Come il cielo a mezzanotte

By NyxEcate

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Leggende raccontano che gli dei, all'alba dei tempi, separarono le anime gemelle, gelosi di queste ultime. Il... More

Prologo
01. A nessuno piacciono i ratti
02. Corsi differenti
03. Pura poesia
04. Piccoli riti
05. Sempre un mistero
06. Profumo di Gardenia
07. Marshmallows
08. Paranoia silenziosa
09. Il mare senza di te
10. " Di rosso e celeste neanche il diavolo si veste "
11. " Sei meraviglioso ora, domani e per sempre "
12. Stellato
13. Insignificanti
14. Sono una distesa dorata
15. Ciò che non sai di me
16. Questo
17. Una spaccatura nel vetro
18. Le emozioni non sono per bambini
19. Come scogliere d'argilla
20. Quello che i bambini non dovrebbero provare
22. Non abbandono nessuno
23. Urgano
24. Il prima è sempre doloroso
25. Non c'è due senza tre
26. Come due anime si abbracciano
27. La strada
28. Piccoli sorrisi
29. Fidanzato?
30. Non oggi
31. Sbagliato
32. Il tuo pappagallo
33. Ringraziamento
34. L'inizio
35. Quando accadrà
36. Coraggio
37. Come un sogno
38. Come il cielo a mezza notte
Epilogo

21. Nascondere

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By NyxEcate

Su poche cose scommetterei la vita, forse solo un paio. Non sono una brava giocatrice d'azzardo, non mi piace né scommettere né giocare. Vincere però, indipendentemente dal campo, mi piace sempre.

É forse questo uno dei motivi per cui dopo ben mezzora non ho ancora detto nulla ad Allen, riguardo a Tommy, e sui miei sensi di colpa nei suoi confronti. Sono abbastanza sicura che a questo proposito mi prenderebbe in giro, rassicurando, con parole sdolcinate, che lui più di tutti sta benone. Bufale!

Allen va preso di sorpresa, incastrato fra le sue stesse frasi e manipolato, solo in cerca della verità. Ora come ora non mi dirà nulla, troppo stretto alle sue convenzioni ed al dolore.

Si è precipitato da me in poco meno di sette minuti, è corso fino alla mia panchina e per poco non sbarrava gli occhi quando Rex, ancora seduto accanto a me, ha abbaiato in segno di saluto. Inutile sottolineare la sorpresa e la successiva rabbia nei confronti della sorella. A quanto pare il pomeriggio tocca sempre a quest'ultima l'ardito compito, portare a spasso il cane.

Rex, comunque, non sembra particolarmente dispiaciuto. Si è piazzato ai nostri piedi lasciando che il padrone occupi il posto su cui prima giaceva. Da allora Allen tiene ancora una mano sul suo collare, penso abbia paura che scappi di nuovo.

«Tieni»

«Cos'è?», guardo incuriosita la cuffia che mi porge aspettando che ne colleghi l'estremità allo speaker del telefono.

«Ascolta e basta». Non protesto a lungo, infilo la cuffia nell'orecchio e aspetto le prime note della canzone. Cross imita il mio esempio e lentamente si lascia andare sulla panchina. Lascia che la canzone parli per noi.

Fix you dei Coldplay, la riconosco quasi immediatamente, una canzone dedicata a chi si sente insoddisfatto, impotente difronte agli eventi immodificabili della vita, in cui neanche amare o fare del proprio meglio basta. Una canzone che per certi versi non mi sono mai soffermata ad analizzare ma il cui significato, spesso e volentieri, coincide con gli eventi della mia vita.

Inevitabilmente l'angoscia di prima ritorna, così come la tristezza e la consapevolezza che la situazione con i miei genitori non si risolverà da sola. Una piccola lacrima lascia le mie ciglia quando il pensiero di Tommy mi attraversa.

Sto facendo la cosa giusta lasciando tutto nelle sue mani? Forse non dovrei fidarmi, infondo è' solo un bambino ed ha bisogno di aiuto. Tutti hanno bisogno di aiuto, di una luce che li guidi a casa.

Il ricordo di mia nonna mi sfiora ma lo scaccio immediatamente, mi rifiuto di scoppiare in lacrime come una bambina.

MI lascio cullare dalle note dolci della canzone e dalle parole, respiro a pieni polmoni. Non posso che chiedermi in che modo questa canzone sia collegata al ragazzo al mio fianco. Chi ha perso? Perché mi sembra quasi di sentire la fragilità con cui si apre di fronte a queste note.

