My dream come true

By Captainwithoutasoul

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Le uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arr... More

Premessa
Personaggi & Trailer
Il maneggio di Michele
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
È la fine?
Missing Moment - Il compleanno di Sarah

Capitolo 22

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By Captainwithoutasoul

Quella mattina mi svegliai per colpa di una fastidiosa luce in pieno viso, come se qualcuno mi stesse puntando contro una torcia.

Ancora intontita dal sonno, aprii gli occhi e vidi che il sole, malgrado le tende tirate, stava filtrando dalla finestra e proiettava una lama di luce sul mio volto.

Mi stropicciai gli occhi, stirando la schiena. Significava che il sole era già alto. Chissà che ore erano... l'occhio mi cadde sulla sveglia che avevo sul comodino.

«LE NOVE?!» esclamai, scalciando via le coperte. 

Avrei dovuto avere lezione con Michele esattamente a quell'ora!

Chiedendomi come mai la sveglia non avesse suonato, scattai in piedi, volai in bagno e quando uscii dal corridoio ero già mezza vestita, a rischio di inciampare mentre mi tiravo su i pantaloni da equitazione. Finii di abbottonare la camicia a scacchi senza maniche in tempo record, saltando probabilmente la metà dei bottoni, e lanciai una rapida occhiata allo specchio del corridoio per accertarmi di essere almeno un po' in ordine. 

Nel ricambiare il riflesso, sorrisi vagamente tra me e me: non mi tiravo mai indietro se si trattava di prendere in giro Michele, ma ero la prima a condividere la sua folle passione per le camicie. Una delle tante cose che avevo in comune con il mio altrettanto folle istruttore.

Nel pensare a lui, un altro pensiero fece improvvisamente capolino in un angolo recondito della mia mente, come il suo tocco su di me mentre mi aiutava a salire in sella... ma lo scacciai con la stessa velocità con cui era arrivato, sostituito da uno ben più importante: ero in un ritardo spaventoso!

Mi gettai sulle scale, cercando contemporaneamente di infilarmi gli stivali, e se arrivai al piano di sotto senza essermi spezzata l'osso del collo fu un vero miracolo.

Attraversando di corsa la cucina, vidi che mia madre era ai fornelli, dai quali proveniva un odore a dir poco delizioso. Di mio padre nessuna traccia: doveva essere sempre di sopra.

«Mamma!» esclamai, facendola trasalire. «È tardissimo! Perché non mi hai svegliata? La sveglia non ha suonato!»

Lei si voltò verso di me, travolta da quel fiume in piena che erano le mie parole, la spatola da cucina a mezz'aria. 

«Ma... siamo in vacanza, tesoro» obbiettò, non riuscendo a trattenere un sorriso divertito. «Capirei se mi facessi questo discorso il giorno della gara. A proposito, ricordami il giorno.»

«Il 23 Agosto» risposi, provando un brivido d'eccitazione al solo pensiero. 

Solo una settimana

Mentre afferravo il gilet dall'attaccapanni, lanciai uno sguardo oltre la spalla di mia madre. «Stai facendo i pancakes?»

«Già» rispose lei, senza voltarsi. «Ma mi pare di capire che stai andando di fretta...»

Ignorai il suo tono canzonatorio. «Sì, mamma. Stamattina avrei dovuto montare Killer.» 

Vista l'ora, però, probabilmente era tutto saltato, visto che Michele alle dieci aveva lezione con le altre. Ma forse avrei potuto montarlo comunque, anche se per poco...

Ero così presa dai miei pensieri che ci misi un momento per accorgermi che la mia risposta era caduta nel silenzio. Mi chiesi se avessi detto qualcosa di male. Non era un segreto che avessi iniziato a montare il baio e sapevo anche che i miei non erano esattamente entusiasti all'idea, ma d'altronde potevo capire la loro preoccupazione.

«Come va con lui?» chiese infine mia madre, in tono vago.

«È bravissimo, mamma» risposi. Era la verità.

Lei si voltò verso di me, la sua espressione chiaramente preoccupata mitigata da un sorriso sincero. «Sono contenta. Mi fido di Michele.» Poi aggiunse, perplessa: «Ma non eri in ritardo?»

«CAVOLO!»

Scoccando un ultimo sguardo colmo di desiderio su ciò che sfrigolava sui fornelli, mi preparai a malincuore un toast, che finii in tre morsi lungo il tragitto da casa mia al maneggio.

Quando arrivai, trafelata, trovai Michele da solo ad attendermi, sulla soglia del Club House.

«Scusa il ritardo!» esclamai, senza fiato. «La sveglia non ha suonato.»

