Come il cielo a mezzanotte

Bởi NyxEcate

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Leggende raccontano che gli dei, all'alba dei tempi, separarono le anime gemelle, gelosi di queste ultime. Il... Xem Thêm

Prologo
01. A nessuno piacciono i ratti
02. Corsi differenti
03. Pura poesia
04. Piccoli riti
05. Sempre un mistero
06. Profumo di Gardenia
07. Marshmallows
08. Paranoia silenziosa
09. Il mare senza di te
10. " Di rosso e celeste neanche il diavolo si veste "
11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "
12. Stellato
13. Insignificanti
14. Sono una distesa dorata
15. Ciò che non sai di me
16. Questo
17. Una spaccatura nel vetro
18. Le emozioni non sono per bambini
19. Come scogliere d'argilla
20. Quello che i bambini non dovrebbero provare
21. Nascondere
22. Non abbandono nessuno
24. Il prima è sempre doloroso
25. Non c'è due senza tre
26. Come due anime si abbracciano
27. La strada
28. Piccoli sorrisi
29. Fidanzato?
30. Non oggi
31. Sbagliato
32. Il tuo pappagallo
33. Ringraziamento
34. L'inizio
35. Quando accadrà
36. Coraggio
37. Come un sogno
38. Come il cielo a mezza notte
Epilogo

23. Urgano

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Bởi NyxEcate

Quando mio padre mi ha chiamato poche ore dopo il quasi ricovero di mia madre in ospedale, ho subito pensato al peggio, e come biasimarmi? Io e Naomi siamo partite subito da scuola, abbandonando le ultime due classi per dirigerci in ospedale.

Sono appena scesa dalla macchina e nonostante il pensiero di perdere un genitore mi uccida, al momento vorrei solo risalirci e chiudermici dentro per sempre. Lontano dalla realtà: dalla malattia di mia madre, dal ricordo della nonna, dalla tristezza di Allen e papà.

Se ben per motivi diversi il mio miglior amico e mio padre stanno passando un momento... complicato, insolito forse. Vorrei dividermi in due ed esserci per entrambi e per mia madre. Vorrei che Allen mi fosse vicino se non per farsi consolare per consolare me. Ma la verità è che non ne ho le forze.

Ritornare a scuola normalmente, anche solo per poche ore mi ha fatto pensare, riflettere su tutto ciò che in pochi attimi è diventato il mio tutto, la mia priorità. Anch'io avrei riso e scherzato come Julie del terzo anno se mia madre non fosse in ospedale, anch'io come Joseph di prima sarei stata entusiasta di fare nuove amicizie se mi fidassi di me stessa e non pendessi sul filo di un rasoio.

Fino a ieri tutto ciò che contava per me era non dileguare mai il ricordo di mia nonna, domani potrà aggiungervisi quello di mia madre. Non voglio pensarci, non succederà nulla.

Ad ogni passo sul pavimento lucido un greve peso affonda sempre di più in me. É una sensazione diversa da qualsiasi cosa io abbia mai provato. Un misto fra presentimento e soggezione. La mia mente mi sta giocando brutti scherzi, mi sento travolta, come nell'occhio di un ciclone.

Il cielo è grigio e riesco a percepire solo piccoli squarci di esso, tutt'attorno il vento sibila, le fronde degli alberi frusciano e io ululo il mio panico. Non voglio mai più sentirmi così ma lo trovo inevitabile.

Svoltiamo l'ultima scala e davanti a noi, nella sala d'attesa, non c'è nessuno. É passato poco tempo dalla chiamata con mio padre, perché non è qui? Non ha specificato nulla, avvertendomi solo di venire il prima possibile.

Inevitabilmente il panico ha la meglio, il ciclone muta in un uragano. Stringo i denti e mi spingo verso la camera di mia madre. La mano che non mi ero accorta esser riscaldata, perde il calore di quella di Naomi, rimane indietro e si siede su una delle sedie con la testa fra le mani.