Lui a differenza mia si schianta, cade e si rialza. Picchia forte contro il pavimento quando crolla ma lo fa altrettanto forte quando si rialza. Non so in cosa stia passando, cos'abbia passato ma trova comunque la forza di starmi accanto.

É inevitabile la piccola invidia che provo nei suoi confronti, però mi accontento della sua presenza. Come ha fatto Naomi, sta imparando a conoscermi e ad occupare un ruolo piuttosto importante nella mia vita.

Quando le ultime note sfumano mi sembra d'essermi risvegliata da una trance. La canzone ha parlato per noi, ed il suo messaggio mi è arrivato, parlando e sussurrando all'orecchio come una vecchia e dolce canzone di Dolly Parton.

Faccio collidere le nostre mani e mi stringo al suo braccio destro. Strofino un po' la testa in modo affettuoso, non potendo farne a meno.

«Grazie Allen, ne avevo bisogno»

«Lo so» risponde dopo un po', appoggia la sua testa sulla mia e rilascia un sospiro sconsolato. Lo sa perché anche lui ne aveva bisogno. Per quanto diversi in questo momento siamo terribilmente simili.

Improvvisiamo ogni giorno, sorridiamo e ridiamo in modo inaspettato, per motivi inattesi e diversi. Il problema sorge quando ciò di spontaneo non ha più nulla, quando fingiamo per non preoccupare chi ci sta a cuore. Due comportamenti sono sbagliati in principio, per ogni umano: nascondere i propri sentimenti e tenere eccessivamente al proprio orgoglio.

Per questo non considero totalmente un danno la mia impulsività, di certo in ovvie occasioni dovrei trattenermi, ma mai ho nascosto i miei sentimenti. Che sia rabbia, tristezza o felicità io non indosso mai una maschera di finzione, con nessuno. Non fa parte della mia natura, e semplicemente non ci riesco.

Ma fin troppo spesso ho peccato d'orgoglio. In questo momento, almeno voglio provare a non farlo. Per una volta posso darla vinta ad Allen e raccontargli i miei problemi, come mi ha sempre pregato di fare.

«Oggi sono andata a trovare un mio amico-»

«Il bambino?». Il tono sorpreso del ragazzo non mi è passato inosservato ma ci ho sorvolato. Se mi fermo ora non parlerò mai più.

«Si», gli rispondo scostandomi dalla sua spalla per guardarlo negli occhi. «Pensavo avesse dei problemi, ed in effetti è così, penso...» riprendo il discorso, gli occhi di Allen sono confusi quanto i miei ma non m'interrompe. «É una bambino tanto buono Allen, ma oggi l'ho visto mentre se la prendeva con una bambina... era circondato da altri ragazzini e la, la stavano prendendo in giro». Il mio tono disgustato esprime poco del disappunto che ho provato solo poche ore fa.

«Quando se ne sono andati lui e la bambina sembravano amici... gli ho chiesto spiegazioni ma mi ha solo detto di fidarmi», abbasso lo sguardo su Rex e passo una mano fra il suo pelo in cerca di conforto.

«Io non capisco. É responsabile ma non voglio che si comporti così»

«Perché non ne parli con i suoi genitori?» Allen sembra sicuro della sua proposta ma scuoto la testa.

Se Kim e Dominic ne venissero a conoscenza non penso che la situazione di Tommy possa migliorare in qualche modo. Ha qualcosa in mente e deve risolverlo da solo. Mi ha chiesto di fidarmi perciò non dirò nulla a loro ma andrò di nuovo a trovarlo e questa volta pretenderò delle spiegazioni.

Il flusso di pensieri in cui ero caduta, s'interrompe quando la stoffa ruvida della scarpa destra di Allen, entra in contatto con il mio polpaccio destro e compie in modo regolare movimenti verticali.

Non riesco a trattenere un sospiro di beatitudine, ignorando completamente il suo sguardo in tempesta che brucia sulla mia pelle. Per la sorpresa, Allen allenta la presa su Rex e questo scappa via come un razzo.

Ridendo partiamo alla sua rincorsa. Magari Cross utilizzasse sempre quel metodo per riportare i miei pensieri sulla terra. Forse sto gradendo un po' troppo la sua presenza.

«Ehi, tu stai bene?» Dopo aver riacciuffato il cane mi faccio coraggio e pongo ad Allen una delle tante domande che dal pomeriggio nel bosco mi tormentano.

