My dream come true

By Captainwithoutasoul

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Le uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arr... More

Premessa
Personaggi & Trailer
Il maneggio di Michele
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 24
Capitolo 25
È la fine?
Missing Moment - Il compleanno di Sarah

Capitolo 23

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By Captainwithoutasoul

Raramente avevo visto Michele così nervoso come la mattina della gara.

«So di essere scontato...» mormorò, guardandoci attentamente una per una, alla fine di un discorso da cui trapelava chiaramente la sua agitazione. «Ma ricordate che siete qui per divertirvi.»

Annuimmo all'unisono, prima di aiutarlo a far scendere i cavalli dal trailer. Intorno a noi si era creato un capannello di genitori curiosi a cui, con mio grande disappunto, si erano uniti anche i miei. Mi facevano sentire una bambina di fronte alle altre. 

Di fronte a Michele.

La scusa a cui avevano addotto era quella che mio padre voleva vedere Tramontana, ma io li avevo guardati con aria scettica, replicando che avrebbero assistito alla nostra gara di lì a poco. Ma conoscevo il vero motivo per cui mi stavano tallonando. Scesa dalla macchina, avevo avuto una vertigine e mi ero dovuta appoggiare alla portiera per non cadere. A nulla erano valse le mie spiegazioni che si trattava di ansia. Una volta tanto, non c'erano altri motivi: era la mia prima gara, me la stavo facendo sotto dalla paura ed il mio istruttore sembrava più agitato di me. Ma loro non avevano voluto sentire ragioni: forse temevano che svenissi lungo la via.

Nel vedere scendere Tramontana, però, mi rincuorai un po'. La cavallina si era piazzata ai piedi della rampa e si guardava attorno con le orecchie dritte, come se quella folla fosse stata lì per lei e si stesse pavoneggiando. Sembrava nel suo mondo.

«È proprio una diva» commentò mia madre, di fianco a me, ridendo.

Mi feci avanti tra gli altri genitori per afferrare la longhina che Michele mi stava porgendo con una certa urgenza.

«Ci hanno messo negli ultimi sei box dell'ala sinistra» mi spiegò lui, senza neanche guardarmi. 

Il suo sguardo era rivolto all'interno del trailer, da cui Monica stava facendo scendere Pillow in quel momento. Dai nitriti strazianti e dalle imprecazioni che seguirono, intuii che stesse avendo qualche difficoltà. 

«Hai presente?» fece lui, con una gamba già sulla rampa, pronto a salire per aiutare la ragazza. 

Si voltò un momento e mi rivolse lo sguardo speranzoso di chi contava che da lì in poi me la cavassi da sola.

Fortunatamente potevo dire di sapere davvero dove si trovassero i nostri box, per cui afferrai la longhina e mi affrettai ad annuire.

«Ragazze, seguite Sarah! Lei conosce il posto» berciò Michele, scomparendo all'interno del van.

Tornai dai miei genitori con Tramontana al fianco.

«Che carina» fece mio padre, allungando una mano per accarezzarla.

Gli rivolsi un sorriso di sufficienza. «L'hai vista, sei contento? Adesso potete anche andare...»

Tramontana gli stava soffiando dolcemente sul dorso della mano, fissandolo con i suoi enormi occhi scuri. Osservai i miei, totalmente rapiti da quella visione, e poi tornai a fissare la cavallina morella. 

Traditrice.

«Perché non vi avviate sugli spalti?» li incalzai, dando un lieve strattone alla longhina di Tramontana perché si riscuotesse e smettesse di incantarli.

«Ma tesoro» obbiettò mia madre, «non comincerai prima delle dieci.»

«Ma sono sicura che ci saranno un sacco di altri concorrenti interessanti da vedere» ribattei, avviandomi a passo veloce verso l'uscita del parcheggio, in direzione dei box, senza dare loro possibilità di replicare.

«A dopo!» conclusi innocentemente, voltandomi per fare loro ciao ciao con la mano.


Niente nell'architettura del maneggio era cambiato da quando me n'ero andata, ormai cinque anni prima. La struttura, moderna ed imponente, sembrava appositamente tirata a lucido per l'evento. Il ghiaino sul quale stavamo camminando, le palizzate bianche dei recinti e i vasi di gerani alle finestre dei locali e dei box: tutto pareva risplendere sotto i raggi del sole.

Superato l'enorme campo coperto, la giostra e il Club House, i box si aprivano su entrambi i lati in due file che parevano non aver fine ed io imboccai con sicurezza quella di sinistra.

Le ragazze dietro di me trattennero il fiato. Potevo capirle. Pavimentazione in gomma nuova di zecca ed infissi di legno, illuminazione artificiale, ventilatori da soffitto: quei box erano piccoli appartamenti di lusso.

«Com'è che conosci il maneggio?» mi chiese Sofia, affiancandomi con Oxford.

«Venivo qui, prima di conoscere Michele» dissi, accorciando la longhina di Tramontana, che si era già appiccicata al sauro.

La ragazza aprì la bocca, sconcertata. 

«Tu venivi qui?» ripeté, guardandosi intorno. «E com'era?!»

«Snob» le risposi di getto, facendola scoppiare a ridere.

«Posso immaginare» mormorò lei, dopo un attimo. «Io non cambierei il maneggio di Michele per niente al mondo.»

Annuii. Per me era esattamente lo stesso.

«Quando sarai in campo prova te ne renderai conto» aggiunse, scuotendo la testa con aria vagamente divertita. «Siamo mosche bianche, le uniche senza speroni e senza chiudibocca. Gli altri ci guardano strano, a volte ci prendono in giro.» La ragazza sogghignò. «Ma si zittiscono quando rubiamo loro il primo posto.»

Se non fossi stata così in subbuglio, probabilmente avrei riso di fronte al suo commento, ma tutto quello che mi uscì di bocca fu un verso strozzato, come un singhiozzo.

