Personaggi in cerca di Voce

By veneredirimmel

1.7K 185 709

1871. Attorno a Holker Hall si aggirano diversi personaggi in cerca di voce: c'è il marchese Frederick, costr... More

Angie I - L'ultima lettera
Angie II - I regali del capitano
Angie III - La proposta
Frederick II - Un marchese e il suo problema
Frederick III - Le missive, inviate e ricevute, e il bagno della consapevolezza
Frederick IV - Di fughe e arrivi
Jaycob I - I primi ospiti
Jaycob II (Parte Prima) - Un dopocena letterario
Jaycob II (Parte Seconda) - Per colpa di un cappello
Jaycob III - Il duello
Jaycob IV - Mi sfiancate, Jaycob
Lucas I - L'arrivo di Lady Layla
Lucas II - la lite
Lucas III - la voce di Jaycob

Frederick I - l'ala ovest di Holker Hall

102 14 37
By veneredirimmel

Frederick William Holbrook Cavendish, marchese di Hartington, quarto figlio del settimo duca di Cavendish, ma primo in successione a causa della prematura morte dei fratelli, era un uomo d'altri tempi. Tale affermazione ingannerebbe chiunque, facendo subito pensare a una persona con una personalità e un atteggiamento simile a quello di un uomo vissuto in un'epoca precedente alla sua, ma in realtà, trattandosi proprio di lui, ciò non potrebbe essere più fuorviante.

Frederick era, sì, diverso dagli uomini suoi coetanei, ma non perché ricordasse i modi e gli atteggiamenti degli suoi predecessori, bensì tutto il contrario e quanto di più inimmaginabile: nessuno, per questo, poteva azzardare quella visione futuristica su di lui. Al massimo, avrebbero potuto considerarlo fuori dalla norma, atipico, di mentalità diversa dall'uomo "vittoriano" - benché quest'ultima caratteristica avrebbero potuto utilizzarla soltanto nel momento in cui ci fossero state pagine della sua storia da poter leggere. Cosa lo rendeva diverso? Sul matrimonio, ad esempio. Qualunque uomo di sua conoscenza e della sua stessa età era già sposato. Coloro i quali erano ancora celibi, avrebbero donato la propria anima al diavolo pur di trovar moglie. La vita di ogni uomo della sua età o più giovane, addirittura, girava attorno alla ricerca di una consorte per proseguire la propria stirpe. Frederick, invece, non ne aveva avuto la benché minima intenzione. Graziato dalla tardiva e inaspettata ascesa a duca di Devonshire del padre, ereditata dal cugino morto senza eredi, nel 1858, e anche dal fatto che fosse il quarto fra i figli avuti con la prima moglie, la duchessa Georgiana Blanche Howard, Frederick non era mai stato forzato al matrimonio. Il settimo duca di Devonshire, in questo, era stato molto inadempiente. Così lui, all'età di trent'anni, se immaginava un'ipotetica strada da percorrere verso il futuro, ne vedeva una soltanto, senza la compagnia di alcuna donna in particolare, bensì di molte per brevi e intensi momenti. Non si prendeva in giro, illudendosi e sognando una famiglia, perché la sua, numerosa e complicata, gli era sempre bastata. Lo accontentava tutto ciò che già possedeva, tutto ciò che non garantiva affatto un futuro, un avvenire, un amore per la vita.

Alla morte di suo fratello, William, aveva preso atto dell'importante fardello che per successione cronologica aveva ereditato, ma non aveva subito pensato al suo fato in maniera così pessimistica.

Tuttavia, alle parole del padre, seppe immediatamente che le cose non sarebbero mai andate secondo le sue frivole aspettative. Era l'erede dei Cavendish, ogni illusione che si era fatto fino ad allora doveva velocemente svanire nel nulla e lasciarla andare senza aggrapparsi a esse. L'unica possibilità che aveva era quella di abdicare, lasciare la propria eredità al prossimo dei suoi fratelli in lista di successione, ma questo significava anche essere diseredato dal padre e, subito dopo, senza un briciolo di compassione, allontanato per sempre da tutta la famiglia, da Holker Hall, da ciò che più contava per lui. E a questo tipo di amore, l'unico in cui credeva davvero, Frederick sapeva coscientemente di non saper rinunciare.

Dovette, per questo, sentirlo con le proprie orecchie e fare quelle domande al padre che avrebbero spazzato via ogni sua più futile tentazione. «E se mi rifiutassi, padre? Quali sarebbero le conseguenze?»

Il duca si voltò per gelarlo con una occhiataccia austera. «In che senso "se ti rifiutassi?"».

Frederick avanzò le prime ipotesi che potessero quantomeno rendere obiettiva la sua protesta. «E se volessi sposare qualcun altro? Se il mio cuore avesse già scelto una persona e questa non fosse Lady Angelica? Cosa succederebbe?»