Evita il mio sguardo per alcuni secondi, gli occhi persi nel vuoto e il fiato trattenuto. Appoggio una mano sulla sua schiena e strofino leggermente per incitarlo a parlare, si gira di scatto verso di me e spalanca gli occhi. Si ricompone velocemente e ghignando annuisce.

«Certo che sto bene sciocca, sei tu quella problematica». Alza una mano in segno di saluto e correndo scappa via, è spaventato dai suoi sentimenti? O forse non si fida ancora di me? Mi sento totalmente inutile, sta male ed io non posso farci nulla.

Perché dev'essere sempre lui quello ad aiutarmi? Voglio tirarlo su di morale almeno una volta.

Da allora sono passati un paio di giorni e di Tommy non ho ancora notizie. Ho fatto tutto il giorno vari lavori per il comune e solo ora sono riuscita a tornare a casa. Penso siano le otto ma non ne ho idea. Ho perso il cellulare in camera e non ho ancora avuto il tempo di cercarlo.

Appena varco la soglia dell'ingresso un dolce profumo m'invade, proviene dalla cucina e non ne sentivo di così buoni da quando tutta la famiglia mangiava insieme a tavola. Forse sono passati alcuni mesi da allora, dal giorno in cui ho visto i miei genitori litigare. Erano qui, nello stesso punto in cui mi trovo io. La prima volta che ho assistito ad una loro litigata è stata proprio quella.

I rapporti con loro da allora sono peggiorati sempre di più, colpa delle bugie e delle omissioni che continuano a propinarmi. Non so nemmeno perché hanno litigato. Sicuramente non era loro intenzione farlo davanti a me, non l'hanno mai fatto. Non mangio più con loro da allora, prendo la mia cena e mangia da sola in veranda o in camera. Quando mio padre mi obbliga a restar in sala da pranzo mia madre non c'è mai.

Confusa ma incuriosita mollo la borsa sul attacca panni e varco la soglia della cucina. Non c'è nessuno e la luce è spenta, a parte quella proveniente dal forno. Dentro sembra esserci un tacchino.

«Kathryn sei a casa?» la voce di mia madre risuona fra le pareti di casa, arriva dalla sala da pranzo, l'unica stanza illuminata. Tutta l'atmosfera è molto inquietante. Se sono la protagonista di un film horror vi prego non uccidetemi per prima. Sono ancora giovane e non ho mai avuto un pesce da chiamare Nemo.

«Mamma?», aspetto alcuni secondi ma non ricevo risposta. Questo non è davvero un film horror spero. Per sicurezza afferro l'ombrello dal mobiletto e lo protendo in avanti stile spada. Chi potrà mai spaccare dal mio ombrello?

Lo osservo meglio e scuotendo la testa lo riappoggio. Meglio un coltello, uno di quello da macellaio possibilmente. Non sia mai che dei rapinatori siano entrati in casa, abbiano registrato la voce di mia madre e ora la stiano tenendo in ostaggio.

E mio padre dove si è cacciato? Non posso esser l'unica della famiglia con le palle. Magari hanno preso pure lui...

A passo felpato e con il cuore in gola mi avvicino alla sala pranzo. Sporgo prima il coltello per avvertire i malintenzionati, o il mostro, che sono armata ma quasi subito un urlo femminile rimbomba fra le pareti color panna.

«Ti salvo io mamma!» con un balzo entro nella stanza ed alzo il coltello in aria pronta ad abbassarlo stile ghigliottina.

«Kathryn perché hai un coltello in mano?» Alle mie spalle la voce dura di mio padre mi rimprovera. Allora non è morto, perché sta li impalato e non si rende utile? Sti sta aggiustando la polo in tranquillità. Aggrotta le sopracciglia quando nota la mia espressione spaventata ma sollevata.

Mi porto una mano al cuore e mi giro verso la fonte dell'urlo femminile: mia madre che apparentemente si è spaventata vedendomi con un coltello in mano. Forse mi faccio mettere troppo in soggezione dalla mia fantasia. Infondo le possibilità che a quest'ora ci fossero dei ladri o dei mostri in casa è abbastanza alta, giusto?

«Ah, questo? Nulla, mi piaceva il manico e volevo sentirlo fra le mani» invento una scusa a caso, forse troppo a caso. Sorrido come una bambina innocente cercando di non sembrare un maniaco e poso il coltello sul tavolo. Infondo alla sala, su una delle poche sedie c'è mia madre con ancora le mani in faccia. Dovrei smetterla di esser così impulsiva.

