My dream come true

Captainwithoutasoul

22.9K 974 310

Le uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arr... Еще

Premessa
Personaggi & Trailer
Il maneggio di Michele
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
È la fine?
Missing Moment - Il compleanno di Sarah

Capitolo 25

390 11 5
Captainwithoutasoul

Beth mi aspettava all'ingresso della fattoria.

Mi venne incontro a capo chino, l'aspetto trasandato che per un attimo non me la fece neanche riconoscere. I vestiti erano tutti spiegazzati, i capelli biondi scarmigliati e, quando infine alzò gli occhi su di me, vidi che erano gonfi ed iniettati di sangue. Era l'aspetto di chi non dormiva da giorni e nel vederla in quello stato mi salì un groppo alla gola.

La donna percorse a passo svelto i pochi metri che la separavano da me e mi abbracciò stretta. Sul momento trasalii, ma non opposi alcuna resistenza e lentamente le restituii l'abbraccio, percependo la tensione sciogliersi pian piano e le lacrime minacciare di uscire. Beth era poco più di una sconosciuta per me, ma Tramontana ci aveva indissolubilmente legate. Entrambe avevamo condiviso il suo affetto, entrambe avevamo potuto renderci conto di quanto quella cavallina fosse speciale.

Senza dire una parola, la donna mi condusse attraverso l'interno della fattoria. Non c'era imbarazzo fra di noi, ma sembrava avessimo stretto un tacito accordo sul fatto che quel silenzio fosse quasi d'obbligo. Muovere un piede dopo l'altro per stare al suo passo, in ogni caso, si rivelò un'impresa più difficile del previsto: le gambe non mi obbedivano e sembravano sapere con esattezza cosa ci attendeva dall'altro lato dell'edificio. Tenevo gli occhi bassi, fissi sugli stivali, mentre il sole filtrava attraverso gli infissi di legno e proiettava lunghe ombre che si muovevano come onde sul pavimento.

Quando infine uscimmo all'aperto, la luce del sole ci colpì in pieno, facendomi stringere i denti. Beth si schermò gli occhi con la mano e mi indicò il recinto sulla destra.

Tramontana era lì.

Dalla posizione, però, sarebbe potuta anche essere un sacchetto nero dell'immondizia.

La mia cavallina giaceva immobile sull'erba, ripiegata su se stessa, con le mosche che le ronzavano intorno e la testa appoggiata sulle zampe anteriori. Notai che una di esse era coperta da un'ingente fasciatura bianca, che scintillava sotto i raggi del sole al punto che fui costretta a distogliere lo sguardo.

Gretta, la madre, pascolava poco lontano da lei, agitando la coda per scacciare le mosche, quel gesto così naturale per i cavalli che Tramontana non aveva più la forza di compiere. Di tanto in tanto la cavalla si avvicinava all'altra e la studiava con le orecchie dritte, come chiedendosi perché la figlia si stesse comportando in modo così bizzarro.

Nel vederla in quello stato, mi sfuggì un singhiozzo e non mi preoccupai di nasconderlo. Lanciandole un'occhiata di sottecchi, vidi che anche Beth stava piangendo, le guance rigate di lacrime.

Nei due giorni che avevo passato in ospedale, ancorata a quel letto, non avevo fatto altro che pensare a Tramontana. 

Il medico era stato di parola e, dato che dai controlli non era saltata fuori alcuna problematica, ero stata dimessa piuttosto rapidamente, ma quella notizia era niente in confronto alla telefonata che avevo ricevuto da Michele per dirmi che Tramontana era sopravvissuta. Da quel momento, se possibile, il pensiero della cavallina si era fatto ancora più ossessivo e contavo i minuti che mancavano al giorno in cui sarei finalmente potuta andare da Beth a trovarla. Ma, sebbene Michele mi avesse avvertito, mi avesse detto di non farmi illusioni, non ero assolutamente pronta per quello.

Fu un calcio nello stomaco. Quell'involucro senza forze, che cuoceva sotto i raggi del sole come una carcassa, era una visione che mi prendeva la gola e mi toglieva il respiro. E d'altronde, cosa mi aspettavo? Che mi sarebbe venuta incontro al galoppo, con quella vitalità che aveva sempre posseduto? No, sapevo che si era fratturata una zampa e non sarebbe mai più tornata a camminare normalmente. Pensavo però che si sarebbe avvicinata zoppicando, saltellando su tre zampe, oppure che sarebbe rimasta immobile, ma che mi avrebbe guardato e nitrito. Invece niente. La fissai con gli occhi pieni di lacrime. Avrei accettato qualsiasi manifestazione di saluto, qualsiasi. Invece sembrava che la volontà di vivere avesse del tutto abbandonato Tramontana, lasciando solo un inerme guscio vuoto.

Beth mi posò una mano sulla spalla. Parlò con voce inaspettatamente chiara, malgrado il pianto, e non feci neanche caso a tutti quegli errori di pronuncia, che di solito trovavo così spassosi. Ero troppo concentrata a riflettere sulle sue parole, dolorose come coltellate. Disse ciò che Michele mi aveva già anticipato al telefono e, per la seconda volta, mi salirono le lacrime agli occhi senza che potessi fare nulla.

"Beth ha intenzione di abbatterla, Sarah. Vuole che tu decida insieme a lei, dopo averla vista, ma dice che sarai d'accordo. Sa che le vuoi troppo bene per vederla in quello stato. È apatica. Non si muove da tre giorni, non mangia e non beve. È come se avesse perso la voglia di vivere."

Continuai a fissare la cavallina, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Fin dall'inizio ero decisa a combattere la decisione di Beth, pensando che avrei potuto trovare una soluzione all'inevitabile. Ma nel fissare quel corpo la cui anima era già morta, seppi che opporsi sarebbe stato sciocco ed egoista. Eppure...

Mi liberai dalla stretta di Beth e avanzai di qualche passo sull'erba, con le gambe che mi tremavano. Volevo dirle addio e, realizzai mentre la osservavo sonnecchiare sull'erba ad occhi chiusi, come fosse già morta, volevo che mi guardasse un'ultima volta.