Tutto questo sembra assurdo. Per un adolescente non dovrebbero esistere problemi, se non ci godiamo noi la bella vita, chi può farlo? É spaventosa la fragilità di un istante, il lieve fruscio che basta per spezzare la tranquillità.

Prendo un respiro profondo e busso leggermente alla porta. Nessun infermiere in vista, posso entrare in tranquillità anche se non mi è permesso. Lentamente apro la porta. Col fiato sospeso per la preoccupazione mi muovo in silenzio, aprendo e richiudendo la porta alle mie spalle.

Vicino ad un lettino vuoto c'è una tenda tirata, la luce mi permette di riconoscere le sagome dietro ad essa. Mio padre e mia madre. Lei è seduta sul letto e sembra star appoggiando una mano sulla sua spalla.

Sorvolo sul senso di inadeguatezza per aver interrotto un momento intimo, e a passi felpati li raggiungo. La prima a notarmi è lei. In realtà ha la mano destra posata sul petto di lui, i capelli scompigliati e la pelle marmorea. Il solito look stanco.

Sorride debolmente e protrae la mano libera nella mia direzione, a quel gesto anche Robert di gira. Afferro con decisione le sue lunghe dita e mi stringo accanto al letto.

«Stai bene?», l'unica cosa che sono riuscita a chiederli. E mi sembra piuttosto ovvia la risposta.

«Ora che siete entrambi qui si, è giunto il momento di raccontarti la verità». Stringe la presa sulla mia mano e si scambia un'occhiata con il marito. La fede di entrambi sembra brillare di luce propria, come testimone indiscussa del loro amore, ancora vivo e forte.

«Mi hanno diagnosticato la corea di Huntington»

«Cosa... io-non capisco», la sua gracile mano inizia a tremare fra la mie, in pochi istanti le lacrime nei suoi occhi si riflettono nei miei.

«É una malattia ereditaria, quando i dottori di tua nonna ci hanno informati sapevamo già che esisteva una possibilità del cinquanta per cento che tua madre la contraesse». Mio padre non parla in modo sicuro, è debole. Non l'ho mai visto così sofferente.

«É ancora nello stadio iniziale ma continuerà a peggiorare»

«Ci devono esser delle medicine, qualcosa che possiamo fare!» mollo la mano di mia madre e mi alzo in piedi. Cammino per la strada con i capelli fra le mani. Tutto questo è assurdo, non può succedere di nuovo, non a me. «Andrebbe bene persino qualche stupida cura Indiana, l'importante è che tu stia meglio. Non morirai»

«Kathryn siediti»

Mi risiedo sullo squallido pavimento e ingoio il magone, ad ogni secondo più grande. Chiudo gli occhi e per un istante sento solo le guance bagnate dalle mie lacrime e l'uragano che ulula attorno a me.

«Le sostanze che mi ha prescritto il neurologo attenuano solo i sintomi. Non avrò gli stessi episodi di mia madre ma ce ne andremo allo stesso modo»

«Mamma... no, ti prego». Quando riapro gli occhi mio padre non c'è più. Non l'ho nemmeno sentito uscire. Solo il viso pallido ed illacrimato di Grace mi fa compagnia. Mi mordo il labbro assaggiando una delle lacrime che vi è finito sopra. No, mi rifiuto di perdere anche lei, di veder soffrire lei e mio padre, di dover affrontare la vita dopo, di restar sola. «No»

Alza una mano e ne posa il palmo sulla mia guancia, di riflesso smetto di scuotere il capo. Alcune ciocche mi finiscono sul viso e lei si premura a toglierle. Mi rivolge un piccolo sorriso, un sorriso triste che non coinvolge gli occhi, un sorriso forzato per riscaldare me.

Dovrei esser io quella a consolarla, e invece come sempre la storia si ripete. Perché per una volta non riesco ad esser io la soluzione ai loro problemi?