Ormai intravedevo l'uscita in fondo al corridoio ed iniziai a contare tra me e me, facendo fermare Tramontana quando fummo di fronte agli ultimi sei box.

«Questi sono i nostri» annunciai, mettendomi da parte con Tramontana per far passare le altre ed i loro enormi destrieri.

Sofia e le ragazze avrebbero partecipato ad una gara che si sarebbe svolta nell'arco di due giorni, per cui il maneggio aveva messo a loro disposizione dei box per la notte. Inoltre avrebbero gareggiato nel primo pomeriggio, per cui potevano far riposare gli animali per tutto quel lasso di tempo.

Quanto a me, mi aspettavo di dover iniziare a preparare Tramontana a breve, per cui ero in attesa di Michele e delle sue istruzioni. Infatti avrei gareggiato quella mattina ed il mio concorso si sarebbe concluso in giornata ma, in via eccezionale, potevo usufruire di un box anche io, in caso avessi voluto far riposare Tramontana, più tardi. Tanto di box in quel maneggio ne avevano in abbondanza, pensai, guardandomi intorno in quelle file sconfinate. C'erano spaziose stalle su ogni lato, dalle cui finestrelle si affacciavano i cavalli più curiosi, attirati dal rumore che stavamo facendo. Sbirciando dai box che invece mi parevano vuoti, vidi che i loro ospiti stavano semplicemente sonnecchiando all'interno.

Osservando bene i nostri vicini e le loro targhette, poi, mi accorsi che nessun cavallo era di proprietà del maneggio: provenivano da quelli vicini e di conseguenza si trovavano lì in quanto ospiti e rivali, esattamente come noi.

«Sarah, puoi mettere dentro Tramontana anche tu» disse Sofia, che stava uscendo dal box di Oxford, la capezza sulla spalla. 

A giudicare dal sorriso comprensivo che mi rivolse, si doveva essere accorta che non avevo idea di come comportarmi in assenza di Michele.

«Tanto ora dobbiamo andare a registrarci» mi spiegò.

Annuii e mi affrettai a fare come mi aveva detto. Aprii il box vuoto accanto a quello di Oxford e vi feci entrare Tramontana, che obbedì senza fare storie e si mise ad annusare ogni centimetro quadrato della stalla con grande curiosità. Sempre con le narici dilatate, abbassò la testa a terra e, dopo aver ruotato su se stessa un paio di volte, si distese sulla paglia ed iniziò a rotolarsi, sollevando ovunque truciolo e polvere.

La stavo osservando dalla finestrella, pensando a quanto sarebbe stato divertente pulirla, dopo, quando udii un nitrito provenire dal corridoio.

Voltandomi, vidi Monica avvicinarsi insieme a Pillow, visibilmente nervosa, che trotterellava cercando di superare la sua padrona. Di Michele nessuna traccia.

«Eccoci qui» esclamò la ragazza, facendo fermare l'araba davanti a noi, non senza difficoltà, visto che Pillow sembrava caricata a molla. 

Non potei fare a meno di notare che la ragazza aveva i capelli biondi tutti arruffati.

«Tutto ok?» domandai, facendo vagare lo sguardo da lei all'araba, che stava raspando il pavimento con lo zoccolo con aria irrequieta.

«Sì» rispose lei con un sospiro, dando uno strattone alla longhina perché la cavalla smettesse. Accennando un sorriso triste, aggiunse: «È che Pillow ha ancora qualche problemino con i trailer.»

Sbirciando nel box vuoto destinato alla sua cavalla, commentò: «Dio, cosa non sono questi box. Ci vorrei stare io!»


Avevamo appena concluso la registrazione e stavamo tornando dai nostri cavalli attraverso l'immacolato cortile, gremito di persone e quadrupedi, quando Monica mi affiancò. Alessia ci precedeva di poco e, tutto intorno a noi, stivali e zoccoli rumoreggiavano sulla ghiaia bianca, in una frenetico viavai che mi faceva venire la pelle d'oca.

«Gliele hai cantate» mi bisbigliò Monica all'orecchio, indicando la ragazza con lo sguardo. 

I suoi tentativi di sussurrare erano sempre pessimi, dato che parlava comunque ad un tono di voce altissimo, ma fortunatamente c'era una tale confusione che nessuno dovette udirla a parte me.

«Come lo sai?» esclamai, voltandomi di scatto verso di lei.

«Ti ho sentita» rispose Monica, stupita dalla mia reazione. «A dire il vero, credo ti abbiano sentita tutti.»

All'idea che tutto il maneggio ci avesse sentite litigare, mi sentii avvampare.

«Non volevo farmi gli affari tuoi» si affrettò a dire Monica. «E rispetto le tue decisioni. È solo che... non sei stata così dura con me né con Sofia. Anche io sono stata amica di Benedetta, dopotutto.» 

Mi lanciò un'occhiata imbarazzata. La cosa mi lasciò di stucco: non ricordavo di averla mai vista a disagio in una situazione prima d'allora.

«Lo so» dissi, restituendole lo sguardo. «Ma in quel periodo tu non eri anche... amica mia.» Esitai. «Noi siamo amiche?»

Monica mi fissò come per assicurarsi che non stessi scherzando. 

«Certo!» esclamò poi, dandomi un'affettuosa pacca sulla spalla. «Stupida!»

Ridacchiai, abbassando lo sguardo. «Alessia non ha mai deciso da che parte stare. Per questo mi sono arrabbiata tanto. Mi sono sentita... tradita.»

Monica sospirò. «Be', insomma, posso immaginare.»

Tra di noi calò il silenzio, rotto solo dai nostri passi sulla ghiaia. Pensavo che la conversazione fosse finita, così trasalii appena quando la ragazza parlò di nuovo.

«Sappi solo che io e Sofia una decisione invece l'abbiamo presa. E penso di parlare anche a nome di Deborah.»