Continuai a camminare, il passo che si faceva più sicuro ad ogni metro. 

Lei non si era neanche accorta della mia presenza. No, dovevo attirare la sua attenzione, farle sapere che nulla era perduto, che non poteva arrendersi così facilmente. Perché non gliel'avrei permesso.

Scattai in avanti e mi issai sulla staccionata, il corpo proteso verso le cavalle dall'altra estremità del recinto.

«Tramontana!» gridai, con tutto il fiato che avevo in corpo. «TRAMONTANA!»

Gretta alzò il capo verso di me, bloccandosi dal brucare.

Anche il sacco informe abbandonato sull'erba alzò lentamente la testa nella mia direzione e drizzò le orecchie, l'unico segnale che si trattava di cosa viva. Il mio cuore perse un battito. Gli occhi fissi su di me, un'espressione sofferente sul muso nero che mi lacerava, Tramontana nitrì debolmente.

Stavo per scoppiare di nuovo in lacrime per l'emozione, ma qualcosa mi fermò.

Qualcosa per cui né io né Beth eravamo assolutamente preparate.

Osservai Tramontana sollevare il collo con un gemito e puntellarsi sui posteriori. Come se lottasse contro una forza che la ancorava al terreno, Tramontana emise un altro lamento e con un ultimo, decisivo sforzo si issò in piedi. Si reggeva su tre zampe, l'anteriore sinistro fasciato sollevato da terra, e mi fissava. Rimasi a bocca aperta. Era in piedi.

Udii un tonfo dietro di me e mi voltai di scatto. Beth era crollata in ginocchio sull'erba, lo sguardo fisso sulla sua cavalla, gli occhi pieni di lacrime.

Non ci vidi più. Scavalcai la staccionata con un balzo e corsi verso Tramontana, il vento che mi pungeva il volto e mi scompigliava i capelli da tutte le parti. Se Michele fosse stato lì, mi avrebbe rimproverata dicendo che non si corre verso i cavalli, che si rischia di spaventarli... 

Al diavolo.

Tramontana sembrava non aspettare altro che le andassi incontro. Vedevo cos'aveva intenzione di fare, ma non potevo permettere che azzardasse un passo verso di me, con la zampa in quelle condizioni. Corsi ancora più veloce, divorando i pochi metri di prato che ormai mi separavano da lei, e le gettai le braccia al collo.

Sprofondai con il viso nella sua criniera, stringendola così forte che pochi attimi dopo la cavallina scosse la testa con evidente fastidio.

«Scusa, scusa» mormorai, le risate che si mescolavano alle lacrime, mentre le mie mani accarezzavano il suo muso morbido, percorrendo ogni linea della testa, come per assicurarsi che fosse proprio lei, in carne ed ossa. 

No, non potevo perderla. Ero pronta a dirle addio se non ci fosse stato nient'altro da fare ma, se Tramontana avesse trovato dentro di sé anche solo un briciolo di forza per continuare a lottare, io non l'avrei abbandonata. Mai.

«It's a miracle.» Beth, che mi aveva raggiunta, parlava piano, come tra sé.

Le sue mani tremanti afferrarono i crini di Tramontana e la strinsero come se non volessero più lasciarla andare. Poi la donna si voltò a guardarmi, il corpo ancora squassato dai singhiozzi, gli occhi lucidi.

«La puoi aiutare?» chiese piano.

«Posso provarci» risposi.

Tramontana mi strofinò il muso sulla spalla e sbuffò, il suo respiro caldo che mi provocava brividi sulla pelle. Ripensai a tutta la strada che avevamo fatto insieme, specialmente nell'ultimo periodo, e la lasciai andare a malincuore. Non avremmo più continuato in quella direzione. Inutile farsi illusioni, nella migliore delle ipotesi Tramontana non sarebbe comunque mai più tornata a fare la vita di un tempo e difficilmente qualcuno l'avrebbe più potuta cavalcare. Ma, se solo avesse voluto, aveva ancora così tanto da dare. Era una forza della natura, come il vento impetuoso da cui aveva preso il nome. Ripensai all'allegria che mi metteva quando correva in paddock e di colpo mi tornò in mente lei, separata da Killer, che nitriva disperata come se l'avessero privata di un arto. A Killer che faceva lo stesso.

Mi voltai verso Beth, che mi fissava speranzosa.

«Ho un'idea» dissi, gli occhi fissi nei suoi.


I miei erano da poco usciti di casa per andare a fare la spesa, quel pomeriggio, quando bussarono alla porta.

Non era la prima volta che uno dei due si dimenticava il portafogli e/o la lista della spesa a casa, così urlai un "Arrivo!" da camera mia e scattai giù per le scale, diretta alla porta.

«Siete davvero incred...»

Aprii la porta, ma sulla soglia non c'erano i miei genitori. C'era Michele.

«Ciao» esclamai, il mio cuore che perdeva un battito.

«Ehi» mi salutò lui, sorridendo. 

Dopo un attimo di esitazione, si chinò per darmi un bacio a fior di labbra.

Quando si staccò da me, ero troppo destabilizzata per fare o dire qualsiasi cosa e mi limitai a fissarlo interdetta, sbattendo le palpebre. 

Mi ci abituerò mai?

«Allora, non mi inviti ad entrare?» mormorò lui dopo un momento, appoggiandosi allo stipite della porta e lanciando un'occhiata all'interno della casa.

Mi rinvenni, dandomi dell'idiota. 

«Certo, scusa» bofonchiai, facendomi da parte per farlo entrare. «Ti va un caffè?» aggiunsi, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e appendevo all'attaccapanni il gilet che lui mi aveva porto.

Michele si aggirava tranquillo per l'ingresso, le mani nelle tasche dei jeans, apparentemente del tutto a suo agio in quella situazione. A me invece faceva così strano vedere il mio istruttore, il mio ragazzo, quel che era, aggirarsi per casa mia invece che sulla sabbia del campo grande, e non avevo idea di come comportarmi.

«Sì grazie, volentieri» rispose lui, voltandosi verso di me. «Sei sola?»