Senza considerare che il padre, e chiunque altro in quella casa, lo conoscesse fin troppo bene per credere che quella eventualità potesse essere vera, Fred si stupì comunque di sentirlo ridere. «Insomma, Frederick, non dire sciocchezze. Nel tuo cuore ci sono innumerevoli passioni, tutte puerili e senza ambizioni future. Non c'è alcuna donna in cuor tuo che possa averti fatto anche solo per un attimo vacillare ogni più fervida convinzione, come rinunciare al tuo peggior vezzo di donnaiolo. L'unione con Angelica salverà entrambi dall'opinione che la gente si è fatta di voi. Se ti rifiutassi di sposarla, sai benissimo cosa potrebbe attenderti».

«Ditelo, padre, ho bisogno di sentirlo uscire dalla vostra bocca».

Quello sbuffò.

«Spencer prenderebbe il tuo posto in successione e tu saresti privato di ogni privilegio, del tuo titolo, della tua eredità e della tua famiglia. Saresti diseredato. Ma è sciocco pensarci o discuterne, non accadrà. Tu sei mio figlio e, nonostante tutte le tue inclinazioni, farai ciò che devi».

Frederick sospirò. Avesse avuto una poltrona dietro di sé, sarebbe sprofondato col desiderio di sparirci al suo interno. «Quantomeno Spencer avrebbe ciò che tanto desidera» ironizzò, dandogli le spalle per non dimostrare quanto amara fosse la sua battuta.

Il padre non rise. «Spencer non è migliore di te. Tu sei figlio mio e della mia prima moglie, entrambi di sangue Cavendish. Se Spencer ereditasse il titolo che ti spetta, temerei della sorte di questa famiglia. Tu sei l'unica possibilità, e in cuor tuo, sai anche tu che ciò che dico è il vero».

Fred sospirò nuovamente. Il padre aveva ogni mezzo, anche il più subdolo, per addolcirgli la pessima pillola che gli aveva appena fatto ingurgitare. Spazientito dal sentirlo ancora inneggiare al suo buon animo, chiuse il discorso e si congedò frettolosamente. Il duca, dal canto suo, lo lasciò andare augurandogli la buonanotte. Dal tono, sembrava che il discorso si fosse protratto e concluso secondo le sue più benaugurate aspettative.

Non che avesse molti luoghi dove potersi ritirare, dopo quel colloquio. Era decisamente stanco, per via del viaggio, ma era chiaro che difficilmente avrebbe preso sonno con tutto ciò che gli frullava nella testa.

Holker Hall era immensa, ma in mente Frederick aveva un unico luogo, e nessuno sarebbe stato in grado di convincerlo ad andare da qualche altra parte, neppure Lucas, che da che ne avesse memoria era il più fidato del personale che avevano a disposizione. A lui, Frederick, aveva consegnato dal più futile al più considerevole segreto, nonché un compito ben preciso per tutto quel tempo che era stato a Eastbourne.

Per questo, sebbene fosse sempre stato il ragazzo a sua completa disposizione da cinque anni, ormai, alla sua partenza lo aveva reso il proprio factotum.

Lucas si era dimostrato molto dispiaciuto che il marchese non avesse avuto intenzione di farlo partire assieme a loro. «Non verrò con voi?» gli aveva chiesto, senza però alcun segno di risentimento. Al contrario, quando Fred gli aveva spiegato quale fosse il suo impegno in sua assenza, si era subito dimostrato orgoglioso e contento. «Proprio io, milord?», incredulo, aveva domandato, accentuando quel piccolo difetto che aveva quando parlava e per il quale le parole suonavano sempre come se fossero ostacolate a uscire da qualcosa incastrato tra il palato superiore e quello inferiore della bocca. Lucas era un bravo ragazzo, non sempre decifrabile nei suoi pensieri, e affatto comune nel modo di esporsi. Frederick si era trovato bene fin da quando, la prima volta, lo aveva visto entrare nelle sue stanze, appena quindicenne, alto quasi quanto lui, con i capelli castani che non avevano idea di cosa significasse l'ordine e la compostezza, smilzo ma non privo di contegno, e dall'aria spavalda.

Quel lungo periodo di lontananza da Holker Hall non lo aveva preoccupato nemmeno per un attimo: si teneva regolarmente in contatto con il ragazzo ma anche, e soprattutto, perché sapeva che qualsiasi cosa fosse accaduta, Jaycob era lì a risolverla con il massimo della risolutezza. Frederick aveva sentito spesso anche il cugino ma mai, nemmeno per una volta, aveva avuto il bisogno di chiedergli conferma che tutto fosse sotto controllo. Il legame che li univa era intrinseco a se stesso, come un doppio ramo intrecciato per nascita e impossibile da scindere, a tal punto da apparire come uno soltanto; così se l'uno pensava qualcosa, la possibilità che anche l'altro la recepisse o la consolidasse nel proprio animo, era più concreta di una certezza.

Lucas gli veniva incontro col passo di chi aveva un compito ben preciso da portare a termine. Fred era da sempre stato un bravo lettore, sapeva sempre scorgere da un'espressione o da un modo di fare gli intenti delle persone che si confrontavano con lui, ma in quel momento non ne aveva voglia. Lo guardò pigramente, intuendo le sue intenzioni ma già pronto a declinarle tutte.