Per tutta risposta, Michele mi rivolse un sorriso sornione. Prima che potessi aprire bocca per chiedergli spiegazioni, lui mi informò che alla fine le ragazze, sapendo che nel pomeriggio ci saremmo allenate come ogni giorno in vista della gara, quella mattina avevano optato per una passeggiata insieme ad Azzurra. Morale della favola: Michele aveva tutta la mattina libera da dedicarmi.

«Non mi sembri troppo contenta» osservò lui perplesso, quand'ebbe finito.

Scacciai il pensiero dei pancakes a cui avevo eroicamente rinunciato per la causa in un angolo della mente.

«Scusa, ero sovrappensiero. Vado a prendere Killer.»


Il baio mi attendeva in paddock, come al solito, ma quasi mi venne un coccolone quando vidi che mi stava venendo incontro insieme a Tramontana.

Mi sfregai gli occhi per essere sicura che non vi fosse solo la cavalla morella: no, non ci vedevo doppio, Killer e Tramontana stavano davvero trottando nella mia direzione.

Mi dovetti appoggiare alla staccionata del paddock – evitando il filo della corrente per un pelo – per riprendermi dallo shock.

Trattenendomi a stento dal gridare di gioia, entrai nel paddock e andai loro incontro, strapazzando i loro musi con affetto. Tramontana si lasciò coccolare come un cucciolo, mentre Killer resistette stoicamente dieci secondi prima di farmi le orecchie.

«Ora sì che ti riconosco»mormorai, ridendo.

Gli misi capezza e longhina e lo condussi verso l'uscita, perdendomi nell'osservare i suoi movimenti aggraziati, i muscoli che si intravedevano ad ogni suo passo, il pelo lucido e sano malgrado qualche traccia di fanghiglia, gli occhi sereni. Era più bello che mai. Ed era merito nostro.

Dopo aver chiuso il cancello, Killer ed io ci avviammo lungo il sentiero in direzione del maneggio, con Tramontana che, lungi dal lasciarci andare via, ci venne dietro nitrendo fin quanto glielo consentiva il paddock. Non vedendola più al nostro fianco, il baio si voltò nella sua direzione e nitrì. Osservai quella scena ad occhi sgranati, nel notare quanto poco ci era voluto perché i due si imbrancassero.

Killer esitava ed io lo spronai appena perché voltasse la testa e riprendesse a camminare. Cercò di opporsi, ma la sua resistenza durò poco e in un attimo tornammo a procedere spediti. Mentre costeggiavamo i paddock, mi cadde l'occhio su quello di Wind e mi accorsi che era vuoto.

«Wind non è in paddock?»  domandai a Michele, quando ebbi portato Killer nelle poste per strigliarlo, l'istruttore che ci ronzava attorno in trepidante attesa.

Lui si bloccò. «No. È in passeggiata con Deborah.»

Mi voltai verso di lui, così rapidamente che Killer trasalì. «Sul serio?» esclamai, emozionata.

Michele mi sorrise. «Sì. Ieri pomeriggio l'ho montato io per portare le ragazze in passeggiata ed è stato bravissimo. Era pronto, Sarah.»

Annuii. Potevo immaginare quel che intendeva, la sicurezza che il grigio gli doveva aver trasmesso in sella, ma il suo cambiamento era radicale e sarebbe saltato all'occhio di chiunque. 

Oltre a non aver mai più zoppicato da quando Michele aveva interrotto le sue cure, Wind era sereno, tranquillo ed incredibilmente dolce: aveva rivelato un lato affettuoso che anni e anni di maltrattamenti dovevano avergli fatto quasi dimenticare. Si lasciava coccolare per ore e ore da Deborah e mi dava i brividi il modo in cui fissava la gracile ragazzina: era il centro del suo universo e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.

«Sono davvero felice per Deborah» mormorai, voltandomi per finire di passare la spazzola sul mantello di Killer, ormai praticamente immacolato.

Avevo già pulito gli zoccoli ed iniziai a sellarlo, posandogli il suo sottosella celeste e l'agnellino sul garrese.

«Credo che tu ti paragoni troppo a lei» esclamò Michele all'improvviso. 

Era al fianco di Killer, dall'altro lato delle poste, e lo stava accarezzando distrattamente sulla guancia. Sentivo il suo sguardo su di me ma stavo ben attenta a non ricambiarlo, perché sapevo che mi avrebbe smascherata all'istante. Gli occhi fissi sulla sella di Killer, mi dedicai ad agganciargli il sottopancia con tutta la dedizione di cui ero capace.

«Lo so che per certi versi è inevitabile» continuò Michele, ignorando deliberatamente il mio silenzio. «State svolgendo un lavoro simile e avete iniziato nello stesso periodo. Ma sono due cavalli profondamente diversi, che hanno bisogno di tempi e attenzioni diverse. So che sei sincera quando ti complimenti con Deborah per i suoi progressi, per il fatto di aver cambiato Wind in meglio, ma credo che in quei momenti tu ti senta sempre inferiore. Non sottovalutarti. Hai fatto un lavoro altrettanto buono con Killer.»