Annuii, un po' a disagio, chiedendomi cosa sarebbe successo se i miei fossero stati in casa. Michele gli avrebbe detto di noi? Deglutendo a vuoto, gli feci strada in direzione della cucina, dove lui si accomodò a tavola, mentre io mi davo da fare per preparare la moka.

«Allora, come stai?» proruppe lui. 

Era la prima volta che ci vedevamo da quando mi ero risvegliata in ospedale, nonostante ci fossimo sentiti quasi ogni giorno al telefono.

Ero indecisa su cosa rispondergli e, dato che gli stavo dando le spalle, non poteva vedere la mia espressione abbacchiata, ma tanto sapevo che l'avrebbe indovinata comunque.

«Di salute, bene» mormorai infine. Meglio partire larghi. «Per il resto... insomma.» Dopo una pausa, aggiunsi: «Stamattina sono stata a trovare Tramontana.»

Michele non disse nulla e mi venne spontaneo colmare quel silenzio.

«Beth è stata molto gentile. Mich, vedessi com'è distrutta. Mi sono sentita un mostro.»

«Sarah, non è...» incominciò lui, ma lo interruppi, alzando le spalle.

«Lo so, lo so. Non è colpa mia. Ma mi sento comunque in parte responsabile per quello che è successo.»

Misi la caffettiera sul fornello e mi voltai per fronteggiarlo, poggiata contro il banco della cucina, aspettandomi che contro ribattesse alla mia affermazione.

«Beth la tiene in box?» mi domandò invece lui, incontrando il mio sguardo di sfida con un'espressione conciliante.

Scossi la testa. «Forse dovrebbe, ma preferisce tenerla al prato insieme alla mamma. Tanto non c'è pericolo che si muova.» 

La voce mi s'incrinò alla fine della frase e mi portai una mano al volto, artigliandomi le guance con le unghie al ricordo della cavallina immobile sull'erba, come morta.

Avevo abbassato lo sguardo sul pavimento, imponendomi di non piangere e, quando lo sollevai di nuovo verso Michele, vidi che lui mi fissava. Contro ogni previsione, lui stava sorridendo.

«Eppure si è alzata in piedi, quando ti ha vista» disse lui, prima che avessi il tempo di dire qualsiasi cosa.

Sgranai gli occhi. «E tu come...?» mormorai, incredula, prima di fare due più due. 

Beth.

«Beth mi ha chiamato subito dopo che te n'eri andata» spiegò infatti lui. «Era commossa. Sono giorni che tenta di farla alzare, poi arrivi tu... te ne rendi conto, Sarah?»

Gli occhi gli brillavano di speranza mentre mi fissava, così intensamente che sentii risvegliarsi il consueto branco di cavalli selvaggi, che ormai doveva aver scelto il mio stomaco come fissa dimora. Di fronte a quello sguardo, così sicuro e fiducioso, mi ritrovai a sorridere anch'io senza rendermene conto.

«Forse c'è una speranza» mormorai piano. 

Ripensai all'idea che aveva fatto capolino nella mia mente mentre accarezzavo la cavallina morella e rivolsi a Michele uno sguardo esitante.

«Stavo pensando che... forse potrei portare Killer da lei. Ultimamente andavano veramente d'accordo e penso che la sua presenza la possa aiutare.»

Michele annuì. «Sì. Mi sembra un'ottima idea.» Poi parve esitare e lo rincorsi con gli occhi, vedendo che aveva evitato il mio sguardo per un momento. «A proposito di Killer...»

«Sta bene?» esclamai, all'erta. 

Non poteva essere successo qualcosa anche a lui, non avrei retto. Eppure, perché venire a trovarmi, altrimenti? Davo per scontato che, dopo quello che era successo tra noi, Michele volesse salutarmi, ma se invece fosse venuto con uno scopo ben preciso in mente?

«Sta bene» si affrettò a dire lui, vedendomi così in ansia, e abbozzò un sorriso.

Tirai un sospiro di sollievo, mentre i miei pensieri ansiosi si dissolvevano come fumo.

«È che...» 

Ancora una volta evitò il mio sguardo, come se non sapesse bene come formulare quel che aveva in mente. 

«..non so se è il momento adatto, visto tutto quello che ti è successo di recente.» Prese un grosso respiro e disse, tutto d'un fiato: «Siamo stati contattati da una giornalista.»

«Una giornalista?» ripetei, inarcando le sopracciglia. 

In quel momento la moka si mise a borbottare ed io mi affrettai a toglierla dal fuoco. Mentre arraffavo due tazzine e dello zucchero dallo scaffale, cercai di pensare ad una motivazione sensata sul perché una giornalista si fosse messa in contatto con Michele.

«Come mai?» domandai infine, non trovandone, mentre raggiungevo Michele a tavola.

Lui increspò le labbra. «Era interessata alla storia di Killer. Deve essere venuta a sapere di noi alla gara, perché è lì che mi ha avvicinato.»

Aggrottai la fronte. Mi ricordai improvvisamente dell'elegante donna con il taccuino che stava parlando con Michele, mentre noi eravamo di ritorno dalla registrazione. Descrissi il suo aspetto al ragazzo e lui annuì, confermandomi che si trattava proprio di lei.

«Era in cerca di una storia con un lieto fine» spiegò Michele con un'alzata di spalle. 

Difficile capire se considerasse quella giornalista una cosa positiva oppure una scocciatura. 

«Killer era destinato al macello, no?» mi ricordò lui con un'occhiata eloquente, servendosi il caffè.

Annuii piano. Era da un sacco di tempo che non pensavo più al destino cui Killer – allora Glory – sarebbe andato incontro se noi, o meglio Benedetta, non si fosse impuntata.

«È rimasta colpita dalla nostra scelta di tenerlo e rieducarlo. In particolare, dal tipo di approccio non coercitivo che abbiamo scelto di usare con lui e del ruolo che tu hai avuto nella vicenda.»

Mi bloccai dal girare il cucchiaino da zucchero nella tazzina. 

«Io?» ripetei, alzando gli occhi.