Stavo per aprire bocca, ma lei mi anticipò. «Prima che tu dica qualsiasi cosa, lo so che sei un lupo solitario e che ti piace stare per conto tuo...» 

Anche se avrei voluto assumere un'espressione offesa, sentii le mie labbra incurvarsi in un sorriso. 

«...ma sappi che, per qualsiasi cosa, puoi contare su di noi.»

«Grazie» mormorai, un po' imbarazzata. 

Una strana sensazione si era diffusa in me, un calore allo stomaco che un po' mitigava l'ansia che mi attanagliava. Non l'avevo mai provata prima, dal momento che nessuno mi mai rivolto parole simili, neanche Alessia. Veniva voglia di lasciarsi andare, sapendo che ci sarebbero state delle braccia a sostenermi per non farmi cadere a terra.

«È bello avervi come amiche» dissi, facendo un sorriso timido.

Monica scosse la testa, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che le avessi sul serio chiesto conferma della nostra amicizia.

«Stupida!» ripeté, strappandomi una risata, che stavolta fu cristallina.


Quando arrivammo ai box, vi trovammo Michele ad attenderci, ma l'istruttore non era solo.

Al suo fianco c'era una giovane donna vestita di tutto punto e, a giudicare dal tailleur con i tacchi che indossava e dal taccuino che aveva in mano, dubitai che si trattasse un'allenatrice. 

Quando alzò lo guardo e si accorse che non erano più soli, la donna salutò Michele con un cenno e si allontanò, le sue scarpe eleganti che ticchettavano ritmicamente sul pavimento.

Stavo per chiedere spiegazioni all'istruttore, ma non riuscii ad aprire bocca perché, non appena lui mi vide, mi venne incontro a passo svelto per comunicarmi che i giudici avevano dato l'ok: il campo gara era aperto alla ricognizione.

A quella notizia, mi sentii mancare e dovetti fare uno sforzo per non crollare dritta sul pavimento. Le ragazze mi lanciarono degli sguardi emozionati che mi fecero venire ancora di più la tremarella. Ormai mancava così poco!

«Andiamo?» mi incalzò l'istruttore, dato che non avevo ancora proferito parola.

Inclinò la testa da un lato per scrutarmi ed io evitai accuratamente il suo sguardo, perché non vedesse quanto fossi terrorizzata.

«...sì» mormorai infine, gli occhi fissi sugli stivali, avviandomi a passo veloce verso l'uscita.

Michele camminava dietro di me e mi raggiunse dopo due passi. Camminavamo fianco a fianco e sentivo con una punta di fastidio che il suo sguardo era fisso su di me: aveva sicuramente notato quanto fossi in tensione, ma non disse nulla e gliene fui grata.

Proseguimmo a sinistra sul vialetto di ghiaia, finché non ci si profilarono davanti due campi in sabbia adiacenti, attorniati dai cipressi e per questo in penombra.

Rilassandomi appena, venni travolta dai ricordi al pensiero che era lì che avevo fatto le mie prime lezioni di equitazione. Montavo un delizioso doppio pony di nome Skywalker, ribattezzato da tutti Sky, su cui avevo imparato a battere la sella al trotto e a galoppare, cosa che mi riusciva assai difficile perché il pony era pigro e non ne voleva mai sapere di partire.

Il pensiero mi fece istintivamente sorridere, ma mi affrettai a riscuotermi per studiare con più attenzione i due rettangoli di sabbia. Il più piccolo dei due era stato adibito a campo prova ed era sgombro, ad accezione di un oxer e di un verticale. L'altro, realizzai con un brivido, era il campo di gara. Dentro c'erano già almeno una dozzina di persone, tra cavalieri ed istruttori, tutti visibilmente concentrati nel misurare le distanze e studiare il percorso. Di fronte al lato lungo del campo, opposto a quello parallelo al vialetto che stavamo percorrendo, c'erano le tribune, su cui era già seduto qualcuno, tra cui, immaginai, anche i miei genitori.

Continuando a studiare il campo dalla mia posizione, vidi che gli ostacoli erano otto e, con un certo stupore, realizzai che la loro dislocazione non mi sembrava impegnativa come nei percorsi che avevamo a casa.

«I miei percorsi sono più difficili» commentò Michele, come leggendomi nel pensiero.

Quando entrammo, però, gli ostacoli visti a piedi, dal basso verso l'alto, mi parvero davvero giganteschi. Mi bloccai un passo dopo l'entrata, deglutendo a vuoto.

Michele stava per aprire bocca quando un uomo, proveniente dalla direzione opposta e sul punto di uscire dal campo, lo salutò a gran voce. Gli lanciai un'occhiata di sottecchi: indossava un completo formale e, malgrado portasse gli occhiali da sole, potei percepire comunque uno sguardo strafottente al di là di quelle lenti. Era seguito da tre ragazzine, ad occhio tutte più piccole di me, ognuna con due trecce col fiocco ai lati della testa, pantaloni bianchi e giacca da gara malgrado quel clima torrido. Ma fu un'altra cosa a colpirmi di loro: l'espressione di spiccata superiorità che tutte e tre avevano stampata sul volto.

La differenza tra noi era piuttosto lampante. Spostai lo sguardo sul mio istruttore, che indossava jeans e camicia come al solito, e poi lo abbassai con un certo imbarazzo sui miei pantaloni beige e la mia polo bianca. Pensai ai miei capelli corvini, che avevo legato alla bell'e meglio in una coda prima di uscire dalla macchina e in cui non mi sarei affatto stupita di trovare qualche pagliuzza di fieno. A quel punto non avevo più la forza di alzare lo sguardo per fronteggiarli di nuovo.