Alzai infine gli occhi, dopo aver giocherellato con la solita fibbia del sottopancia per cinque minuti senza averne agganciata neanche una. «Lo pensi davvero?»

«Certo» rispose lui con dolcezza.

Deglutii. «È che...» Esitai, sforzandomi di trovare le parole giuste. «...è un po' frustrante. Certo, sono contentissima dei progressi fatti con Killer, ma lui, non so come dire... lui mi dà meno soddisfazione. Non mi guarda con quello sguardo innamorato, non si sdraia accanto a me, a malapena si lascia accarezzare! È come se non avessimo costruito nulla o quasi.»

Mi ero messa ad agganciare il sottopancia – sul serio, stavolta – e udii Michele sbuffare divertito. Alzai lo sguardo e lo vidi dare un buffetto affettuoso sul muso di Killer che, per tutta risposta, cercò di azzannargli il dito.

«Sei un po' ingiusta con questo squaletto qui» ridacchiò, togliendo la mano appena in tempo. «È semplicemente questione di carattere, esattamente come per le persone. Killer manifesta il suo affetto per te in maniera diversa, sicuramente meno esplicita. Ma lo fa eccome.»

Afferrai la testiera e misi al fianco del baio, dal lato opposto rispetto a quello di Michele. Dopo avergli sciolto la capezza, compii lo stesso identico gesto dell'istruttore, avvicinando le dita alla sua bocca per fargliela aprire, ma stavolta Killer la spalancò solo per lasciarsi mettere il filetto.

«Lo vedi?»

Incrociai lo sguardo di Michele, che stava fissando la stessa cosa, e sorrisi.

«Diciamo che Killer non è particolarmente socievole. Anzi, per niente» si corresse lui, strappandomi una risata. «Vorrà dire che quelle rare dimostrazioni di affetto che ti farà saranno più preziose di quelle che Wind regala a Debs tutti i giorni. Più speciali. Hai capito cosa intendo?»

Ripensai a Killer che mi trottava incontro, giusto quella mattina, a ciò che avevo provato, e annuii. Non ero onesta, dicendo che con lui non avevo costruito pressoché nulla.

Gli diedi una carezza sul collo e lo feci indietreggiare lentamente fino a farlo uscire dalle poste. A quel punto ci incamminammo fianco a fianco verso il campo grande, Michele che ci seguiva a poca distanza.

«È per questo che ti sei fatta aiutare con Killer da Deborah, quel giorno nel campo grande?» mi chiese all'improvviso.

Mi voltai di scatto verso di lui, di colpo paonazza.

«E tu come fai a saperlo?!»

Lui scrollò le spalle e ridacchiò sommessamente. «Vi ho viste dal Club House.»

Ripensando al mezzo fiasco che era stata quell'esperienza, arrossii ancora di più e stavo per ribattere, quando Michele parlò di nuovo.

«Se vuoi dopo la lezione possiamo riprovare insieme.»


«Se si allontana da te, dagli scomodità» mi stava spiegando Michele, circa un'ora e mezzo dopo la fine di una lezione in piano che mi aveva fatto realizzare ancora di più quanto i nostri progressi, sebbene non molto evidenti, fossero concreti.

Killer era immobile al centro del campo grande, libero.

«Deve imparare che il posto in cui gli conviene più stare è al tuo fianco.»

«Come faccio a farlo sentire scomodo?» chiesi, perplessa.

Lui mi rivolse uno sguardo comprensivo. «Muovendoti e usando la voce, lo stimolerai a muoversi con te. Se non lo farà o cercherà di scappare, dovrai creargli una scomodità, da rimuovere, mi raccomando, non appena avrà obbedito. Con quella» spiegò, indicando la frusta che avevo in mano, «crei scomodità. Considerala un prolungamento del tuo braccio. Se non parte insieme a te, lo tocchi leggermente sui posteriori. Se cerca di fuggire, lo riporti in linea. Per adesso, comunque, ti limiterai a farti seguire da lui, invece di girarlo.»

Limitarmi? Sarebbe stato già un miracolo, pensai.

Killer intanto, visibilmente annoiato dalla nostra passività, ci aveva lasciato perdere e i quel momento stava gironzolando per il campo a testa alta, sollevando cumuli di sabbia ad ogni passo.

«L'altra volta volevi girarlo ma lui non ti ascoltava, giusto?» mi domandò e mi affrettai ad annuire, ancora vagamente a disagio all'idea che Michele avesse visto tutto.

«Il che in realtà è strano...» disse lui, pensieroso. «In tondino lo hai girato in libertà per settimane, quindi è un concetto che dovrebbe aver assimilato bene. Eri per caso nervosa, quel giorno?»