Michele sorrise, l'aria vagamente divertita. «Be', ti ricordo che sei tu che te ne occupi»

Sbattei le palpebre un paio di volte, cercando di registrare quell'informazione. Una giornalista voleva intervistare me?

«Non solo avrebbe voluto intervistarti per un servizio» fece Michele, come leggendomi nel pensiero, «ma anche assistere a una dimostrazione.»

Continuai a fissare il ragazzo come in trance. Michele intanto, continuava a parlare.

«Certo, io aspettavo di parlarne con te, ma non avevo nulla in contrario. Anzi, credevo sarebbe stata un'ottima occasione per mostrare alle ragazze, magari anche ai tuoi genitori, i frutti del lavoro con Killer. Solo che, dopo tutto quello che è successo...» Si bloccò, sospirando. «...insomma, capirei se tu non ne avessi voglia, al momento.»

Abbassai lo sguardo sul tavolo, cercando di metabolizzare quella notizia. La mia mente correva veloce. Onestamente no, non avevo voglia di mettermi in mostra davanti a tutti come un animale da circo: avrei preferito tornare alla routine del maneggio e del lavoro con Killer con tutt'altra modalità. Niente pubblico, niente fretta, soprattutto dopo quello che era successo con Tramontana. Quell'intervista, d'altronde, era un'occasione irripetibile, non tanto per me quanto per Michele stesso. Mi ricordai all'improvviso che il ragazzo non aveva parlato solo di un'intervista, ma di un servizio.

«Si tratta di un servizio televisivo?» chiesi, drizzando le antenne.

Michele si fece pensieroso. «Sì. Ha detto di lavorare per...» Dopo una pausa, mi fece il nome di quello che era probabilmente l'ente televisivo equestre più famoso d'Italia.

«Michele!» esclamai, a bocca aperta, mentre lui mi fissava confuso. «Ma ti rendi conto? Sarebbe un'enorme pubblicità per il maneggio!»

L'istruttore abbozzò un sorriso. «In effetti... sì. Non ci avevo pensato.»

Scossi la testa. Non potevo credere che Michele non avesse neanche preso in considerazione quell'aspetto. 

«Oltre al fatto che potremmo promuovere il tuo approccio! Potremmo fare aprire gli occhi ad un sacco di persone!»

Pensai alle prese in giro dei colleghi di Michele, alle occhiate scettiche rivolte alla bitless che avevo messo a Tramontana il giorno della gara, e vidi davanti a me un disegno perfetto, mentre parlavo a ruota libera. Ero talmente infervorata che Michele dovette urlare per interrompermi.

«Sarah, calmati!» gridò, trattenendo a stento le risate. «Allora le dico di sì?»

Lo fissai, serissima in volto. «Scherzi? Ovviamente sì!»

****

«Allora? Eh? Sei pronta?»

Deborah mi saltellava intorno, apparentemente più eccitata di me, facendo tremare le assi di legno della veranda del Club House.

Lanciai una muta richiesta d'aiuto a Sofia e la ragazza, scoppiando a ridere, si affrettò ad allontanare Debs da me, che cercò di divincolarsi dalla sua stretta a suon di strilli.

Mi guardai attorno nel vasto cortile, una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi faceva uno strano effetto tornare in maneggio, in cui non avevo più messo piede dall'ultimo giorno d'addestramento prima della gara: essere di nuovo lì, sapendo che Tramontana non sarebbe stata ad attendermi nel suo paddock come al solito, era una ferita aperta. Solo il pensiero che il giorno seguente, d'accordo con Michele e Beth, avrei portato Killer da lei, mi dava un po' di sollievo.

In quel momento, un improvviso rumore di voci e passi sul vialetto attirò la nostra attenzione. Voltandoci in quella direzione, vedemmo comparire la troupe al completo: una decina di uomini almeno, con delle enormi cineprese in spalla che mi parvero più adatte per il set di un film che per un servizio televisivo.

«Wow» mormorò Monica, dando voce ai miei pensieri, mentre osservavamo passare i tecnici a bocca aperta, gli occhi fissi sulle loro imponenti attrezzature.

Michele stava facendo loro strada verso il campo grande, mentre uno degli uomini si lamentava a voce alta del traffico che avevano incontrato lungo il tragitto.

«Eravamo a filmare dei surfisti in uno stabilimento balneare, prima, lo sa?» disse il cameraman all'istruttore, che finse un'espressione colpita. 

Malgrado le sue spiccate doti teatrali, lo conoscevo abbastanza bene per riconoscere quando stava fingendo, ma l'uomo non doveva essere altrettanto perspicace, oppure era solo in vena di chiacchiere. In ogni caso, riattaccò a parlare a tutto spiano e mi venne da ridere quando Michele, che continuava a fingersi estremamente interessato alla questione, ci lanciò un'occhiata disperata. 

La donna elegante che avevamo incontrato il giorno della gara li seguiva poco lontano, guardandosi intorno. Quel giorno indossava una tenuta un po' più informale, con una lunga coda di cavallo che le ondeggiava sulla schiena, ma il rumore dei tacchi sul selciato, che la precedeva di chilometri, era sempre il solito. Aveva tra mano un microfono e, quando ci vide sulla veranda, si distaccò ulteriormente dal resto del gruppo e ci venne incontro sorridendo.

«Chi di voi è Sarah?» domandò, scrutandoci con viva curiosità.

Feci per aprire bocca, ma mi accorsi le ragazze mi avevano già tutte indicato. Di fronte a quella scena, la donna scoppiò a ridere.

«Piacere di conoscerti» mormorò poi, porgendomi una mano. 

La strinsi, un po' titubante, studiando quegli occhi scuri. Il suo tono di voce esageratamente entusiasta suonava un po' artefatto, ma il suo sguardo, così come il suo sorriso, parevano sinceri.

«Piacere mio» risposi. 

Non potei fare a meno di notare che la sua stretta era ferrea.

«Non vedo l'ora di vederti in azione» proseguì lei, strizzandomi l'occhio. «E complimenti per il lavoro che stai facendo con Glory.»

«Killer» la corressi gentilmente e vidi la donna sussultare leggermente nell'udire il nome dell'animale. «Grazie» mi affrettai ad aggiungere, abbozzando un sorriso.