Vedendo il collega, Michele aveva distorto il volto in un sorriso che pareva più una smorfia e fu caloroso nei saluti quanto un blocco di ghiaccio. Non appena l'istruttore e le sue tre allieve smorfiose se ne furono andate, le spalle di Michele si rilassarono.

«Sono loro il problema?» bisbigliai, iniziando a vederci chiaro. 

Avevo indicato con lo sguardo gli altri istruttori rimasti nel campo ed ebbi conferma dei miei sospetti quando Michele mi scoccò uno sguardo torvo e poi annuì con un sospiro.

«Già» borbottò. «So già che entro domani avrò litigato con qualcuno.»

Ridacchiai, di fronte alla sua sincerità disarmante e, dopo aver fatto un respiro profondo, decisi di esserlo altrettanto.

«Io però vorrei un istruttore che mi sostenesse, invece di essere in ansia per ciò che penseranno i suoi colleghi» mormorai piano, lo sguardo fisso sugli ostacoli di fronte a noi.

Inizialmente non lo guardai in volto, non avendo idea di come avrebbe reagito, ma alla fine presi il coraggio a due mani e mi voltai verso di lui.

Michele pareva sorpreso. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi si riscosse e mi rivolse uno sguardo di scuse. 

«Hai ragione» mormorò, abbozzando un sorriso. Stavo per sorridergli a mia volta, quando sulla sua faccia apparve il solito sorrisetto. «Una volta tanto...»

Per tutta risposta gli diedi uno spintone, ma notai con un certo disappunto che l'istruttore non si era mosso di un millimetro.

Lui ridendo, io scuotendo la testa, ci addentrammo nel campo fianco a fianco e ci misi un po' per rendermi conto che l'ansia aveva allentato un poco la sua presa su di me, pur trovandoci nel luogo dove di lì a poco mi sarei esibita su Tramontana. Ma il mio istruttore pareva essere finalmente tornato quello di sempre, con la schiena dritta di chi non temeva più di trovarsi lì, ma anzi ne era fiero, e lo sguardo determinato e rassicurante di chi sapeva scavarmi dentro e infondermi sempre la sicurezza di cui avevo bisogno.

«Allora» proruppe lui, indicando con lo sguardo la tribuna dei giudici. «Suona la campana. Entri, fai fermare Tramontana. Saluto.»

Annuii meccanicamente. Avevo ripassato ogni dettaglio centinaia di volte, ma ero così nervosa che non ebbi cuore di dirgli di tagliare corto. In quel momento, se qualcuno me l'avesse chiesto, avrei avuto qualche difficoltà persino a ricordarmi da quale lato si saliva a cavallo.

«Dopo il saluto, ti dirigi verso il primo ostacolo. L'oxer» proseguì Michele, andando deciso in quella direzione.

Nel passare tra gli altri, l'istruttore venne salutato da molti dei suoi colleghi. Lui rispose con un impercettibile cenno del capo, concentrato com'era nel contare la distanza.

Abbassando lo sguardo sulla sabbia, contai anche io. Uno, due, tre, quattro...

«Sei» esclamammo all'unisono, alzando gli occhi da terra e scoppiando a ridere.

«Esatto» confermò Michele. «Ricordati che Tramontana non ha una falcata molto grande, ma non mi interessa se ne fa una in più. Voglio che arrivi alla battuta giusta.» 

Mi guardò fisso negli occhi, sapendo che avevo il vizio di arrivare sempre sotto all'ostacolo. 

«E che non facciate barriera. Tutto quello che conta adesso è la precisione, nient'altro. Solo così potremo accedere alla seconda manche.»

Annuii. La mia gara era a barrage: se Tramontana ed io fossimo riuscite a portare a termine il percorso in modo netto, avremmo potuto accedere alla seconda fase, che consisteva nel ripetere lo stesso percorso con meno ostacoli e con un limite di tempo. Ad essere onesti, non nutrivo grandi speranze di farcela, ma Michele parlava come se fosse sicuro che avremmo avuto accesso alla seconda parte della gara e la cosa mi rincuorò.

«Mentre sei sul salto, punta già al secondo ostacolo.»

Oltrepassato l'oxer, avrei avuto un verticale in dirittura, alla distanza di cinque tempi.

«Fin qui tutto facile» fece Michele. «Poi curva a mano sinistra e dritta sul prossimo.»

Il terzo ostacolo, per cui avrei dovuto fare una girata a sinistra, era un oxer. Si trattava di una curva abbastanza dolce: come avevo già visto mentre ci dirigevamo verso il campo, non mi pareva troppo impegnativa, abituata alle brusche sterzate a cui Michele mi costringeva in maneggio. Dopo il salto un'altra girata, stavolta a mano destra, ed un altro oxer. Superato questo, avevo sulla destra un verticale, che mi avrebbe costretta ad una curva a gomito.

«Tutte queste girate servono a farti perdere precisione» mormorò Michele, mentre io misuravo la distanza tra il secondo oxer e il verticale. «A furia di tagliare le curve, poi si arriva storti sul salto. Tu non avere fretta.»

Annuii. Sapevo che la tentazione di Tramontana sarebbe stata quella di correre e avrei fatto del mio meglio per contenerla.

Sulla stessa linea del verticale, notai, inghiottendo a vuoto, c'era la gabbia.

«Per la gabbia valgono le stesse regole» disse Michele, seguendo il mio sguardo. «Vai piano. È in dirittura, per cui avete tutto il tempo per prepararvi. Meglio di così!»

Senza darmi tempo di replicare, l'istruttore aveva continuato a darmi istruzioni, mentre avanzava rapido verso l'ultimo ostacolo. Si trattava di un verticale che si trovava alla nostra sinistra, a otto tempi di galoppo dall'ultimo elemento della gabbia.

«Tutto chiaro?» concluse l'istruttore al termine di una lunga spiegazione a cui non stavo prestando alcuna attenzione, voltandosi verso di me.