«Lucas, qualsiasi motivo ti porti qui, lo rimandiamo a domani. Sono molto stanco-» incominciò veemente, ma fu subito interrotto.

«Siete stanco, milord? Volete già ritirarvi nelle vostre stanze?» lo interrogò e gli diede il tempo che il marchese rispondesse con un vago e pigro «Ritirarmi? No, no- affatto», che continuò egli stesso: «Oh bene! Perché vostro cugino aveva organizzato per il vostro ritorno qualcosa di speciale e mi aveva giustappunto mandato a prendervi per accompagnarvi».

Fred si ridestò in un lampo all'udire quelle che avrebbe potuto denominare come "paroline magiche": cugino, organizzato e speciale.

Sorrise con guizzo, risvegliandosi dall'intorpidimento in cui era calato per via delle noie del padre. «Dunque, affrettiamoci, non vorremmo farlo mica aspettare!».

Sebbene Holker Hall possedesse innumerevoli luoghi, interni ed esterni, dove potersi ritrovare, Frederick era certo che la destinazione fosse una. Seguì il proprio factotum ma senza il minimo segno di incertezza di dove fossero diretti.

***

Julia seguì la scia di tristezza che Angie aveva lasciato dietro di sé, o almeno così rassicurò la propria mente per tutto il tragitto che la condusse dove l'amica si era andata a rifugiare.

Era probabile che entrambe, scosse dalla medesima angoscia, avessero avuto in mente lo stesso luogo in cui nascondersi, ma soltanto loro potevano custodire gelosamente la risposta a quella misteriosa casualità. D'altronde, per certe affinità non avevano mai avuto il bisogno di farsi alcuna domanda.

La più giovane la trovò seduta sul cornicione interno di una delle finestre della biblioteca. Era sempre la stessa, in realtà, quella che mostrava la veduta dell'ala ovest di Holker Hall e una gran parte dei maestosi giardini che circondavano l'area. Le si avvicinò con sicurezza per poi assicurarsi di spostare il più delicatamente possibile le pesanti tende che rendevano quel piccolo spazio il miglior posto in cui nascondersi.

Angie doveva aver smesso di piangere da poco, perché i suoi occhi erano ancora rossi e le sue guance imperlate di lacrime che, con la luce della candela che Julia aveva portato con sé per camminare nei corridoi bui, davano l'impressione che il suo viso fosse impreziosito da dei cristalli. Quel fulcro di luce lo adagiò silenziosamente fra loro quando si sedette sull'estremità opposta a quella di Angie. In un primo momento, imitò la compagna guardando fuori dalla finestra. La sola luce della Luna rendeva ciò che vedeva la rappresentazione di un desolato giardino fitto di oscurità e mistero. Non la intimoriva la vista, aveva letto così tanto nei suoi diciotto anni di vita e perlopiù di ambientazioni gotiche che, in quel momento, l'idea di essere finita in una di quelle trame grottesche non le dispiaceva affatto. La luce della candela, però, che rifletteva contro la finestra e che impediva un po' lo sforzo di entrambe di guardare oltre l'ostacolo della vetrata, la riportò terribilmente a quella realtà.

Di cupo e terrificante, c'erano i fatti appena accaduti.

«Oh Julia» esclamò in un singhiozzo, Angie, nel momento in cui doveva aver iniziato a percepire lo sguardo dell'amica, angosciato e rattristito quanto lei, su di sé. «Non trovi che sia ingiusto tutto ciò?»

Julia aveva timore di rispondere a quella domanda, così come di dire qualsiasi altra cosa in merito a quell'argomento. Due motivi, in particolare, la trattenevano dal parlare: il primo, che fosse inappropriato dimostrare quanto fosse d'accordo con lei e, il secondo, più intimo, che tutto ciò che avesse detto, avrebbe potuto facilmente uscirle dal cuore, un po' incrinato e dolorante.

«Il marchese non è una persona sgradevole, in fondo» affermò, dopo qualche secondo. Disse ciò che forse, in una lunga lista di argomentazioni che avrebbe potuto tirare fuori, non si sarebbe piazzata neppure all'ultimo posto, ma che forse era quanto, nel ruolo che le spettava, fosse giusto affermare.

Angie la guardò in rimprovero.

«Non è Frederick il mio problema!» inveì in uno squittio. «O meglio, sì, però...» tutta la forza animata in un briciolo di secondo, svanì, spegnendole l'animo. Le spalle le si afflosciarono e gli occhi le caddero verso le mani, ferme davanti al grembo.

Julia sospirò. Angie era sempre stata, in ogni occasione, una donna forte e orgogliosa ma in quel momento, forse stanca dal viaggio e sicuramente afflitta dal dispiegarsi degli eventi, non l'aveva mai vista così fragile. Nonostante questo non facesse bene nemmeno a lei, seppe che in quel momento doveva esserle d'aiuto e non un ostacolo. Nonostante ciò che avesse udito, avrebbe potuto ferirla e cambiarla per sempre, prese atto che per Angie era disposta a farlo.