Lei sorrise a sua volta. «Pensavamo di registrare prima la dimostrazione e poi la tua intervista, se sei d'accordo.»

Annuii, scrollando le spalle. Era del tutto indifferente, solo che in quel caso avrei dovuto smettere di bighellonare con le altre e andare subito a preparare Killer.

«A tra poco, allora!» concluse lei. 

Ci salutò e tornò sul vialetto a passo veloce, cercando di raggiungere il resto della troupe, il ticchettio dei suoi tacchi che si faceva sempre più distante.

Le ragazze stavano commentando quell'apparizione, ma io non prestai loro ascolto. Ora che se n'era andata, una sottile ansia mi aveva assalita, al pensiero che quelle persone così professionali fossero lì proprio per me. Tutti sarebbero venuti a sapere della storia di Killer, tutti ci avrebbero visto lavorare. Il mio stomaco fece una capriola. Ne sarei stata all'altezza? Ma mi bastò spostare lo sguardo sulle ragazze, che mi guardavano fiduciose, perché la paura si attenuasse.

Rivolsi loro un sorriso grato. Non c'era stato giorno passato in ospedale in cui le tre non mi avessero chiamato a rotazione per avere notizie sul mio stato di salute e su quello di Tramontana, approfittandone poi per distrarmi un po', raccontandomi le ultime dal maneggio. Non essendo abituata a tutte quelle attenzioni, ben presto ne ero stata sopraffatta, ma non potevo negare che le loro telefonate non mi avessero fatto piacere. Non era stato affatto facile varcare di nuovo la soglia del maneggio, ma sapere di poter contare su di loro mi rincuorava un po'.

Mi resi conto che non avevo ancora detto loro nulla di Michele e, mentre le osservavo di sottecchi ridere e scherzare, mi chiesi come l'avrebbero presa.

«Hai bisogno d'aiuto con Killer?» chiese Sofia, indicando i box con lo sguardo.

Scossi la testa. «No, non ce n'è bisogno, tranquille.»

«Allora ci avviamo nel campo grande?» proruppe Deborah, scattando in piedi e saltando giù dalla veranda. «Dai, dai, dai!»

Le altre due si alzarono lentamente in piedi e Monica inarcò un sopracciglio, lanciandomi un'occhiata disperata. Sembrava non poterne più. 

«Ci vediamo nel campo» disse poi, sospirando divertita, mentre Deborah trascinava lei e Sofia lungo il sentiero.

Ridacchiando, mi avviai verso i box, dopo essere passata in selleria a prendere il beauty. Avevamo deciso di tenere Killer dentro per la notte ma, quando svoltai l'angolo, fui stupita di trovare niente meno che mia madre, piazzata davanti al box del baio.

«Mamma...?»

Mi bloccai bruscamente, ma non feci in tempo a chiederle spiegazioni perché, non appena sentì il suono della mia voce, Killer fece capolino dalla finestrella e nitrì. Mia madre, che non si aspettava quella reazione, fece istintivamente un passo indietro.

«Ciao bello» mormorai con affetto, facendomi vicina e trattenendomi a stento dallo strapazzargli il muso, sapendo che molto probabilmente mi avrebbe affibbiato un morso.

Poggiato il beauty a terra, afferrai la capezza e mi voltai verso mia madre, dal cui sguardo traboccante di stupore intuii che doveva essere rimasta colpita dal comportamento di Killer.

«Ti vuole bene» mormorò, stupita.

«Sì... a volte» replicai, vagamente divertita. «Che ci fai qui?» chiesi poi, mentre entravo nel box di Killer. 

Ero stata io ad invitare i miei ad assistere alla dimostrazione di quel giorno, ma li immaginavo già a sedere sulle panchine e a lamentarsi delle mosche, non di certo lì.

«Uno dei giornalisti mi ha fatto qualche domanda» rispose lei, in tono vago. «Qui» aggiunse, spaziando i box con lo sguardo.

«Ah» fu il mio unico commento. «E cosa ti ha chiesto?» aggiunsi, perplessa, mentre facevo uscire il cavallo. 

Dato che quella notte l'avevamo tenuto al coperto, c'era solo un po' di truciolo ad intaccare la lucentezza del suo mantello baio. Oltretutto dovevo soltanto pulirlo, perché lo avrei lavorato così, senza alcun finimento. Insieme a Michele, avevo organizzato una sessione in libertà simile alla prima che avevamo svolto nel campo grande. Lo avrei girato senza longia e poi avremmo giocato a rincorrerci nel campo, come era capitato spesso nelle ultime settimane.

«Voleva sapere cosa ne penso del fatto che monti un cavallo come Killer e... Oh, Dio» mi stava spiegando mia madre, che si interruppe di colpo quando il cavallo le sfilò accanto. 

Non mi sfuggì lo sguardo a metà tra l'intimorito e l'affascinato che rivolse al baio, che in quel momento stavo legando all'anello del box. 

Occupandomene tutti i giorni, io ormai ci avevo fatto l'abitudine, ma potevo immaginare che effetto facesse agli altri, con quella stazza gigantesca ma i movimenti aggraziati ed eleganti. Tutto il suo corpo esprimeva potenza e grazia al tempo stesso: vedendolo, difficilmente qualcuno avrebbe potuto pensare ad un passato per lui che non fosse glorioso. 

Sorrisi tra me e me, al pensiero che quel giorno le persone avrebbero finalmente visto Killer come noi lo vedevamo: non un cavallo pazzo con una brutta fama alle spalle, ma un animale piegato fin quasi a spezzarsi che nel nostro maneggio era rifiorito.

Persa nelle mie elucubrazioni, non mi ero resa conto che mia madre non aveva finito la frase. 

Mi sporsi verso di lei che, vedendo che la stavo fissando con una certa insistenza, si affrettò a dire: «Gli ho detto la verità, cioè che mi fido dell'istruttore. Michele sa sempre quello che fa.»

Sorrisi divertita notando che parlava a bassa voce, come per non disturbare Killer. Camminando in punta di piedi, si posizionò al fianco del baio, dal lato opposto al mio, il garrese dell'animale come una barriera tra di noi.