Mi bloccai, arrovellandomi su un modo carino per dirgli che, impegnata a studiare il verticale qual'ero, non avevo ascoltato una sola parola di quel che aveva detto, ma la mia espressione dovette essere più esaustiva di qualsiasi spiegazione. Dopo un lungo sospiro, Michele mi ripeté tutto daccapo.

Ad attenderci, all'uscita del campo gara, c'erano tutte le ragazze al completo. 

Appoggiate alla staccionata, dovevano aver studiato a lungo il percorso da quella posizione, perché sembravano impazienti di dirmi la loro e, quando misi piede fuori dal campo, fui letteralmente presa d'assalto. Mi prendevano per le spalle e spuntavano da ogni lato, spintonandosi per farsi vedere e perché udissi i loro consigli. I miei occhi non sapevano dove posarsi e vagavano confusamente da un volto all'altro.

«Non sembra così terribile, no?»

«Le girate Michele ce le fa fare più strette!»

«Proprio per questo dovresti tagliarle, guadagneresti un sacco di tempo!»

«Otto tempi tra la gabbia e l'ultimo ostacolo?! Io proverei a farne sette!»

«La gabbia fa un po' paura, però...»

«Ragazze» le interruppe Michele, frapponendosi tra noi con decisione. 

Mi afferrò per le spalle e mi spostò di lato, liberandomi dalle loro grinfie. Doveva aver notato che stavano suscitando in me l'effetto opposto da quello sperato. 

«Perché non andate a far passeggiare un po' i vostri cavalli?»

«Ma vogliamo aiutare Sarah a preparare Tramontana...» protestò Sofia ed impallidii al solo pensiero.

«Posso aiutarla io» tagliò corto lui, con un tono che non ammetteva repliche. 


«Grazie per prima, comunque» mormorai, tirando un sospiro di sollievo, mentre passavo la striglia sul mantello di Tramontana, tutto sporco di truciolo.

«Non c'è di che» scherzò lui, che stava facendo la stessa cosa dall'altro lato.

Dalle loro finestrelle, Oxford, Pillow e gli altri cavalli osservavano incuriositi la cavalla morella legata a due venti in mezzo al corridoio. Sembrava si stessero chiedendo quando sarebbe toccato il loro turno, pensai divertita, mentre riponevo la striglia nel cassone.

Quanto a Tramontana, avendola legata con la testa rivolta verso l'uscita, da cui si intravedeva una gran confusione di equini, cavallerizzi e tecnici, fissava quello spettacolo ad occhi sgranati e spostava continuamente il peso da un piede all'altro. La osservai con una certa apprensione: speravo di riuscire a contenere tutta quella eccitazione.

Dietro di noi e, fortunatamente, dietro Tramontana, altre ragazze che avrebbero gareggiato nella mia stessa categoria stavano preparando i loro cavalli, legati anch'essi a due venti nel corridoio. Il più vicino a noi era un magnifico pony pezzato con gli occhi di due colori diversi che, con aria birichina, stava strofinando il muso sulla schiena della sua padrona, in quel momento intenta a pulirgli gli zoccoli.

Ero così incantata ad osservare l'animale che Michele dovette darmi un colpetto sul braccio per farmi riportare l'attenzione su Tramontana.

L'istruttore le aveva già iniziato a mettere sottosella ed agnellino, i cui colori bianchi spiccavano sul mantello morello di lei. Mi persi per un momento nel suo pelo lucido, le cipolline sulla criniera che mettevano in risalto la curva del suo collo, i muscoli che parevano scolpiti nel marmo, frutto del nostro duro lavoro insieme. In un soffio, realizzai che Tramontana era altrettanto magnifica.

«Cerca di non distrarti» mi ammonì l'istruttore, lanciandomi un'occhiata severa.

«Scusa» risposi, abbassando lo sguardo. 

Michele era definitivamente tornato in sé, pensai, mentre mi accingevo ad allacciare i parastinchi alla cavalla. Sopra di me, lui le stava mettendo la sella e si scusò quando il sottopancia, sfilatosi, mi colpì in pieno la nuca.

Dopo averle infilato i paraglomi ed essere passata ai posteriori per i paranocche, mi alzai in piedi, recuperai la bitless dal cassone e mi parai di fianco alla cavallina.

Fu nel preciso istante in cui le stavo infilando la testiera e, di conseguenza, mi trovavo vicinissima al suo muso, che Tramontana ebbe la brillante idea di starnutire. 

Peccato che lo fece addosso a me.

«Oh, no!» esclamai, facendo istintivamente un passo indietro. 

Troppo tardi: una strisciata di muco mi gocciolava dalla polo bianca fino ai pantaloni. In preda al panico, cercai di sfregarmela via, con l'unico risultato di allargare ancora di più i bordi della macchia.

Alzai lo sguardo su Michele, affranta, e vidi che lui stava fissando l'opera di Tramontana a sua volta e, nonostante cercasse di rimanere serio, stava ridendo sotto i baffi.

Ero sul punto di mettermi ad urlare ma, prima che potessi dirgliene quattro, lui sollevò un braccio.

«Laggiù, all'angolo. C'è una canna dell'acqua» mormorò.

Guardando dove mi aveva indicato, vidi che sul lato sinistro dell'uscita, precisamente dopo il box di Colonnello, c'era un rubinetto con accanto un tubo dell'acqua e mi precipitai correndo verso la salvezza. 

Voltandomi un attimo verso di lui, vidi che Michele stava studiando le froge di Tramontana e controllava il colore e la consistenza del suo muco.

«Tutto a posto. Devono essere stati i trucioli» mi spiegò, venendomi incontro per lavarsi le mani, mentre io facevo del mio meglio per togliere la macchia.