Ripercorsi con la mente gli eventi di quella mattina. Michele mi aveva piantata in asso per andare a preparare il pranzo, ero frustrata perché volevo a tutti i costi montare Killer, mentre Deborah era già salita su Wind...

«Forse. Un pochino.»

Lui mi fissò con aria scettica, ma evitò di fare ulteriori domande.

«Su, proviamo!» tagliò corto, facendosi da parte ed indicandomi Killer con lo sguardo.

Mi diressi decisa verso di lui, che si era allontanato parecchio ma, non appena mi vide, il baio partì al trotto, distanziandosi ancora di più da me. Sospirai, frustrata.

«No, Sarah» mi disse Michele pazientemente. «Devi andargli incontro piano, non come un carro armato.» 

Il suo paragone mi fece ridere, ma l'istruttore non aveva ancora finito. 

«Se gli vai dritta incontro in quel modo, sembrerai un predatore. È normale che la sua prima reazione sia quella di scappare. E nascondi quella frusta!»

Cercai di fare come lui mi aveva detto. Mi mossi piano, senza perderlo di vista ma allo stesso tempo senza mai guardarlo dritto negli occhi, la frusta dietro la schiena. Invece che andargli incontro direttamente, allungai il giro e lo raggiunsi di fianco, sempre in punta di piedi.

«Bene così.»

Killer fece qualche passo nella direzione opposta, ma con meno convinzione. Ormai eravamo così vicini che, se avessi sporto un po' il braccio, lo avrei potuto afferrare per la criniera.

Decisi di provare e, quando le mie dita si intrecciarono nei suoi crini neri e Killer non si mosse, un'ondata mi sollievo mi travolse. Mi avvicinai anche con il resto del corpo e mi affrettai ad accarezzare il baio su tutto il corpo, sempre tenendo la frusta fuori dalla sua visuale.

Voltando appena la testa, incrociai lo sguardo di Michele, che mi fece un cenno di incoraggiamento.

Così mi posizionai al fianco di Killer, al livello della sua spalla e, schioccando la lingua, iniziai a camminare. Vedendo che il baio non accennava a muoversi, srotolai piano la frusta dietro di me e la agitai sulla sabbia, vicino ai suoi posteriori.

Killer fece uno scatto in avanti e a quel punto smisi di schioccare la lingua e riarrotolai la frusta più velocemente che potei, anche se agire così in fretta senza compiere movimenti bruschi non era facile.

Stavamo camminando fianco a fianco, realizzai in un soffio, per poi tornare a concentrarmi sul baio che, in assenza di istruzioni, stava già aumentando il passo.

Fischiai e vidi il suo orecchio ruotare in direzione del suono. Non aveva accennato a rallentare, però, così mi bloccai io stessa ed arrivai a toccargli il petto con la frusta. A quel punto il baio si fermò a sua volta.

Lo accarezzai di nuovo e, su consiglio di Michele, riprovai ancora un paio di volte, sempre camminando in linea retta. Inutile aggiungere cambiamenti di direzione, per il momento.

Man mano che riprovavamo, Killer diventava sempre più reattivo. Partiva non appena accennavo un passo e si arrestava non appena non mi vedeva più muoversi con lui. "Togli la frusta! Continua a fischiare! Smetti di fischiare!" mi ricordava ad intervalli regolari Michele, dal centro del campo. Erano davvero tante le cose da ricordare ma, esattamente come per Killer, anche a me serviva un po' di pratica.

Una ventina di minuti dopo mi ritrovai a girarlo in mezzo al campo, Killer che trottava intorno a me come se lo stessi tenendo per la longhina.

«Wow...» non riuscii a trattenermi dal sussurrare, di fronte a quello spettacolo.

Michele stava fuori dal cerchio e seguiva Killer a debita distanza, pronto ad intervenire nel caso il baio avesse deciso di allontanarsi, ma entrambi sentivamo che non l'avrebbe fatto.

Quando rallentava senza il mio permesso gli toccavo i posteriori con la frusta, incitandolo a prolungare il giro ancora un po': lavorare e faticare, quella era la scomodità.

Quand'ebbe concluso un giro intero senza mai fermarsi, fischiai e mi abbassai sulla sabbia. Killer rallentò all'istante – era chiaro che non aspettava altro – e mi venne incontro.

Si fermò ad un passo da me e mi trattenni a stento dal gettargli le braccia al collo, perché sapevo che non avrebbe gradito.

«Bravo bello» bisbigliai, senza riuscire a smettere di accarezzarlo. Mi voltai verso Michele, gli occhi che mi brillavano. «Hai visto?!»

Lui mi sorrideva. Non sembrava affatto stupito.