I suoi capelli castani sono appiccicati alla nuca e quando scosta le mani rivela l'aspetto malaticcio con cui ormai sono abituata a vederla. Lavora veramente troppo, è ormai poco meno di un anno che ha questo aspetto.

Dopo aver preso un profondo sospiro si ricompone di poco sulla sedia e batte delicatamente le mani sul tavolo. «Forza, venite e sedetevi. Io vado a prendere lo stufato e il tacchino» fa forza sulle braccia e si alza. «É da tanto che non mangiamo tutti insieme, come una famiglia»

«Grace non affaticarti, porto io il cibo». Mio padre si fa avanti con fare protettivo e fa per sostenerla. Lei come suo solito si scosta.

Alza il viso verso mio padre e non stacca gli occhi dai suoi nemmeno per un secondo. «Non preoccuparti Robert, lo sai che ce la posso fare perfettamente da sola»

Grace Martin è la personificazione della determinazione, forte ma estremamente dolce e sensibile. Forse proprio per via del suo carattere si è avvicinata tanto ai fiori, se ne prende cura come tanti piccoli figli. Spesso quando mia madre si mette in testa qualcosa difficilmente gliela si toglie di mente, anche se a volte smemorata com'è se lo dimentica da sola. Non sono rari gli episodi in cui, anche nel bel mezzo di una conversazione, lei dimentica l'argomento di cui si sta parlando. Cocciuta come pochi, seconda solo a me e mio padre.

Procede a passo sostenuto fino alla cucina, rigida come un tronco. Pochi minuti dopo un forte boato proviene dalla cucina. Io e Robert ci scambiamo una veloce occhiata prima di andare a vedere.

Per terra, sul pavimento della cucina, riversa la teglia contenente il pennuto. Grace ancora rigida lo osserva, gli occhi spalancati e le dita che si muovono in modo scomposto. Un senso di angoscia si fa vivo in me mentre osservo quelle dita delicate contorcersi e tremare, con spasi innaturali. I muscoli contratti in modo anomalo si distendono di colpo e lei sembra tornare alla normalità.

Come ha fatto a ridursi in questo stato, cos'è successo? Lavora veramente così tanto o sta male? Tutto questo mi ricorda terribilmente la nonna.

«Mamma?» mi avvicino, seguita da mio padre, ed insieme la allontaniamo dal forno ancora aperto. MI abbasso per richiuderlo, da lei ancora nessuna risposta.

«Grace stai bene?»

«Io... Io-si, io sto bene, si... si» Il cuore mi sale in gola appena sento la sua risposta. No, non sta decisamente bene. Mio padre sembra pensarla allo stesso modo.

La stringe fra le braccia e le accarezza la testa, lei si abbandona alle sue attenzioni. «Kathryn portale un bicchiere di acqua»

Risveglio i miei muscoli pietrificati e devo battere un paio di volte le palpebre prima di muovermi. Riempio il bicchiere e lo porgo a mia madre che ne beve due sorsate.

Forse ha avuto un calo di pressione. Passano pochi secondi prima che lei spalanchi gli occhi e lentamente si allontani da mio padre. Se prima sembrava persa ora sembra spiritata. Non ci capisco più nulla, vorrei solo che lei si riprendesse. Non mi importa se mi nascondono dei segreti, forse se lo fanno è per il mio bene.

Guarda per terra e se possibile sgrana ancor di più gli occhi. «Cos'è successo qui?» si abbassa e raccoglie tutto da terra come se nulla fosse. Ho paura di guardala ancora, di scoprire che in realtà non è stato solo un calo di pressione.

Guardo mio padre negli occhi e ci vedo solo sconsolazione e tristezza. Abbassa il capo e si porta una mano fra i cappelli. Come se fosse profondamente addolorata dalla situazione, un po' come me.

«Papà... la mamma sta bene?»

«S-si sta bene» non riesce ad evitare il mio sguardo. I suoi occhi verdi incrociano i miei e io riesco solo a percepirvi amarezza, ancora una volta percepisco quella sensazione. La sensazione che si sita trattenendo dal dirmi qualcosa di molto importante.

Con espressione sofferente interrompe il nostro contatto visivo e si abbassa per aiutare mia madre.

Immagino che quel tacchino non lo mangeremo mai. 

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