«Però? Parlami».

Angie la guardò immediatamente. Gli occhi rilucenti di nuove lacrime e più gonfi di come l'aveva trovata al suo arrivo.

«Pensi che arrivata alla mia età, stia a pensare al mio matrimonio, Julia? Non ci ho pensato nel momento in cui avrei dovuto e ho rifiutato quei pochi poveretti che mi hanno chiesto la mano, sperando di arrivare un giorno a diventare la duchessa di Devonshire?» prese un grosso respiro, poi continuò: «Lo so che sono molti a sostenere la tesi, che le mie scelte spesso hanno dato adito a questo tipo di conclusioni ma io-» singhiozzò, intrecciando le mani e torturandosele per la vergogna.

Julia si allungò impetuosamente per posare con vigore una sua mano su quel groviglio e tentare di rassicurarla. Cercò il suo sguardo: «Per quanto vale, io non l'ho mai pensato» ammise. Angie tirò su col naso e sorrise appena, annuendo.

«Frederick è un uomo, beh, non perfetto. Entrambe conosciamo la sua natura, ma so che non sarebbe affatto un pessimo marito. Non mi tratterebbe mai male, neppure se non potesse mai amarmi e accettarmi come moglie. Questo perché è come un fratello. Siamo cresciuti assieme, non potremmo amarci diversamente da come già facciamo.»

Una stilettata fin troppo attesa colpì il cuore di Julia e la sua mano, stretta sopra quelle di Angie si allentò appena, inconsciamente. Mentre il piccolo e armonioso mondo del suo corpo le si capovolgeva silenziosamente, causando chissà quali danni irreparabili, Julia si costrinse a rinunciare alla lunga lista di cose che avrebbero potuto smascherarla e utilizzò quelle che mai avrebbe pensato di dire, un giorno, ad alta voce.

«Proprio per questo motivo, dovresti farti forza e credere che, dopotutto, la vostra non sarà un'unione così... terrificante. Anche se non hai mai pensato di sposare tuo cugino, forse questo matrimonio può essere il male minore che la vita ha in serbo per te. Come tu stessa dici, Frederick non potrebbe mai volerti o farti del male, entrambi conoscete la natura dei vostri animi e per questo non potrete mai nemmeno farvene a vicenda. Sposarti con- il marchese può avere i suoi vantaggi, la tua vita potrebbe non cambiare affatto, no?».

Angie negò abbassando in fretta lo sguardo, dando modo a Julia di riprendere fiato e chissà quanto altro coraggio per continuare quell'opera di convincimento. Per un breve istante, mentre aveva parlato, le era perfino sembrato semplice per lei, quel prospetto futuro. Ma quando poi tornò a sentire la pesantezza dello strazio che provava e che doveva nascondere dalla sua espressione e dalle sue parole, ammise che era ancora troppo presto per credere che fosse tutto così semplice.

«Non capisci, Ju» singhiozzò, infine, lei. «Dovrei anzi stupirmi di udire proprio da te queste parole, ma in realtà non mi sorprendi affatto e so anche il perché» ammise.

Quando la guardò, sorridendole fra le lacrime, Julia si sentì improvvisamente priva di ogni nascondiglio in cui intrufolarsi. In quel momento si sentì come il segreto nascosto all'interno di un libro composto da più di mille pagine, ma finalmente scoperto, e in cuor suo dubitò fortemente che in seguito a quel momento avrebbe potuto riprovare l'adrenalinica sensazione del lettore che di fronte a una trama ben intrecciata, finalmente ha la soluzione tanto agognata. Anzi, probabilmente, proprio in quel momento, stava perdendo tutto il fascino e la magia che aveva sempre creduto possedessero i libri. Non ci sarebbero stati più ottimi colpi di scena.

«Tu sei forte, più di quanto tu possa dimostrare. E sei un'amica sincera, una di quelle rare eccezioni che in quanto tale ti nasconde solo ciò che potrebbe ferirti ma mai ciò che potrebbe ferire te stessa. Sei altruista a un livello così autolesionista, che mi dimostri ancora una volta quanto io non possa più difenderti dai torti che subisci. Questo fin da quando eravamo piccole, ero sempre disposta a proteggerti quando ti veniva fatto del male, sempre pronta a vendicare i torti che subivi senza averne alcuna colpa, ma non sono mai riuscita a salvarti da te stessa e dal modo in cui scegli di proteggere chi ami».

Julia sgranò gli occhi. Era sempre un duro colpo sentir parlare Angie, la sua unica amica, in quel modo di lei. Frastornata da quella serie di emozioni che l'avevano travolta in quell'ultima ora, non seppe come gestire quella nuova ondata e iniziò a piangere, ma a modo suo, come sempre, senza far alcun rumore.