«Si può sapere dove hai imparato tutte queste cose?» gli chiesi, ancora troppo elettrizzata per anche solo pensare di stare ferma o zitta.

Michele mi allungò la capezza di Killer e scrollò le spalle. «In America, qualche anno fa.»

Mi si accese una lampadina. Sapevo che, ai tempi in cui erano ancora i suoi genitori a gestire il maneggio, Michele aveva passato un periodo nel Massachusetts. Se non ricordavo male, era stato durante il suo anno sabbatico.

«Dove hai comprato Harvard?» chiesi d'istinto, pensando al suo quarter horse.

Lui sorrise. «Sì, esatto. Là ho conosciuto diverse persone che lavoravano i cavalli in questo modo e mi sono fatto insegnare qualcosina.» Rise, notando il mio sguardo impressionato. «Te l'assicuro, non è niente in confronto a quello che fanno loro. Ma mi rendo conto che ti sembri qualcosa di rivoluzionario. Qui in Italia siamo ancora molto indietro.»

Pronunciò l'ultima frase con una punta di rammarico e non replicai, mentre mi precedeva verso l'uscita del campo. Osservandolo allontanarsi, con i jeans sbiaditi e la camicia a scacchi, ripensai alle parole che mi aveva appena detto e cercai di immaginarmelo con un cappello da cowboy in testa, intento a montare un bronco da rodeo, e mi sforzai di non scoppiare a ridere.

Le ragazze ci raggiunsero per pranzo.

Spaparanzata sulla panchina del Club House, le osservai dissellare i loro cavalli, docciarli e steccarli, il tutto sovrastato da un fitto chiacchiericcio: chi schizzava le altre con la gomma dell'acqua, chi commentava la passeggiata di quella mattina, chi lamentava i morsi della fame.

Ero curiosa di sapere da Deborah come fosse andata la sua prima passeggiata insieme a Wind, ma non vedevo né lei né il grigio da nessuna parte: probabilmente lo aveva portato in paddock.

Benedetta passò vicino al Club House con Paprika alla mano ed i nostri sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, prima che lei lo rivolgesse altrove. Nel vederla avevo avuto un fremito, ma era stato davvero questione di attimi: ormai ci stavo facendo l'abitudine.

Dal giorno in cui era venuta in maneggio e l'avevo affrontata, Benedetta era sempre al maneggio. Era ufficialmente tornata. Avevo temuto che tutto sarebbe tornato come prima, che avrebbe ripreso a tormentarmi, che le sue amiche avrebbero ricominciato a ridacchiare quando passavo in mezzo a loro o a lanciarsi sguardi d'intesa di cui io ero all'oscuro, che le poche ragazze con cui mi sembrava finalmente di andare d'accordo cambiassero idea e tornassero tra le sue fila. Ma non era andata così.

Benedetta mi ignorava: non commentava più quello che facevo, non mi fissava più con quell'aria sprezzante, non mi faceva più alcun dispetto. Anche perché, dopo quello che mi aveva rivelato, se avesse compiuto una qualunque di quelle azioni sarebbe parsa davvero poco credibile. Mi ignorava completamente e, a quanto pareva, aveva detto alle sue poche seguaci rimaste di fare lo stesso.

Mi sembrava di essere tornata a respirare. Non avevo mai creduto che una convivenza più o meno pacifica tra noi sarebbe mai potuta funzionare e non avevo idea di come si sarebbero messe le cose in futuro, ma per il momento era tregua.

Quando Debs comparve sulla soglia del Club House, la braccai, facendole quasi prendere un colpo.

«Deborah!» esclamai, emozionata. Mi sembrava quasi di essere lei, per una volta. «Michele mi ha detto di Wind!»

Lei annuì. «Oh Sarah, è stato bravissimo! Abbiamo anche galoppato!»

Non riuscii a trattenermi dall'abbracciarla. «Sono così felice.»

Quando si staccò dall'abbraccio, Deborah chiese: «E tu? Stamattina non dovevi montare Killer?»

Ripensai alla meravigliosa lezione di quella mattina e le feci un sorrisetto.

«Tieniti forte.»


Da una settimana, le ragazze che avrebbero partecipato alla gara si allenavano con Michele nel tardo pomeriggio, quando la calura estiva si faceva sopportabile.

Quel giorno non fu un'eccezione. Dopo pranzo le altre ragazze tornarono a casa, comprese Deborah e, fortunatamente, anche Benedetta. Era abbastanza scontato che Benny, essendo tornata da così poco, non avrebbe potuto partecipare alla competizione con Paprika, ma mi aveva stupito la decisione dell'altra. Debs però era stata irremovibile: non si sentiva pronta per affrontare una gara al momento e decretò che in futuro vi avrebbe partecipato solo e soltanto con Wind. La cosa mi fece sorridere.