«È bellissimo» disse in un sussurro.

Annuii, sorridendole, prima di abbassarmi per prendere la striglia dal beauty, la mia mente che si era messa subito in moto. Mia madre era entrata spontaneamente in argomento: forse era l'occasione giusta per rivelarle quello che era successo tra me e Michele. Sapevo che probabilmente avrebbe perso tutta la stima che nutriva per lui, ma non volevo tenere nascosta la faccenda. Michele aveva ragione. Di primo acchito poteva sembrare l'opzione più facile, ma poi ci si sarebbe ritorta contro: era meglio mettere le cose in chiaro fin da subito e, se i miei non fossero stati d'accordo – com'era probabile che accadesse – li avremmo affrontati a viso aperto.

Era deciso. Facendo un respiro profondo, mi alzai in piedi, la striglia in mano, pronta a parlare, ma mia madre fu più rapida.

«A proposito di Michele...» proruppe lei, lasciando la frase in sospeso per un lungo attimo. 

Cavolo

Mi trattenni a stento dall'alzare gli occhi su di lei perché, qualsiasi cosa volesse dirmi, sapevo che il mio sguardo mi avrebbe tradita. Nascosta dal suo garrese, iniziai quindi a strigliare Killer come se nulla fosse, gli occhi fissi sulla brusca che disegnava cerchi concentrici sul suo mantello, mentre dentro di me morivo dalla voglia di sapere cos'aveva da dire.

«...Certo che è proprio un bel ragazzo, non trovi?»

Al diavolo le reazioni sospette. 

Alzai la testa e le piantai gli occhi in faccia, fulminandola con lo sguardo. «Mamma!»

Lei non replicò, limitandosi a guardarmi con l'aria di chi la sapeva lunga. Ben presto non riuscii più a sopportare il suo sguardo e ripresi a spazzolare Killer con insolita foga, tanto che il cavallo voltò la testa verso di me in segno d'avvertimento.

«Stai forse insinuando qualcosa?» borbottai poi, sempre evitando di guardarla, rompendo un silenzio che per me si stava facendo insopportabile.

«Io?» fece lei. 

Sembrava offesa dal fatto che avessi osato muoverle un'accusa simile. 

«No, no, facevo solo un'osservazione» disse. Dopo una pausa aggiunse, come se nulla fosse: «Ho solo notato come ti guarda, le due tazzine nel lavello di cucina, il gilet che ha dimenticato sull'attaccapanni di casa nostra...»

Mi bloccai dal passare la striglia su Killer e mi ritrovai di nuovo a fissarla, i suoi occhi divertiti che mi studiavano da sopra il garrese del baio. Parola dopo parola, ero diventata sempre più paonazza. Aveva davvero capito tutto?!

«I-io...» balbettai, presa in contropiede. 

Avrei dovuto essere io a rivelarle quello che stava succedendo con Michele e la possibilità che accadesse il contrario non mi aveva neanche minimamente sfiorata.

Lei non disse nulla. Dopo aver dato una timida carezza sul collo del baio, aggirò l'animale e mi si fece vicino, sfiorandomi i capelli con un gesto affettuoso. Fissava un punto oltre la mia spalla.

«Vi lascio soli» bisbigliò poi, allontanandosi a passo svelto, fino a scomparire dal mio campo visivo. 

Mi voltai di scatto e la vidi salutare Michele, che stava venendo nella mia direzione. Il ragazzo la salutò con un gran sorriso e poi mi rivolse uno sguardo emozionato.

«Allora? Sei pronta?» esclamò. 

Killer drizzò le orecchie al suono della sua voce.

Io continuavo a fissare mia madre, imbambolata. Non potevo credere alle mie orecchie. Aveva davvero capito che tra me e Michele c'era del tenero? Ma non mi aveva rincorso con un forcone né mi aveva dato della disgraziata. Ero senza parole, ma mi affrettai a riscuotermi quando vidi che Michele era in attesa di una risposta.

«Sì» risposi, accarezzando Killer lungo la groppa, brividi d'emozione al pensiero di quello che ci avrebbe atteso di lì a poco.

Lui sorrise e si sporse per grattare il baio dietro le orecchie. 

«Comportati bene, signorino» borbottò, con un tono serio e perentorio che mi fece scoppiare a ridere.

Dopo aver riposto la striglia, mi ero messa a pulire gli zoccoli Killer e tra di noi era calato un insolito silenzio. Decisi di approfittarne per raccontargli l'assurda conversazione appena avuta con mia madre.

«Devo dirti una cosa» esclamammo all'unisono. 

Mi voltai di scatto verso Michele, che mi fissava ugualmente esterrefatto, e scoppiammo a ridere.

«Prima tu» mormorai, sinceramente curiosa, lasciando andare lo zoccolo di Killer e voltandomi per studiare l'istruttore, che stava estraendo il telefono dalla tasca.

Per quanto cercasse di rimanere impassibile, lo vedevo fremere dall'emozione, tanto che le dita delle mani gli tremavano. Intuii che doveva trattarsi di qualcosa di grosso. Ma cosa poteva esserci di più grosso di una troupe di giornalisti venuti a condurre un servizio proprio nel suo maneggio?

«Ho riflettuto molto in questi giorni» disse lui piano, le dita tremanti che scorrevano sulla tastiera del telefono. «Aver assistito Tramontana dopo l'incidente, il desiderio di aiutarla di più... mi hanno fatto aprire gli occhi.»

Continuai a fissarlo, senza riuscire a capire dove volesse andare a parare. Dopo un lungo silenzio, lui alzò lo sguardo su di me e mi sventolò il cellulare davanti alla faccia, un sorriso emozionato che andava delineandosi sul suo volto.

«Ho appena ricevuto la mail di conferma. Sono ufficialmente iscritto al test di veterinaria.»

Spalancai la bocca, il nettapiedi che mi cadeva di mano e rimbalzava a terra.

«Non ci credo!» esclamai, facendo trasalire il povero Killer. «Sul serio?»

