad Alex di entrare nella mia bolla, quasi come se fosse una selezione, che classifica chiunque io scelga, come affidabili come affidabili.

«Allen, lui è Alex uno dei ragazzi dell'orfanotrofio. Ha diciassette anni, l'anno prossimo se ne andrà ma rimarrà sempre uno di famiglia»

«Piacere, immagino tu abbia già sentito parlare di me», Allen e Alex si stringono la mano per un breve istante prima di voltarsi entrambi verso di me.

Sento quasi come una carezza il braccio di Alex che scivola delicatamente dalla mia presa, porta la mano su un mio fianco e mi stringe a sé, quasi con fare possessivo.

«Già, non sembri un tipo affidabile, quello che mi è stato detto sul tuo modo di trattare Kath non è molto piacevole», le dita di Alex mi stringono ancor di più al suo petto e quasi sento anche su di me il suo sguardo infuocato rivolto ad Allen. Il moro rimane impassibile, annuendo leggermente senza però incontrare il mio sguardo sempre puntato sulle sue iridi blu notte. «Però sei qui, e questo significa che lei si fida molto di te. Posso darti una possibilità ma se vengo a scoprire che l'abbandoni di nuovo ti ritroverai direttamente all'ospedale se non al cimitero»

Mi sembra quasi di sentirlo ringhiare, la mia immaginazione sta dando i numeri. «Alex, non devi. Lui non è così». Ha esagerato ma apprezzo molto la sua preoccupazione nei miei confronti.

«Ha ragione Ryn, non sgridarlo. Sono felice che qualcuno sia pronto a picchiare chiunque a sangue per il suo bene, anche se dovessi esser io stesso a subire i pugni», è sicuro, fiero quasi come un lupo.

Potrei osservalo in questa posa per ore, vorrei aver la mia macchina fotografica qui. Qualcosa sembra scattare in Alex, allenta la presa e ghigna. Sembra che Allen abbia superato la prova a pieni voti.

«Ben venuto in famiglia, vieni ti faccio conoscere gli altri», Alex posa una mano sulla spalla di Allen e con l'altra apre la porta d'ingresso spingendo il ragazzo al suo interno. Allen si gira verso di me e io riesco solo ad annuire e sorridere sollevata. «Kathryn muovi il culo, e chiudi la porta!», sento Alex gridare ancora.

Rido sonoramente e faccio come mi è stato detto. 

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