«Ho ancora del tempo, abbastanza per rimediare agli ultimi mesi che ho passato ad evitarti. Mi dispiace, non volevo che vedessi uno dei miei attacchi. Avrei dovuto dirti tutto molto prima». Si sistema meglio sull'unico cuscino alle sue spalle e, come spesso lo vista fare, punta lo sguardo nel vuoto e si perde nei suoi pensieri.

«Mi dispiace, perdonami se non ti ho detto nulla. Non voglio esser un peso anche per mia figlia, non voglio che tu passi tutto quello che hai passato con la morte di mia madre di nuovo.». É incredibile, lei si sente in colpa per esser malata...

«Mamma lo capisco, ti capisco. Ora non importa più»

«Robert voleva dirtelo, non gli è mai piaciuto nasconderti qualcosa, sopra tutto qualcosa di così importante. La sera in cui ci hai visti litigare era per questo. Mi dispiace se hai pensato male, se ti ho fatta star male... volevo solo privarti altro dolore»

Grosse lacrime brillano nei suoi occhi dolci. Il dolce profumo di fiori da cui è sempre circondata è pallido, quasi inesistente ormai. Chissà da quando non va al lavoro.

Ci sono tante cose che mi hanno nascosto, che lei ha voluto nascondermi. Non nego di voler aver avuto l'occasione di affrontare tutto questo con più calma, saperlo prima e non tormentarmi per nulla. Ma la capisco, non le do ragione però.

In ogni caso non posso discutere delle sue scelte ora, non posso e non voglio. Ormai non importa.

«Dovete scusarmi voi, per essermi comportata male, per averti fatta preoccupare. Non importa più ora, ma sono stata pessima». Forse è sempre dovuta andare in questo modo. Insomma, sbagliare sembra l'unico modo per aprirmi gli occhi.

Non mi sveglio, non capisco i miei errori finche non mi viene inflitta una batosta e barcollo. É sempre stato così ma ne ho paura. So di non esser perfetta, so di poter migliorare in qualche modo solo che non voglio che esso sia dopo una brutale delusione. Se il prezzo da pagare per i miei errori è causare dolore a chi mi sta attorno non voglio sbagliare mai più.

Voglio cambiare, trovare un modo per svegliarmi senza distruggere tutto nel processo.

«Abbiamo sbagliato entrambe». Riporta lo sguardo su di me, si tortura le mani e morde l'interno guancia. «Ogni volta che non eravamo a casa eravamo qui... questa non è la mia prima visita e molto probabilmente la prossima volta mi terranno in ricovero»

«Non puoi passare i tuoi ultimi giorni in ospedale!» alzo la voce ma lei fa spallucce ad abbassa lo sguardo. Non so come sentirmi, arrabbiata e triste sarebbero l'opzione più semplice, scombussolata, straziata, abbandonata. «Quando volevi dirmelo? O contavi che lo scoprissi da sola o qualcosa del genere?»

«La sera in cui dovevamo cenare insieme. Gli episodi ed i momenti "brutti" aumentano sempre di più e mi sembrava il momento giusto, non pensavo ne saresti venuta a conoscenza così» Beh è stato di sicuro sorprendente. Non sarò fra le menti più chiare e geniali della contea, ma qualche sospettino ce l'avevo lo stesso.

«Perché mentirmi, tenermi nascosta la verità?»

«La vita è complicata. Mentire è.. facile.» sospira e con la mano destra prova a fermare un piccolo spasmo alla coscia destra. «La dici e poi la insabbi», continua abbassando lo sguardo.

«Kathryn devi sapere che, come per me, c'è una piccola possibilità che anche te in futuro soffrirai della malattia di Huntington. Non ci sono cure, è morte certa». Apre la bocca per continuare a parlare ma si ferma come a prender aria. Lo sguardo diventa vuoto e come l'ultima volta orribili spasmi le percorrono i muscoli.