Annuii, sorridendo tra me e me, per un attimo dimentica di quel che era appena successo. Sapevo che per Michele la salute psicofisica dei suoi cavalli veniva al primo posto e sapevo altrettanto bene quanto gli sarebbe piaciuto studiare quegli argomenti all'università. Sarebbe stato sempre in tempo per iscriversi, forse non ad Harvard come sognava, ma ad una qualsiasi facoltà italiana di veterinaria. Speravo che ci pensasse su e non rinunciasse al suo sogno.

Mi riscossi solo quando mi accorsi che Michele, vedendomi così assorta, era intervenuto per aiutarmi. Aveva agganciato il tubo di gomma al rubinetto, onde evitare di schizzare dappertutto e, con il getto al minimo, lo stava direzionando sulla maglietta.

Nel realizzare quando si fosse fatto vicino, chino su di me, il cuore mi si impennò nel petto, ma non potevo rimanere imbambolata a quel modo. Mi sforzai di ignorare i suoi polpastrelli che, nell'afferrare i lembi macchiati della polo, continuavano a solleticarmi la pancia, e mi misi a sfregare freneticamente sul muco ancora umido rimasto sui pantaloni.

La macchia forse non venne via, ma fu ben presto sepolta da litri e litri d'acqua al punto che, quando Michele chiuse il rubinetto, sembrava avessi fatto il bagno.

«Forse sarebbe stato meglio tenermi il moccio» bofonchiai, abbassando lo sguardo sui miei vestiti gocciolanti.

Michele non commentò, limitandosi ad inarcare un sopracciglio, ma qualcosa nella sua espressione mi disse che era d'accordo con me.

Sospirando, gli diedi le spalle per tornare verso Tramontana, quando udii indistintamente un cigolio e poi lo scorrere dell'acqua. 

Ma cosa..?

Prima che potessi voltarmi di nuovo, mi ritrovai di colpo a boccheggiare, inarcando di scatto la schiena quando fui colpita in pieno da un getto d'acqua gelida. Quello che l'istruttore mi aveva puntato contro.

«MICHELE!» tuonai, facendo trasalire all'unisono Tramontana e tutti i cavalli presenti, mentre mi voltavo furibonda verso di lui.

L'istruttore era poggiato contro il muro e rideva di gusto. Aveva ancora il tubo dell'acqua in mano, l'acqua che scorreva in rivoli trasparenti ai suoi piedi.

Mi diressi a passo di carica verso di lui, che nel frattempo aveva chiuso l'acqua ma mi puntava contro la canna come un'arma, continuando a ridere a più non posso.

Ignorai bellamente quella minaccia e lo spinsi contro il muro, fissandolo con occhi che mandavano lampi, mentre lui ricambiava lo sguardo divertito. 

Crescerà mai?

Ma dopo un momento ridevo anche io, le mie mani che cercavano con scarso successo di bloccargli le braccia perché non aprisse di nuovo l'acqua. Ci accorgemmo entrambi troppo tardi, mentre io continuavo a spintonarlo e lui a ridere, di quanto ci fossimo fatti vicini. Troppo vicini.

Improvvisamente però, Michele parve rendersene conto, perché la risata gli morì in gola e alzò la testa per scrutarmi con occhi di colpo seri.

Nel ricambiare quello sguardo ammutolii anch'io, la gola improvvisamente secca. In un soffio mi resi conto che quegli occhi, fissi nei miei, stavano esprimendo una muta domanda.

C'eravamo solo noi due, adesso, i corpi incastonati l'uno nell'altro come due pezzi di un puzzle. Tutto il resto era sfumato sullo sfondo e aveva perso ogni significato: Tramontana, l'acqua, il brusio, il viavai di gente che continuava a fare avanti e indietro lungo il corridoio, del tutto incurante di noi. Il tempo pareva essersi fermato.

Il cuore continuava a scalpitarmi nel petto come impazzito, mentre soppesavo la richiesta che Michele mi stava facendo senza pronunciare una parola. Mi accorsi di volerlo, di volerlo da impazzire. Così, senza alcuna esitazione, i miei occhi gli risposero sì.

E, con lentezza estenuante, pari ad una tortura, Michele si chinò e posò le labbra sulle mie.


«Sarah, va tutto bene?»

La bocca di Michele sulla mia. Le sua mani nei miei capelli. Il mio corpo contro il suo torace.

Abbassai lo sguardo su Sofia, che stava accarezzando il collo di Tramontana, all'ingresso del campo prova.

«Scusa, hai detto qualcosa?»

La ragazza ridacchiò e diede di gomito a Monica, accanto a lei. In sussurro, ma a voce abbastanza alta perché potessi sentirla, le disse: «L'abbiamo persa...»

«Ti chiedevo se stavi bene» mormorò poi, tornando a fissarmi. «Hai una faccia strana. Sei... bagnata» aggiunse, lanciando un'occhiata perplessa ai miei vestiti umidi.

Li fissai a mia volta e, al ricordo di quello che era successo giusto qualche minuto prima, sentii che le guance mi si facevano bollenti e sperai che le due ragazze non se ne fossero accorte.

«I-io...» balbettai. «S-sì, sì certo. Tutto bene. Ho solo fatto un po' di casino con la canna dell'acqua.»

Le mie mani tremavano, mentre stringevano le redini di Tramontana.

«Ricordati di respirare» mormorò Monica, a cui la cosa non era sfuggita, ridendo.

«Noi saremo sugli spalti» disse Sofia, sorridendomi con aria incoraggiante. «Metticela tutta!»

Dopo avermi salutata, osservai Sofia, Monica e le altre ragazze avviarsi verso le tribune, in mezzo alla folla, ma non le stavo guardando sul serio. La mia mente era altrove.

Non potevo credere che fosse successo.

Non potevo credere che fosse successo davvero.

Michele mi aveva baciata.

E, nel preciso istante in cui l'aveva fatto, mi ero resa improvvisamente conto di quanto a lungo lo avessi desiderato. Era stata una rivelazione di qualcosa che, dentro di me, avevo sempre saputo. Ero stata finalmente onesta con me stessa. 