Lui annuì. Potevo vedere che, nonostante tentasse di trattenersi, aveva gli occhi lucidi e quasi non riuscivo ad immaginare come si dovesse sentire. Era il suo più grande sogno, a cui credeva di aver rinunciato per sempre, dopo essersi addossato la gestione del maneggio, in seguito alla morte dei proprietari – i suoi genitori – tre anni prima.

Ero così contenta, così fiera di lui. Non trovando parole adatte per esprimere le emozioni che provavo, gli gettai le braccia al collo.

«Sono così felice...» bisbigliai, stringendolo forte.

Persi il conto del tempo, annegata fra le sue braccia. Raramente mi ero trovata tanto a mio agio in un posto... forse soltanto in sella. Le mani di Michele mi accarezzavano la schiena, il suo volto era sepolto nei miei capelli ed io avevo il viso premuto contro il suo petto e inspiravo a pieni polmoni il suo profumo, inebriandomene. Sarei potuta rimanere in quella posizione per sempre. Ero a casa. Se qualcuno fosse passato di lì ci avrebbe visto di sicuro, ma in quel momento non aveva alcuna importanza.

Non so per quanto tempo rimanemmo abbracciati, se per un secondo o per un'eternità intera, ma so solo che fu doloroso doversi separare l'uno dall'altra. Quando infine i nostri corpi sciolsero l'abbraccio, i nostri sguardi rimasero agganciati, gli occhi chiari di Michele che brillavano fissi nei miei.

«Ci vediamo nel campo grande» mormorò infine lui, con voce roca, allontanandosi.

Avevo ancora un sorriso ebete stampato in faccia, quando il ragazzo attirò nuovamente la mia attenzione.

«Ah, Sarah!» fece lui. 

Si era voltato verso di me, continuando a camminare all'indietro, e scossi la testa: poteva anche iniziare a frequentare l'università, ma sarebbe rimasto sempre un bambino. 

«Cos'è che dovevi dirmi?»

Sgranai gli occhi, ricordandomi che non gli avevo ancora detto nulla di mia madre. Gli rivolsi un sorrisetto divertito. Non era nulla in confronto a ciò che lui mi aveva appena annunciato, ma in fin dei conti era sempre una buona notizia.

«Niente di che» mormorai, alzando le spalle. «Ma sappi che hai ufficialmente l'approvazione di mia madre!»

Lui scoppiò a ridere fragorosamente e poi disse, strizzandomi l'occhio: «Lo so. Me lo ha detto poco fa.»

Il sorriso mi morì sulle labbra. Le parole di mia madre mi riecheggiarono di colpo nella mente, il suo tono vago che mi aveva fatta insospettire non poco. "Ho parlato con uno dei giornalisti..." Sì, certo, come no.

Scossi la testa, fissando l'istruttore con sguardo truce. Non credevo sarei mai arrivata a pensarlo, soprattutto viste tutte le complicazioni che sarebbero nate dalla nostra frequentazione, ma il fatto che quei due fossero in combutta alle mie spalle mi stava veramente cominciando a dare sui nervi.

Raccolsi il nettapiedi da terra e glielo lanciai contro, mentre Michele si scansava per evitarlo e scoppiava a ridere a tutto spiano.

Mi voltai scuotendo la testa, cercando di contenere il nervoso.

«Ne uscirò pazza» borbottai poi, rivolta a Killer.

Lui non replicò.


Era strano avere un pubblico.

Sulla panchina, oltre il bordo campo, erano seduti mia madre – a cui lanciai un'occhiataccia – e mio padre, insieme a qualcuna delle ragazze. La maggior parte di loro, però, era poggiata contro la staccionata, troppo curiose ed eccitate per riuscire a stare sedute. Intravidi Monica, Sofia e Deborah sporgersi verso di me e farmi dei cenni di incoraggiamento. Anche Benedetta era appoggiata alla palizzata, attorniata dalle sue suddite – che notai essere meno del solito –, un'espressione neutra dipinta sul suo volto. Mi rincuorai nel vedere che la sua presenza non mi faceva più alcun effetto. In compenso, ebbi un brivido lungo la schiena quando vidi, sparpagliati lì attorno, i membri della troupe armeggiare con le videocamere e i microfoni. Michele aveva chiesto espressamente di lasciare sgombro il campo, così loro si erano distribuiti intorno a tutta la recinzione. Eravamo circondati, pensai, guardandomi intorno.

Era una novità tanto per me quanto per Killer. Il baio, che tenevo alla longhina, fissava a sua volta tutte quelle persone con le orecchie dritte e lo sguardo fisso, in quella posa magnifica e statuaria che assumeva spesso. C'era stato un periodo in cui le persone che si accalcavano sugli spalti e le loro urla erano state il suo pane quotidiano, ma ormai non era più abituato ad avere così tanta gente intorno. Lavoravamo sempre da soli, in tranquillità, e sicuramente la presenza di tutte quelle persone sarebbe stata una grande fonte di distrazione per lui. Deglutii a vuoto. Dovevo rimanere concentrata al massimo.

Vidi Michele venirmi incontro, tranquillo come al solito, e sentii la tensione sciogliersi dentro di me. L'effetto rassicurante che aveva sul mio animo era incredibile. Se pensavo a lui come al mio istruttore, ovviamente. Se facevo altri pensieri, ecco lo stomaco tornare ad attorcigliarsi.

Il ragazzo sarebbe rimasto nel campo insieme a me, mentre lavoravo con Killer, spiegando di volta in volta quello che sarei andata a fare con il baio.

Ad un suo cenno, mi avvicinai al cavallo e gli tolsi la capezza, lasciandola cadere a terra.

Potevo sentire lo sguardo delle persone fisso su di me come un mirino. Feci qualche passo indietro, avvicinandomi a Michele, e mi voltai appena verso di lui, scrutandolo da sopra la spalla. L'aria fiera che aveva sul volto era un balsamo per il mio animo.

Il cavallo abbassò la testa e fiutò l'aria, gli occhi che non mi perdevano di vista, il corpo pronto a reagire al mio più minimo cenno. Di colpo mi venne in mente uno strano sogno che avevo fatto e che aveva come protagonista Killer. Iniziava proprio così...