Noialtre restammo un po' a chiacchierare al Club House per ingannare l'attesa, ma la nostra mente era altrove. Non appena ricevemmo da Michele il permesso di andare a preparare i cavalli, saltammo in piedi come molle.

Monica ed io ci avviammo insieme a prendere le nostre cavalle e per la seconda volta quel giorno assistetti alla melodrammatica separazione tra Killer e Tramontana, stavolta al contrario.

«Da quando sono così legati?» mi domandò Monica, stupita, fissando la cavallina morella nitrire disperatamente in direzione di Killer. 

Pillow la osservava ad occhi sgranati: sembrava stesse chiaramente pensando "Ma che combina questa qui?" e fece scoppiare entrambe a ridere.

«Nelle ultime settimane Michele li ha lasciati in paddock insieme» spiegai poi alla ragazza. «Che ti devo dire? Dev'essere scoppiato l'amore.»

Trascinai Tramontana lungo il sentiero, incurante delle sue proteste, e tirai un sospiro di sollievo quando finalmente arrivammo alle poste e potei legarla. Mi osservai le mani, scuotendo leggermente la testa: avevo i palmi arrossati dalla longhina.

Dopo aver legato la cavalla ai due venti, presi il beauty e la pulii alla bell'e meglio. Poi procedetti a sellarla e conclusi mettendole parastinchi, paranocche e paraglomi. Notai divertita che ormai sembrava essere abituata a quegli strani aggeggi attaccati alle zampe. Ormai non si chinava più per annusarseli e, anche quando ci avviammo nel campo grande, non si muoveva più ondeggiando sulle zampe come un'ubriaca.

Michele ci attendeva al centro del campo. Passò tra di noi per assicurarsi che i sottopancia e le staffe di tutte fossero a posto e poi ci invitò a salire in sella.

Mentre l'istruttore le metteva in fila, osservai le ragazze sfilarmi davanti, mentre si accorciavano le redini, sistemavano l'assetto o finivano di allacciarsi un cap difettoso e, come al solito, constatai con un certo divertimento di essere la più bassa, insieme a Tramontana. C'erano Alessia e Falco, in testa al gruppo, seguite da Sofia e Oxford, Alice e Colonnello, Marta e Yale ed infine Monica e Pillow. 

Mi accodai al gruppo come sempre, la cavallina nera che sembrava aver finalmente appreso di dover lasciare un po' di ossigeno tra lei e Pillow senza che dovessi continuamente intervenire a ristabilire la distanza.

Michele ci fece riscaldare con un po' di trotto, galoppo e barriere a terra, sulle quali Tramontana si comportò in modo impeccabile. Michele non mi disse nulla, ma ormai mi ero abituata al fatto che, se non interveniva, era perché avevamo svolto l'esercizio nel modo corretto: durante quegli allenamenti l'istruttore era stranamente di poche parole, come se la faccenda della gara facesse sentire sottosopra anche lui. Partecipando a così pochi concorsi, probabilmente era davvero così.

In ogni caso, Michele non aveva ancora aperto bocca se non per darci istruzioni, segno che stavamo andando bene. Infine, montò il percorso: nel vederlo prendere corpo provai un brivido d'eccitazione, come se fossimo già alla gara. Non vedevo l'ora!

Michele aveva sistemato gli ostacoli – oxer, verticale, doppia gabbia e riviera – ad un'altezza di centodieci centimetri e fece segno ad Alessia di iniziare. Tutte le ragazze, tranne me, avrebbero partecipato in quella categoria, ma Falco era abituato a saltare ostacoli molto più alti ed ero sicura che non avrebbe avuto problemi. Alessia lo condusse con sicurezza sull'oxer e il cavallo baio spiccò un salto da manuale, per poi superare gli altri cinque ostacoli senza alcuna difficoltà. Michele si limitò ad un cenno d'assenso.

Anche Sofia ed Oxford superarono il percorso senza errori. Michele aveva lasciato alla ragazza libera scelta sul cavallo da montare il giorno della gara e lei aveva scelto l'holsteiner sauro di Michele, con cui mi disse di trovarsi molto bene. Mi domandai se esistevano cavalli con cui non si trovasse bene, mentre la osservavo alzarsi e abbassarsi sul collo di Oxford con un assetto da fare invidia a chiunque. Sapevo che in cuor suo Sofia avrebbe voluto portare in gara Diablo, ma per il momento era fuori discussione: il giovane appaloosa non era assolutamente pronto. Ma, nelle mani di Sofia, sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo.

Mentre osservavo la fine del percorso di Monica, mi accorsi che Alessia mi stava fissando con una certa insistenza. Ricambiai il suo sguardo e lei, colta sul fatto, abbassò subito gli occhi.