All'istante il cuore mi sale in gola ed un orribile sensazione si fa largo in me. Esco a grandi falcate dalla porta e mi guardo attorno freneticamente. Non osservo realmente chi mi sta attorno, tengo solo stretta l'immagine di mia madre sorridente, sperando che non sia l'ultima.

«Infermiera!» urlo per pochi istanti, una giovane donna e un uomo si fanno largo alle mie spalle ed entrano nella camera di mia madre.

Sentendo le mie urla anche mio padre si precipita verso la stanza, mi guarda e lascia solo una carezza sulla mia spalla. «Andrà tutto bene»

Mi allontano lentamente, non riuscendo a calmarmi. É inutile che io resti li dentro, peggiorerei solo la situazione. Se ciò che dicono è vero, questi... episodi sono normali e non possiamo farci nulla.

Perché? Perché devi capitare tutto a questa famiglia, a me? Mio padre prima o poi resterà senza una suocera, una moglie ed una figlia. Forse non sono malata e mai ne sarò affetta ma il dubbio resta.

Mia madre porta al cervello un residuo indelebile di nonna, è una maledizione e non possiamo fermarla. Tiro i miei capelli ormai completamente in disordine e trattengo un urlo.

Non m'importa se morirò per mano della stessa malattia di mia nonna, c'è ben altro che rischia di portarmi giù. Sempre più giù, ogni giorno della mia vita.

Gli occhi sbarrati mi impediscono di vedere, percepisco solo l'urgano attorno a me e l'impellente bisogno di vomitare tutto fuori. Probabilmente mi sono bloccata in pezzo al corridoio come una psicopatica, ferma con la testa fra le mani.

Non voglio perdere il controllo ma ormai non c'è più nulla che io possa fare. Mi trattengo ogni giorno, spengo la rabbia e le emozioni forti con respiri freddi ed affannosi. Voglio frenarlo.

Voglio urlare e spaccare tutto, ma per ora sento solo la carne del mio labbro lacerarsi sotto i miei denti. Respiro in modo affannoso, ed è forse per questo che percepisco all'istante il lieve profumo di Gardenia, due grosse e calde braccia mi circondano subito dopo.

Distendo le braccia lungo i fianchi e affondo la testa nel suo petto. Ispiro ed espiro a fondo fino a quando ho riassunto un ritmo regolare.

«Sono qui Ryn, sono qui per te». Le dita di Allen si perdono fra i miei capelli e le sue labbra si muovono sopra la mia fronte. Mi tiene stretta a sé e io, ancora una volta, non so come ringraziarlo abbastanza.

«Mi dispiace di non averti ascoltato, non sapevo nulla di tutto questo. Io-.. quando Naomi mi ha chiamato sono subito corso qui. Mi dispiace, tuo padre mi ha raccontato tutto» Vorrei dirgli che non è colpa sua, che mi basta la sua presenza qui, ora, ma sono talmente esausta da non riuscir ad emettere un suono.

Stringo le mie braccia attorno a lui ed allontano di poco il viso per perdermi nuovamente nelle sue iridi blu. Scuoto la testa e come con mia madre, le lacrime sul mio volto appaiono anche su quello di Allen.

Due solitarie, scendono agli angoli del suo cielo stellato personale, che un po' in fondo mi piace ritener anche mio. Percorrono i suoi zigomi, lente e silenziose. Non posso far a meno di riveder noi in quelle piccole goccioline.

Diversi ma uguali, comunque presenti l'uno per l'altro. Le lavo via con due baci. Prendo il suo viso fra le mani e poggio la mia fronte sulla sua. «Non sei obbligato a stare qui, so che questa è una giornata importante per te, me lo sento. Vai a casa Allen, affronta il tuo dolore qualunque esso sia.»

«No, tu non capisci». Il dolore si fa' vivo sui suoi tratti e nel suo tono. La sua espressione si indurisce e per alcuni istanti ho paura di lui. Sussulto e questo purtroppo a lui non sfugge.