Da quanto ero cotta del mio istruttore? Da quell'estate? Da prima? 

Pensai a quando avevo iniziato a frequentare il suo maneggio, a quando erano i genitori a fare le lezioni e lui, appena diciassettenne, si limitava a muovere i cavalli e a dar loro da mangiare. 

Già allora, quando mi prendeva in giro e mi trattava come fossi la sua sorellina, ero in qualche modo affascinata da lui? O era successo negli ultimi anni, quando Michele aveva preso su di sé il maneggio ed era diventato un istruttore a tutti gli effetti? Ma soprattutto, cos'aveva significato quel bacio per lui? Dopotutto era stato lui a posare le sue labbra sulle mie.

Al solo ricordo di quella sensazione, delle nostre bocche che si sfioravano, prima timidamente, poi con più sicurezza, unendosi l'una all'altra come se quello fosse esattamente il loro posto, ero assalita di nuovo dalle palpitazioni, dal respiro corto e, altro che farfalle nello stomaco, mi pareva di avervi dentro un branco di cavalli selvaggi al galoppo.

«Sarah.» L'istruttore era apparso di fianco a me. «Andiamo?»

Di fronte al suo tono inafferrabile e al suo volto, che pareva una fortezza inespugnabile, avrei voluto scuoterlo fino a cavargli di bocca la verità, ma in quella situazione, con Tramontana sotto di me che fremeva per partire, il campo prova gremito e il nostro momento che si avvicinava sempre di più, non potei far altro che annuire.

Feci per spronare Tramontana, ma non ce ne fu alcun bisogno, dato che la cavallina non vedeva l'ora di buttarsi nella mischia e partì da sola al trotto. Notai che per una volta non era la più nana tra i presenti, trattandosi di una categoria riservata ai pony ma, anzi, era tra le cavalcature più alte.

Michele mi seguiva e mi dava istruzioni, ma non riuscivo a guardarlo negli occhi per più di cinque secondi senza diventare un peperone e parevo sorda ad ogni sua parola, tant'è che dovette richiamarmi più volte.

«Guarda dove vai!» mi apostrofò in malo modo una ragazza in sella a un baio, a cui avevo appena tagliato la strada dopo un salto. 

Feci per scusarmi, ma lei si limitò a guardarmi dall'alto in basso, scuotendo la testa quando l'occhio le cadde sulla bitless, poi diede di gambe e si allontanò al piccolo trotto.

Ripensai in un lampo alle parole di Sofia e mi parvero più vere che mai. "In campo prova te ne renderai conto." Senza aiuti e per di più con quella testiera considerata naif dai più, Tramontana ed io stavamo attirando numerosi sguardi e commenti sottovoce tra gli altri cavalieri. Non c'era cavallo che non avesse imboccatura e chiudibocca e tutti gli altri ragazzi indossavano gli speroni. Molte di loro, notai con ammirazione, montavano come se non li avessero avuti, ma c'era chi sfogava il proprio nervosismo per la gara imminente sui fianchi del proprio animale, incurante delle sue proteste.

Distolsi lo sguardo da quelle scene raccapriccianti e beccai Michele a fare lo stesso. In quel momento vidi avvicinarsi l'istruttore con gli occhiali da sole che ci aveva fermato prima della ricognizione.

«Ehi, Michele!» proruppe, indicando la bocca di Tramontana. «Prossima volta direttamente con il cerchio?»

Scoppiò a ridere fragorosamente, come se si trattasse di una battuta esilarante, e diede una poderosa pacca sulla spalla di Michele, che non aveva reagito. La sua espressione era rimasta immutata, ma sapevo che si stava trattenendo dal mettergli le mani al collo.

Non appena il simpaticone se ne fu andato, Michele mi indirizzò verso il lato del campo da cui partivano i binomi diretti sugli ostacoli, che quindi rimaneva sgombro molto più a lungo degli altri.

Sfruttai quello spazietto per far fare a Tramontana dei circoli di trotto e galoppo, ma non riuscivo a concentrarmi e, più me ne rendevo conto, più mi saliva l'ansia, in un circolo vizioso. Avevo lo stomaco in subbuglio, Tramontana faceva di testa sua e sentivo, sapevo che avrei fatto un disastro.

Quando, dopo aver chiamato il verticale, vi portai Tramontana e il salto si risolse in un rifiuto, provocando occhiate, risolini e commenti velenosi intorno a noi, mi salirono le lacrime agli occhi.

«Ehi» mormorò Michele, facendosi vicino. «Devi cercare di calmarti.»

Il suo tono di voce era calmo e gentile e si fece pian piano strada nella mia agitazione. Non sembrava affatto arrabbiato per il comportamento che Tramontana aveva messo in atto di fronte al salto per colpa mia.

Vedendo quanto mi tremavano le mani, l'istruttore me le strinse, ma quella stretta ebbe solo l'effetto di cancellare la pace che la sua voce aveva suscitato di me e di provocare una capriola nel mio stomaco.

Gli lanciai un'occhiata di rimprovero e Michele stava per dire qualcosa, quando la voce dell'altoparlante lo interruppe.

Ci scambiammo uno sguardo.

Avevano appena fatto il mio nome.


Suona la campana. Entri, fai fermare Tramontana. Saluto.

Mentre osservavo il binomio in gara prima di noi concludere il percorso –"NETTO!" berciò lo speaker – continuavo a ripetere quelle frasi in testa come una cantilena, certa che mi sarei scordata qualcosa, nervosa com'ero.

Quando infine il trillo della campana arrivò, impugnai le redini di Tramontana, nonostante le mani mi tremassero in modo incontrollabile, e la feci avanzare davanti ai giudici.