Stavolta fu Angie a prenderle le mani per stringerle fra le sue. «Io ho sempre saputo di non volermi sposare, Julia, e se in tutti questi anni non l'ho fatto, non è perché auspicassi a diventare duchessa. Trovo che questo sia ingiusto, non tanto il matrimonio con Frederick, oh no, quello come hai tu stessa affermato, potrebbe essere davvero il mio male minore! Ma è ingiusto il fatto che debba essere un obbligo, per una donna, doversi sposare e, ancor più atroce, non poter scegliere altrimenti. Trovo che sia scorretto che sia una scelta altrui, spesso e volentieri, e Dio solo sa quanto tempo ho passato illudendomi che, forse, nella mia stupida vita, potessi essere una eccezione, una di quelle che è buona a dar scandalo e divertirsi nel farlo. Sapevo che fino a ora ero stata tanto fortunata a non essere incappata in un'unione ostile e ammettevo a me stessa che mi sarei innamorata di qualcuno che avrebbe fatto tentennare le mie convinzioni... Ma tutto questo io lo so, e sfido chiunque a darmi prova del contrario, perché ho sempre creduto che Frederick appartenga a te quanto tu a lui. Anche se lui non ne ha preso coscienza e tu ancora tenti affannosamente di non accettarlo, è sempre stato così. Sempre. Fin da quando tu eri una ragazzina e lui già un uomo. Non c'era tempo a ostacolare il legame dei vostri cuori, solo l'attesa del momento giusto, e sapere che questo non esisterà mai, mi fa star male. Più di tutto, amica mia, è questo che mi spezza il cuore».

Julia non replicò se non stringendo le mani di Angie in segno di conforto e affetto che, a voce, in quel momento, non avrebbe saputo dimostrare. E sebbene non si dissero altro, rimasero sedute sul ciglio di quella finestra, a sorridersi tra le lacrime, nel silenzio di quella notte.

Con i cuori a battere ancora, seppur distrutti, ma finalmente aperti a qualsiasi tipo di confessione, che comunque non avvenne per mezzo delle parole.

***

Frederick era sempre passato attraverso la porta segreta della parete della sua camera da letto, per raggiungere l'ala ovest di Holker Hall. Per mezzo di quelle vie conosciute a un numero ristretto di persone, era in grado di far credere a molti di essersi ritirato nelle proprie stanze, anche se in realtà per andare a dormire ci volevano sempre le prime luci dell'alba. Seguendo Lucas, invece, era giunto a destinazione attraverso i corridoi che ogni residente conosceva fin troppo bene, benché fossero poi in pochi a frequentarli.

Le entrate in realtà erano diverse: una esterna, attraverso il giardino, usata dai frequentatori che arrivavano con le carrozze; quella che Fred e Lucas avevano appena percorso, usata per lo più dalla servitù, e poi quelle che, dalle stanze più vicine all'ala, avevano dei passaggi segreti attraverso porte nascoste ingegnosamente.

Lucas aprì l'ingresso principale e gli fece subito strada per avanzare prima di lui. Frederick lo guardò mentre gli passava accanto e gli sorrise, eccitato all'idea della sorpresa che lo attendeva e con la spensieratezza di non aver appena passato un brutto quarto d'ora a parlare del suo infelice futuro.

Non appena mise piede nel primo ambiente udì le note di una melodia che fu in grado di riattivare immediatamente i suoi sensi intorpiditi dalla stanchezza del lungo viaggio. Non era movimentava, né una di quelle che, anche controvoglia, sapevano incoraggiarti a danzare; era trascinante come il canto di una sirena in grado di stregarti la mente, gettandoti addosso chissà quale sortilegio capace di farti compiere di tutto. Perciò non notò come, per l'occasione, era stata addobbata la prima delle innumerevoli stanze di quell'ala. C'erano drappi di seta blu che rivestivano intere pareti, donando all'ambiente un'accoglienza, seppur algida, decisamente elegante e raffinata. Fred percorse a grandi falcate, senza accorgersi di come lo scomparto in legno, incassato in una delle pareti - l'unica dove la stoffa blu era separata a destra e sinistra e legata con delle corde- ora, insolitamente dal solito, fosse traboccante di abiti al punto in cui era difficile richiuderlo.

«Bentornato, marchese» lo salutarono due ragazzi della servitù che in quella stanza tenevano d'occhio l'entrata. Frederick ebbe solo il tempo di rimproverarli, come aveva sempre fatto quando entrava in quella parte di Holker Hall: «Harold, qui dovete chiamarmi semplicemente Fred, quante volte dovrò ripetervelo?»

Il ragazzo che aveva parlato aveva semplicemente annuito, in un'altra reverenza, «avete ragione, sono spiacente... Fred» si scusò, ma quando Frederick lo superò del tutto concentrato a seguire il richiamo di quella melodia, guardò torvo il compare che se la sghignazzava silenziosamente: «Perché devi far sempre parlare me, Lou?».

Era strano che Frederick non notasse i dettagli. Era proprio il tipo di persona da esserne assolutamente attratto, più di tutto il contesto. Ma in quel momento, il particolare richiamo della musica lo attraeva più di qualsiasi altro pretesto fosse disponibile sotto i suoi occhi ambrati. Superò la prima stanza e senza attendere che uno dei due ragazzi o Lucas, al suo seguito, aprisse la porta successiva per farlo avanzare, lo fece da sé.