«Allen ti prego, se non riesci a parlarne almeno riflettici su da solo. Non posso veder anche tè star male»

Mi allontana e lo sguardo ferito che mi rivolge se possibile strappa il mio cuore in due ancor di più. Stringo forte i denti, lui deve pensare prima a sé stesso. Per quanto mi piacerebbe esser egoista e supplicarlo di rimanere al mio fianco non lo farò, merita di meglio.

«Non posso, non ci riesco. Non voglio pensarci», lo dice con voce soffocata, rauca. Tutto di lui urla rimpianto, colpevolezza.

«Allen se hai fatto qualcosa, qualsiasi cosa possiamo rimediare, troveremo una soluzione... insieme»

«Cosa ne sai tu? Cosa ne sai del senso di colpa, del mio?», si punta un dito al petto e per alcuni secondi la stessa sensazione di paura di prima ritorna. Prende una breve pausa e poi ricomincia, tiene un labbro fra i denti e mi sembra evidente che sta cercando di trattenersi dall'urlare, o piangere. «Non sai nulla del tormento che ti lacera quando fai qualcosa di terribile»

«Stiamo tutti imparando, siamo adolescenti Allen! Cerchiamo solo di vivere... impariamo a farlo, molti di noi solo con le proprie forze, ma ti dico che o affronti chi sei, o lasci che ti distrugga. Sono la tua miglior amica e non ti lascerò mai in questo stato».

Forse sono stati la mia espressione determinata, il tono di voce o gli occhi addolorati ma si è lasciato abbracciare. Come un cucciolo ferito, una bestia selvatica che ha deciso finalmente di concedermi il beneficio del dubbio.

Fissa il pavimento e ancora una volta non posso che domandare cosa lo tormenti con così tanta veemenza. In un certo senso aiutarlo mi fa star male, quando lo faccio sorridere, parlare o semplicemente distrarre per effetto collaterale distraggo anche me stessa.

«Non farti distruggere Cross, non è colpa tua ne sono certa», intreccio le nostre dita e lo abbraccio di nuovo. «Non sei solo, e non sei sbagliato»

Si abbandona completamente fra le mie braccia, come un bambino finalmente a casa. Lo tengo stretto, cullando me stessa e lui, supportando entrambi. Forse è meglio restar insieme.

«Grazie, Ryn. Ti racconterò tutto, ma non oggi, ti prego..»

Annuisco e lascio che si stringa meglio a me. Appoggia la testa nell'incavo del mio collo e mi passa un braccio sopra le spalle.

«Allen se non te la senti di star qua, di respirare quest'orribile puzza, vai a casa». Trattengo il fiato per alcuni secondi in attesa della sua riposta e stranamente percepisco anche lui far lo stesso.

«Non se ne parla! Tu sei qui ora, oggi e domani. Hai bisogno di me, non ti lascerò in questo inferno da sola per colpa del mio passato»

«Non sarai mica un mafioso spero?», rido cercando di alleggerire l'atmosfera.

Soffia sul mio collo e scuote la testa divertito. «Tranquilla, nulla di illegale per la legge»

Solo pochi secondi dopo mi accorgo che siamo fermi da chissà quanto in mezzo al corridoio. Dalla camera di mia madre ancora nessun segno. Lo trascino fino alla sala d'attesa, Naomi è seduta, tre caffè accanto a lei sul tavolino.

Sorride debolmente appena ci vede, sta cercando di confortare entrambi ma tutta questa situazione turba anche lei. É strano il rapporto tra lei e mia madre, hanno un rapporto d'amicizia insolito.

Allen si siede sulla sedia accanto a lei e mi trascina praticamente addosso a sé, continuando l'abbraccio di prima non ancora interrotto. Non mi lamento, per quanto vale le sue gambe sono più comode della sedia di plastica.

«Forse entrambi abbiamo bisogno dell'altro»


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