Inarcai le sopracciglia, ma non ebbi il tempo di riflettere oltre perché Michele fece il mio nome. Non aspettavo altro e così Tramontana: schioccai la lingua e la cavallina partì al trotto da ferma. Dopo averla condotta sulla pista, partimmo al galoppo nell'angolo e quindi ci dirigemmo verso gli ostacoli, che Michele aveva leggermente modificato e abbassato fino ad ottanta centimetri, la categoria in cui avremmo gareggiato.

Tramontana planò sull'oxer e sul verticale, e in un attimo eravamo sulla traiettoria della doppia gabbia, a cui Michele aveva rimosso l'ultimo elemento, facendolo diventare un semplice verticale.

La cavallina superò brillantemente la gabbia e le feci fare una girata stretta per arrivare dritte sul verticale, che Michele aveva disposto in linea spezzata rispetto agli altri.

Colta alla sprovvista, Tramontana saltò un po' troppo vicino e la sentii tendersi al massimo per non toccare le barriere. Un suono attutito sulla sabbia, dietro di noi, mi disse che nonostante tutto le avevamo buttate giù comunque.

«Le distanze, Sarah!» tuonò Michele.

Sbuffando, condussi la cavallina sulla riviera. Come suo solito, vedendo tutto quell'azzurro la cavallina drizzò le orecchie, ma ormai conosceva bene quell'ostacolo e lo superò senza esitazioni.

Dopo averla fatta rallentare al trotto, un sorriso che mi andava da un orecchio all'altro, indirizzai Tramontana al centro del campo. Michele mi fissava con le braccia incrociate, l'espressione che si fece corrucciata quando vide come stavo sorridendo.

«Sì, lo so, le distanze» sbuffai, levando gli occhi al cielo.


Al termine della lezione, mentre ero china sugli anteriori di Tramontana, intenta a toglierle i parastinchi, udii una voce alle mie spalle.

«Sei emozionata?»

Mi bloccai, il parastinco ancora allacciato per metà. Allora non mi ero immaginata quelle occhiate durante la lezione. Mi voltai e mi alzai lentamente in piedi per fronteggiare Alessia, il cuore in gola.

«Dopotutto è la tua prima gara» aggiunse lei di fronte al mio silenzio, facendo un sorriso imbarazzato che non ricambiai. 

Non riuscivo a capire quella mossa: voleva ribadire la mia inferiorità come al solito?

Decisi di lasciar perdere le congetture e di andare dritta al punto.

«Cosa vuoi?» chiesi, incrociando le braccia al petto.

Lei sgranò gli occhi, spiazzata dalla mia schiettezza.

«I-io...» balbettò, colta alla sprovvista, e capii da quella reazione che era sincera e che io stavo diventando un po' troppo paranoica.

Lasciai che le mie spalle si rilassassero. «Sì, comunque» dissi, in tono neutro. «Sono molto emozionata.»

Lei sorrise di nuovo. «È una brava cavallina» mormorò, indicando Tramontana con lo sguardo.

«Già» tagliai corto, facendo per voltarmi di nuovo.

«Aspetta!» aggiunse lei di getto, come se temesse che fuggissi via. «Volevo chiederti una cosa.»

La fissai in attesa, chiedendomi cosa volesse da me. A giudicare dallo sguardo basso e dalle dita, che continuavano a giocherellare con i capelli corvini, era chiaramente a disagio e sembrava non sapere da dove iniziare.

«Mi chiedevo se volessi venire a casa mia, questo fine settimana» disse infine, tutto d'un fiato. «Come ai vecchi tempi.» Alzò lo sguardo e mi fissò con aria speranzosa.

Quella proposta mi lasciò di sasso. Erano quasi due mesi che non ci frequentavamo più, da quando Monica mi aveva rivelato la verità su di lei, e tutto mi aspettavo fuorché una cosa simile. Tante domande mi affollavano la mente.

«Perché proprio ora?» chiesi infine, confusa. 

Mi resi conto che una parte di me era tentata di accettare.

«Perché mi manchi davvero, Sarah» stava dicendo lei. Si guardò le punte degli stivali, sospirò rumorosamente e alzò lo sguardo su di me, come se avesse finalmente deciso di andare fino in fondo.

«Quando sei arrivata in maneggio, mi sono avvicinata a te perché me l'aveva chiesto Benedetta. Non lo nego» ammise. «Ma ti voglio bene sul serio. Non ho mai finto.»

Le sorrisi debolmente. Non ero mai stata particolarmente socievole e per me fare amicizia, anche a scuola, era sempre stata un'impresa. Negli anni in cui avevo frequentato Alessia, avevo avuto un assaggio di cosa voleva dire avere una migliore amica. Per quanto mi fossi aperta con Deborah, Monica e di recente anche con Sofia, dire che non mi mancava la sensazione di avere un'amicizia un po' esclusiva sarebbe stato mentire. 