Malgrado l'ansia che sapevo di starle comunicando in quel momento, mi bastò sedermi appena un po' più rilassata sulla sella perché la cavallina si fermasse in un alt da manuale.

Ringraziando silenziosamente qualcuno lassù, chinai il capo e tesi il braccio, pregando che nessuno si accorgesse di quanto mi stessero ondeggiando le dita della mano, e rivolsi un cenno di saluto alla giuria.

Quindi, con il cuore in gola e lo stomaco sottosopra, iniziò la nostra gara.

Ruotai con il busto in direzione del primo oxer e Tramontana si voltò insieme a me, le orecchie dritte in direzione dell'ostacolo. Pensai a come sarebbe stato umiliante se, esattamente come in campo prova, Tramontana avesse rifiutato sul primo ostacolo, ma scacciai quel pensiero dalla testa. Il primo passo perché non si avverasse era smettere di rimuginarci sopra.

Cercai di sgombrare la mente, cosa pressoché impossibile, e di respirare. Eravamo già in prossimità dell'oxer. Com'era successo? Percepii Tramontana accelerare l'andatura e poi spiccare il salto.

La seguii nel movimento, lo sguardo già puntato sul verticale in dirittura, come fossimo già lì. E cinque battute di galoppo dopo vi eravamo davvero.

A quel punto voltai testa e busto verso sinistra e Tramontana con me, come se fossimo state un solo corpo, gli occhi fissi sul prossimo ostacolo.

L'oxer si stagliava di fronte a noi e sentii Tramontana accelerare di nuovo. Cercai di trattenerla un po', ma in quel momento non avevo la forza di contrastarla davvero e lei se n'era accorta da un pezzo. Arrivammo di molto sotto l'ostacolo e temevo già il peggio, ma con uno sforzo di posteriori Tramontana si librò in alto e tese al massimo il suo corpo per superare il largo.

Atterrammo sulla sabbia con un tonfo e, mentre ci voltavamo verso destra, Tramontana adocchiò l'oxer e, presa dall'eccitazione, tagliò la curva senza che riuscissi ad intervenire, facendoci arrivare del tutto storte sul quarto ostacolo.

Sentivo che avrebbe rifiutato, ma ancora una volta la cavallina mi salvò, spiccando il salto malgrado il pessimo avvicinamento.

Potevo percepire lo sforzo di Tramontana sotto di me, del tutto spaesata dalla mia passività. Sì, la stavo seguendo sui salti senza appesantirla né appendermi alle redini, ma per il resto l'avevo abbandonata a se stessa e non poteva affrontare il percorso da sola.

Lottando furiosamente contro i pensieri che mi si agitavano dietro gli occhi – il bacio, gli sguardi altezzosi che fissavano la bitless di Tramontana, i risolini – effettuammo una girata a destra e ci avvicinammo al verticale.

Dietro di lui, minacciosa, si stagliava la gabbia.

Avevo già lo sguardo su di lei, mentre Tramontana si raccoglieva e spiccava il salto, come se stessimo sorvolando quella, invece del verticale.

Tramontana aveva appena posato gli anteriori a terra, l'incollatura distesa, quando la sentii perdere l'equilibrio. Caddi un po' in avanti sulla sella, aspettandomi che, dopo quel piccolo inciampo, la cavalla riprendesse la falcata di galoppo, ma non fu così. La sentii andare giù, sempre di più, stramazzare sulla sabbia con un lamento, ed io con lei.

L'ultima cosa che vidi fu quella gabbia che non avremmo mai affrontato.

Poi calò il buio.


IN FOTO: Sarah e Tramontana il giorno della gara.

Ehilà! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Devo dire un bel po' di cose a proposito, quindi arraffate dei pop corn e mettetevi pure comodi XD

Prima, però, devo mettere le mani avanti: come forse avrete immaginato leggendo, non so assolutamente NIENTE di gare... ho completamente improvvisato. Spero che le cose che Michele dice a Sarah durante la ricognizione abbiano un minimo di senso, altrimenti chiedo scusa e, anzi, sono pronta ad ascoltare le vostre eventuali correzioni XD Infatti sapevo fin dal principio che ci sarebbe stata una gara, il momento in cui Sarah avrebbe finalmente scoperto la verità sui suoi sentimenti e avrebbe di conseguenza compromesso l'esito della sua competizione, ma trovarsi poi a scrivere della suddetta senza saperne assolutamente nulla... aiuto. È stata dura! 

Ma passiamo alle cose importanti: Tramont.... IL BACIO! *fuochi d'artificio* Ve lo aspettavate?! Dai, negli ultimi capitoli la cosa si era fatta abbastanza palese. Adesso posso definitivamente parlare della love story più lenta e in sordina che abbia mai scritto ç-ç Ma d'altronde ci tenevo a far sì che le cose si sviluppassero mooolto lentamente, visto il delicato rapporto che lega i due protagonisti. 

Ma, prima che qualcuno (Ma chi? Sono mitomane) mi insegua con un forcone, solo un paio di precisazioni: tra Sarah e Michele ci sono 5 anni di differenza. Per alcuni potranno sembrare tanti, per altri pochi *nasconde la foto di Conte dietro la schiena* ma, dal momento che Sarah ha 16 anni, una loro eventuale relazione sarebbe lecita dal punto di vista legale. Quello che la me ingenua non aveva messo in conto, quando ha iniziato a scrivere la storia (già con l'idea di far mettere insieme i protagonisti) è che Michele, essendo un istruttore federale, potrebbe comunque passare dei guai per essersi innamorato di un'allieva. Ups. Ma, dal momento che si tratta di un'opera di fantasia, vi chiedo di chiudere un occhio!

E niente, dopo tutto questo inutile sproloquio, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Nel prossimo scopriremo cosa è successo a Tramontana e come Sarah e Michele affronteranno la verità sui loro sentimenti.

Un bacio (anche da parte di Michele)

Captainwithoutasoul.

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