Fu come alzare il volume. Quella melodia era incalzante come il vibrare delle corde di un violoncello. Solitamente in quel tipo di serate, la piccola orchestra occupava uno solo dei quattro angoli. Facevano d'accompagnamento, ma erano sempre presenti. Perché per Frederick la musica, quella buona, era una presenza imprescindibile. Chi doveva conoscerlo più di chiunque altra persona al mondo, per quella sera, aveva deciso che dovesse essere, invece, non solo imprescindibilmente presente, bensì la sola protagonista. I musicisti presenziavano al centro della sala: era stato meticolosamente ricostruito lo scheletro di un gazebo che li riuniva come se avessero per sé un piccolo palcoscenico. Frederick li osservò per qualche lungo istante, stupefatto e senza parole. C'erano Joshua, il percussionista, che batteva ritmicamente su un enorme tamburo, Tyler, che con la voce ricreava i suoni morbidi e sinuosi della melodia che aveva quasi ipnotizzato il marchese, e un pianoforte che nessuno stava suonando.

Era chiaro che la sorpresa non si limitasse a questo, ma i preamboli per essere qualcosa di spettacolare c'erano tutti. Quando realizzò che quello fosse solo l'inizio, si guardò attorno e lo vide: Jaycob sorrideva ed era come un sole durante l'eclissi, meravigliosamente affascinante. Frederick si sentì accecato, poi si rese conto di star sorridendogli, con la stessa forza d'animo, in risposta. Gli occhi di Jaycob brillavano di luce propria e la dicevano lunga su quanto avesse in programma di fare. Frederick lo vide avvicinarsi al pianoforte e quando si sedette compostamente, Tyler e Joshua smisero di suonare e cantare, come dovevano essere d'accordo. In molti udirono il modo in cui si schiarì la voce mentre si preparava a suonare lo strumento davanti a sé, scrocchiandosi le dita. Joshua, uno dei ragazzi della servitù che in quell'ala cambiava totalmente il proprio ruolo scese dal piccolo palcoscenico e gli indicò una poltrona in cui Fred poté sedersi per assistere allo spettacolo.

Fatta eccezione per lo scheletro di quel gazebo, l'arredamento era stato mantenuto originale: quando aveva deciso di prendere in mano quell'ala e costruirci il suo sogno, aveva scelto ogni dettaglio con minuziosità, traendo, in incognito, pareri e consigli anche da diversi occhi femminili, per rendere tutto il più elegante possibile. Le poltrone e i divanetti erano in legno d'abete, rivestiti con cuscini di un verde chiaro e fantasie regali. Gli innumerevoli tavoli, posizionati in quella camera e anche nelle altre, erano tutti lavorati con rifiniture che designavano la classe di chi le aveva costruite. Sulle pareti di tutta la casa vi erano i quadri migliori che la sua famiglia possedeva da anni, ma lì, dove non ce ne era nemmeno uno, erano state posizionate delle vetrine per esporre rarissimi oggetti di valore, della sua personalissima collezione. Se poteva dirsi orgoglioso di qualcosa, benché non lo potesse affermare con chiunque, Frederick avrebbe sicuramente parlato di quel posto.

Tyler, la bellissima voce che aveva sentito fino a pochi momenti prima, si spostò al violoncello e dopo uno sguardo di intesa con Jaycob, iniziarono la seconda fase della sorpresa per il marchese.

Violoncello e pianoforte. Frederick non ebbe bisogno di molto tempo per rievocare il ricordo di qualche anno addietro, in Germania, a Mannheim, dove avevano potuto presenziare alla presentazione della sonata che ora Jaycob e Tyler stavano riproponendogli.

Brahms era il compositore e la melodia scelta per l'occasione, invece, la Sonata in mi minore opus 38, a oggi conosciuta come la sonata pastorale. Sorrise sagacemente, sforzandosi anche un po' per non commuoversi.

Comprese, rievocando una vecchia chiacchierata, perché Jaycob avesse scelto di suonare proprio quella per l'occasione.

«Cosa ne pensi del concerto appena finito, Jay?» gli aveva chiesto all'epoca, ancora scosso dall'emozione. Jaycob non era un esperto, ma sicuramente poteva considerarsi un appassionato. Lo erano entrambi, per questo avevano convinto il duca a fare un viaggio tanto lungo soltanto per poter assistere alla prima di Brahms.

Erano nella carrozza, di ritorno nel lussuoso alloggio dove avrebbero dormito prima della lunga ripartenza verso casa, l'indomani. Tuttavia, entrambi erano certi che la serata non stesse per terminare. Archibald era con loro, mentre il duca come d'abitudine viaggiava da solo, e subito prese parola come se Fred avesse interpellato anche lui.

«Allegro ma non troppo» ironizzò. Fred sorrise, mentre Jaycob, pensoso, lo guardava semplicemente assottigliando lo sguardo.