Sapevo che non sarebbe stata la cosa più ortodossa da fare, ma un'idea fece capolino nella mia mente e decisi di assecondare l'istinto. Indietreggiai ancora un po', fino a poggiare contro il torace di Michele, che non si mosse, anche se lo sentii trasalire di fronte a quel contatto improvviso. Dopotutto, eravamo sotto gli occhi di tutti ed ero stata io ad esprimergli le mie preoccupazioni circa l'opinione della gente. Gente a cui sicuramente non era sfuggito quello che stava succedendo.

«Dovrai darmi una mano a salire su Killer, dopo» bisbigliai come se nulla fosse, voltando la testa verso di lui per studiare la sua reazione, i nostri volti pericolosamente vicini.

Michele mi rivolse un'occhiata sorpresa. «Sei sicura?»

Annuii. Ricordavo vividamente ogni dettaglio di quel sogno, ogni sensazione provata, fino alla fine. Ma sapevo che stavolta non sarei caduta. Stavolta avevo qualcuno al mio fianco.

«Mi fido di te» disse semplicemente lui. 

I nostri sguardi si studiarono e poi lanciarono una simultanea occhiata al pubblico di fronte a noi. I miei genitori, con mia madre che gongolava e mio padre visibilmente confuso, Monica, Sofia e Deborah a bocca aperta, al pari delle altre ragazze, Benedetta che teneva lo sguardo basso, i cameramen che si scambiavano occhiate perplesse, la giornalista che artigliava il legno dello steccato con le unghie e ci fissava, probabilmente chiedendosi quando avremmo iniziato. 

Dopo quella lunga occhiata, i nostri sguardi tornarono a soppesarsi, entrambi consapevoli di aver pensato la stessa cosa. E di aver preso la stessa decisione.

Senza che nessuno dei due dicesse una parola, ci avvicinammo ancora di più. Le nostre bocche si incontrarono a metà strada, mentre intorno a noi calava il silenzio più assoluto.

Ancora una volta, mi separai da Michele dopo una frazione di secondo che poteva essere stata lunga un'eternità e avanzai per fronteggiare Killer, travolta da un'ondata di energia.

Il cavallo mi fissava, piuttosto tranquillo, dato che tutto il mondo intorno a lui sembrava aver trattenuto il fiato. Non avevo longhine per controllarlo o tenerlo fermo, eppure il baio aspettava immobile che io gli dicessi cosa fare. Come probabilmente qualcuno nel pubblico stava pensando, sembrava ci fossero dei fili invisibili a collegarmi a lui, che potevo tirare a mio piacimento per fare di lui il mio burattino, ma non era affatto così. Killer avrebbe potuto spezzare quel legame in qualsiasi momento. Ne aveva tutta la forza. Semplicemente, aveva scelto di non farlo. Aveva scelto di stare al mio fianco.

Pensai con una certa ironia che avevo passato anni e anni a cercare il destriero giusto per me e che lo avevo trovato, senza quasi che me ne rendessi conto, nel cavallo più improbabile che potesse mai capitarmi. Cavallo che non avrei cambiato per niente al mondo, pensai, scrutando gli enormi occhi bruni di Killer, che mi fissavano come se ci fossi stata solo io e nient'altro. Il pensiero mi colpì all'improvviso, un sorriso emozionato che si faceva strada sul mio volto. Sì, Killer era il mio cavallo.

«Ok, bello» dissi andandogli incontro. «Cominciamo.»


IN FOTO: Sarah e Tramontana... in un futuro non troppo lontano!

L'ultimo capitolo... dirlo fa un certo effetto. Credevo che questa storia (cominciata nel 2014, mi sento molto vecchia) non avrebbe mai visto una fine, nonostante avessi in mente l'ultima scena da sempre. Sono stata contenta di smentirmi! Spero che le avventure di Sarah, Michele ed i loro equidi dai nomi improbabili vi siano piaciute. 

Vi ho allegato una canzone, perché nella mia testa era questa la ""colonna sonora"" della storia (infatti l'ho usata anche per il trailer!). Quando ero bloccata su alcune parti (è successo molto spesso, lel) me la sparavo nelle orecchie e cercavo l'ispirazione, con tanto di filmini mentali sulle scene della storia e affini. Ci sono delle frasi che, non so, mi ricordano un sacco Sarah e il suo carattere #carroarmato.

I might only have one match
But I can make an explosion

[...]

And all those things I didn't say
Wrecking balls inside my brain
I will scream them loud tonight
Can you hear my voice this time?

[...]

And I don't really care if nobody else believes
'Cause I've still got a lot of fight left in me

Non mi dilungo oltre. Voglio ringraziarvi come si deve, nonché darvi delle inutili spiegazioni di cui nessuno sentiva il bisogno, nel non-capitolo successivo, che dovrei pubblicare nei prossimi giorni.

Un bacio... e grazie mille per aver letto fino a qui!

Captainwithoutasoul.

PS: cosa ne pensate dei (The)Giornalisti andati a fare un servizio in uno stabilimento balneare? E che si lamentano di quelle code infinite di macchine... LOL

Продолжить чтение

Вам также понравится

Due anime in fiamme TaliaWaves

Любовные романы

3.2K 568 18
Talìa Waves è una giovane ragazza di 18 anni. Vive in una piccola città in California,Avalon. Sembra essere sfrontata,diffidente e sicura di sé,semp...
18.6K 931 48
Lauren German giovane ragazza appena laureata in giurisprudenza, il suo sogno è sempre stato quello di fare il suo master in Francia, per fare il mag...
GIULIA lbilancioni

Детектив / Триллер

8.9K 783 24
"Mi chiamo Giulia, sono morta all'età di trent'anni e quella che sto per raccontare è la mia storia". Tratto dalla raccolta "I racconti del Destino"...
Dimmi che ne vale la pena || Nicolò Barella Mary

Художественная проза

102K 3K 56
Hayley Marino per anni è stata la classica ragazzina un po' sfigata. Tragici si rivelano essere gli anni delle elementari a causa di battute poco car...