Sentii le ultime difese cedere. Stavo per fare un passo avanti, per riconciliarmi, per gettarle le braccia al collo, forse.

«E poi... ho visto che hai parlato con Benedetta!» aggiunse lei, tutta pimpante.

Non compii mai quel passo. 

Il sorriso mi morì sulle labbra. 

Sentii la parte di me tentata dall'accettare il suo invito sgonfiarsi come un palloncino bucato.

Alessia si dovette accorgere dell'espressione accigliata che avevo assunto, perché si affrettò a chiedermi, sempre con quel tono entusiasta: «Vi siete chiarite, no?»

Adesso che le sue due amiche ai suoi occhi si erano riappacificate, per lei era tutto perfetto. Poteva tornare a frequentarci ed essere a posto con la coscienza.

Mi schiarii la voce. Quando parlai, la mia voce era tagliente come una lama. «Sì, diciamo pure che abbiamo chiarito. Questo non vuol dire che siamo diventate amiche, Alessia.»

La fissai dritta negli occhi per essere sicura che il concetto penetrasse, fino a cancellarle quel sorrisetto allegro dalla faccia.

«Benedetta mi ha tormentata per anni. Tuttora faccio fatica a guardarla senza che mi venga un nodo allo stomaco.» Continuai con le stilettate, imperterrita. Man mano che parlavo, con la rabbia che cresceva, si facevano sempre più violente. «E tu dici di volermi bene sul serio, ma non hai mai fatto nulla per aiutarmi.»

Lei indietreggiò di scatto, come se si fosse ferita. «M-ma Benny è una mia amica...»

«E alle amiche non si può far notare quando stanno facendo una stronzata?» sbottai. Ad ogni mia parola, la ragazza faceva un passo indietro sulla ghiaia. «Il vostro non è un rapporto alla pari. Lei ti comanda. A te va bene così? Fantastico. Ma non chiamarla amica. Benedetta è una tiranna. »

Alessia boccheggiò. Tentò di dire qualcosa, ma pareva che le parole non le uscissero di bocca. Scossi la testa e le rivolsi un sorriso amaro.

«Io ti ho considerata la mia migliore amica per anni, Alessia» mormorai tristemente. «E ti credo quando dici che mi vuoi bene, a modo tuo, altrimenti non saresti qui a parlarmi.»

Lei fece per aprire bocca, ma io alzai una mano a intendere che non avevo ancora finito.

«Ma non posso dimenticare» dissi. «Né quello che mi ha fatto Benedetta...» La fissai dritta negli occhi. «Né quello che mi hai fatto tu.»

Mi voltai verso Tramontana, dandole le spalle una volta per tutte.

Alessia era ancora ferma dietro di me. Esitava. Potevo percepire la sua riluttanza nel lasciarmi andare dal suo respiro irregolare, dalla ghiaia che scricchiolava sotto le suole dei suoi stivali mentre lei spostava il peso da un piede all'altro.

Non mossi un muscolo, le mani immobili sul mantello della cavallina, mentre i secondi intorno a noi sembravano protrarsi all'infinito.

Alla fine sentii lo scricchiolio dei passi di Alessia allontanarsi sulla ghiaia e farsi sempre più lontani, finché intorno a me non rimase che il silenzio.


IN FOTO: Tramontana e Sarah durante gli allenamenti.

Ciao a tutti! Vi è piaciuto il capitolo 22? :)

La parte iniziale era stata pensata per uno dei capitoli precedenti, ma poi l'avevo scartata. Mi erano rimaste poche righe sul pc e mi divertiva l'idea di scrivere un momento di delirio tra Sarah e sua madre, uno dei tanti. 

Per quanto riguarda Alessia... be', mi sembrava doveroso farla resuscitare, prima o poi. Vi rispolvero la memoria: è una delle accolite di Benedetta e si è avvicinata a Sarah su suo ordine, ma con il tempo le si è sinceramente affezionata e da allora è divisa tra le due ragazze. In realtà, però, la sua lealtà appartiene a Benedetta: infatti non ha mai fatto nulla di concreto per proteggere Sarah. Quando la nostra protagonista viene a scoprire tutto ciò da Monica, decide di chiudere con lei una volta per tutte. Mi scuso per la pessima gestione del personaggio di Alessia, che circa al capitolo 7 smette di esistere fino a questo momento... forse prima o poi tornerò sui capitoli precedenti e le darò un po' di (immeritata) giustizia. Cosa pensate della scelta di Sarah? Avreste chiuso per sempre o porto l'altra guancia?

Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo! Ormai siamo alle battute finali... dopo la calma piatta di questi ultimi due capitoli, nel prossimo Sarah affronterà la sua prima gara con Tramontana.

PS: Adoro l'idea di Michele in versione western!

Un bacio!

Captainwithoutasoul.

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