«Non credo che tu sia del tutto in errore» convenne con il sarcasmo di Archie. Poi guardò dritto davanti a sé, dove sedeva il marchese: «Era chiarissimo l'omaggio a Bach. Credo che alcuni movimenti fossero basati su alcuni contrappunti, ma ora non mi sovvengono precisamente quali, dell'Arte della fuga. Non trovi?»

Frederick annuì. «L'omaggio era chiarissimo. Peccato che il pubblico non fosse dei più esperti. Ho visto tante facce annoiate, stasera».

«Il duca si è fatto un bel pisolino, avete notato?» incalzò nuovamente Archibald. Frederick alzò gli occhi al cielo, quasi vergognandosi di avere un legame con un uomo così poco affine a una arte eccelsa come quella. Jaycob si coprì il volto con una mano, nascondendo un sorriso divertito.

«Non so se fosse per la fortuna di poter partecipare a una prima di Bramhs, ma io ero molto emozionato» commentò infine Jaycob. Fred sorrise mentre gli leggeva nello sguardo quanto gli fosse riconoscente per averlo portato con lui in quell'incredibile viaggio in Germania.

«Mi sono emozionato anche io, invero. L'unione del pianoforte con il violoncello e l'importanza data a quest'ultimo piuttosto che al pianoforte mi ha sorpreso. Ma più di tutto, mi sono emozionato per ciò che ho provato mentre ascoltavo. Come se una profonda melanconia avesse invaso le mie viscere. Non so come spiegarmi meglio, ma se dovessi eseguire questa sonata, un giorno, lo farei per qualcuno che mi è mancato tantissimo».

A metà della interpretazione, Fred e Jaycob si scambiarono uno sguardo che valse più di un ricordo. A quel punto, sebbene se lo fossero già confessati nel cortile, al suo arrivo, non ebbe dubbi che la mancanza provata in quel lungo mese a Eastbourne fosse stata patita nel medesimo modo da entrambi, ma Jaycob aveva sempre la delicatezza di dimostrarglielo nel modo più commovente.

Alzandosi in piedi, alla fine dell'esecuzione, Frederick camminò verso il palcoscenico mentre gli applaudiva. Jaycob si dimostrò subito in una posizione imbarazzata, con una mano dietro la nuca e un sorrisetto diverso dai suoi soliti. Frederick strinse, inizialmente, la mano a Tyler, congratulandosi con lui e ringraziandolo.

Tyler aveva un altro modo di dimostrare l'imbarazzo nell'essersi esibito davanti al proprio padrone e, dopo la stretta di mano, si inchinò leggermente per ringraziarlo.

«Spero di essere stato all'altezza. Jaycob ha preso molto a cuore l'idea di eseguire questa sonata al vostro ritorno e abbiamo lavorato duramente, in queste ultime settimane».

«Non avevo idea di quanto fossi bravo al violoncello, Tyler! Sei stato sublime, lo siete stati entrambi, oh cielo!» replicò Fred, stringendogli velocemente le spalle. Poi, incapace di trattenersi oltre, si voltò verso Jaycob e gli regalò nuovamente uno dei sorrisi più ampi che avesse a disposizione.

«Oh JJ, che duro colpo hai appena inflitto al mio povero cuore! Volevi forse farmi piangere?» si burlò di lui, mentre lo abbracciava d'impeto. Jaycob ridacchiò sulla sua spalla, per poi guardarlo dritto negli occhi prima di rispondergli: «Ci sono riuscito?» lo provocò. Gli occhi erano lucidi per l'emozione. Quelli di entrambi.

Nel frattempo, Joshua si era avvicinato al gruppetto per congratularsi con quello che era suo fratello minore, di poco più di un anno. «Ne è valsa tutta la fatica, fratellino!»

Tyler e Joshua era sempre stati inseparabili, fin da bambini, probabilmente grazie alla poca differenza d'età fra i due. Divenuti entrambi adolescenti, per sostentare alle spese di una famiglia povera ma numerosa, i genitori avevano inviato entrambi a servizio della famiglia Cavendish, Cresciuti umilmente e poi istruiti grazie alla possibilità di vivere all'interno di una famiglia aristocratica, non avevano mai dato modo di apparire come un impiccio o un problema. Tyler spesso dava una mano nella stalla, benché avesse a cuore in particolar modo i giardini di Holker Hall; mentre Joshua aveva subito dimostrato la sua propensione ai mestieri in cucina, diventando quasi subito il braccio destro del cuoco. Ciò nonostante, la loro vera passione era la musica. Come avevano appena dato prova, avevano basi classiche, e questo grazie anche a Frederick che, fin dal loro arrivo, li aveva presi sotto la sua ala e aveva permesso di studiare e praticare la musica come qualsiasi gentiluomo che, a differenza loro, per diritto di nascita, non aveva bisogno di alcuna concessione. E non aveva fatto soltanto questo: se potevano essere considerati artisti - e Frederick era il primo a crederli tali - era soprattutto perché aveva concesso loro la libertà di trasgredire alle regole, di mettere da parte le basi classiche della musica, e concedersi il lusso di improvvisare e creare del nuovo. Avevano una spiccata originalità nel saperlo fare: creando un tipo di musica che non aveva ancora neppure un genere in cui catalogarla. Un tipo di musica che soltanto chi frequentava quella parte della casa aveva modo di conoscere. La fortuna, quindi, non era soltanto loro ma anche di coloro che li ascoltavano nel vero e proprio atto di creazione.

Frederick prese fiato. Avrebbe potuto continuare a far dell'ironia, ma dopo un gesto tanto commovente, optò con l'essere sincero. «Sieti riusciti a spazzare via tutte le nuvole che al momento minacciavano una terribile tempesta sulla testa dell'uomo che avete di fronte!».

Jaycob si accigliò. «Che è successo?» domandò spaesato, in un primo momento. Poi dovette aver ricordato della conversazione avuta col duca e sgranò gli occhi: «Di cosa hai discusso con lo zio?»

Quella domanda attirò l'attenzione di chi li circondava e anche di Archibald che, da una delle stanze alle spalle del gazebo, era apparso in un completo da sera molto elegante.

Frederick si sentì osservato, ma non fu questo il motivo per cui decise di non rispondere a quella domanda. Ripensò a quello che Jaycob aveva organizzato per lui in quelle settimane, soltanto con l'idea di compiacerlo, e gli venne meno il desiderio di raccontare quanto gli fosse accaduto col padre. Non era il momento, lo avrebbe fatto il giorno dopo. Da una parte, non volle nemmeno rovinarsi nuovamente l'umore, ora che era stato rallegrato con quella deliziosa festa in suo onore.

«Allora Fred, hai gradito la sorpresa di tuo cugino?» incalzò Archibald circondandogli con un braccio le spalle. Per riuscirci, dovette di slancio alzarsi sulle punte dei piedi. Jaycob non smise di guardarlo e attendere una risposta dal marchese che, dopo aver annuito all'amico, decise finalmente di farlo: «Con lo zio abbiamo parlato di affari e mi ha sfiancato più di quanto già non fossi per via del viaggio. Ma tu, cugino, con questa meravigliosa sorpresa mi hai risvegliato completamente!» lo ringraziò.

«Ottimo, allora! Perché non è finita qui, cosa credevi che ci fosse solo questa melensa dichiarazione di tuo cugino?»

«Melensa dichiarazione? Ma cosa ti sei bevuto, Archie, mentre aspettavi nell'altra stanza? Tra l'altro, non eravamo rimasti che dovevi rimanere di là?»

«Shsh, ora è il turno del migliore amico» lo zittì scherzosamente Archibald, sorridendo poi al marchese e indicandogli la strada da compiere per proseguire con la sorpresa.

Frederick guardò Jaycob e fece spallucce, poi seguì l'altro ragazzo che invece di camminare sembrava, baldanzoso, danzare in direzione di una delle quattro porte presenti dietro il piccolo palcoscenico.

Da quella prima stanza, in cui era stato allestito quel concerto, si procedeva verso le altre: e questa era l'ala di gioco.



---------

Frederick. Tocca a lui. Chi l'avrebbe mai detto? Beh, non era difficile credere che fosse lui il prossimo, visto come si concludeva il capitolo di Angie.

Questa prima parte introduce tantissime cose, la più visibile è l'ala ovest di Holker Hall, che Frederick ha segretamente organizzato per essere una vera e propria "casa" da gioco. Intrigante, no? Sarà parte fondamentale di tutta la storia e non vedevo l'ora di mostrarvela!

Le altre "introduzioni" ci tengo particolarmente a lasciarvele intuire da voi.

Ah, vi consiglio di ascoltare la sonata di Brahms perché mi ha particolarmente ispirato mentre scrivevo quella scena.

Ma parlando di cose serie: cosa avrà organizzato Archibald? Vi anticipo già da ora che è tutto il contrario di ciò che ha preparato Jaycob. Quei due mi manderanno ai pazzi!

Ci tenevo a ringraziare tutti coloro che hanno letto e commentato i primi tre capitoli di questa storia: ogni consiglio è stato prezioso, tanto quanto ogni complimento mi ha dato la forza di continuare a credere in questo progetto! Grazie davvero di cuore!

Al prossimo aggiornamento!

Continue Reading

You'll Also Like

Oro Profondo By M. F. Obinu

Historical Fiction

142 25 2
Adam Cox ha vent'anni e ha perso tutto. Il giorno prima che potesse iscriversi all'università per diventare un astronomo come ha sempre sognato, suo...
14K 1.1K 30
6 Novembre 1883. È notte ormai, e Harvey Connor torna a casa dal lavoro, stretto nel suo cappotto rattoppato. Osserva le villette dei nobili nella pe...
13K 1.6K 64
Il sipario si alza su un piccolo paese della pianura veneta. L'anno 1911 apre il primo capitolo. L'immaginario obiettivo inquadra una tipica casa di...
11.2K 403 22
Harry e Louis/con accenni Ziam/ war!AU/ EnemiestoLovers/ Totale: 90k parole 1588 Una regina che deve proteggere il proprio regno. Un figlio illegitt...